L'Italia Basket Hall of Fame è il massimo consesso onorifico e riconoscimento conferito dalla F.I.P., alias la Federazione Italiana Pallacanestro. Nata nel 2006, la “Hall of Fame” italiana ricorda quella ben più celebre degli States, la “Naismith Memorial Basketball Hall of Fame”, con sede a Springfield, Massachusetts, o quella della FIBA. Ben venga una “Hall of Fame” nostrana a risollevare memorie e, si spera, anche un po' le sorti della pallacanestro italica precipitata negli ultimi tempi agli inferi.
Una nostra vecchia conoscenza di cui su Tellusfolio abbiamo parlato e che qualche articolo ha scritto anche per il Gazetin ne fa parte, nella categoria dei Benemeriti, dal 2009: Gianni Corsolini, nume tutelare della Pallacanestro Cantù della quale e per la quale è stato allenatore, manager, talent scout, deus ex machina con varie mansioni e immensa importanza. Corsolini, un umanista dichiarato, è stato anche presidente della prima Lega delle società di serie A nonché a capo dell'Unione Sindacale Allenatori Pallacanestro e corsivista brillantissimo.
Prima di tornare a parlare della Italia Basket Hall of Fame, è il caso di citare la prossima presentazione dell'autobiografia di Gianni Corsolini, Quasi sessant'anni della mia vita con gente del basket (Albalibri editore): giovedì 11 febbraio, ore 21, nel magnifico luogo del Circolo della Scranna (in collaborazione con il Circolo della Stampa), Corso Garibaldi 80, Forlì. La serata, a ingresso libero, sarà presentata da Marino Bartoletti, già direttore del Guerin Sportivo, ideatore e conduttore con Fazio di “Quelli che il calcio” e notissimo opinionista di calcio e sport disparati.
Essere inseriti nella Italia Basket Hall of Fame significa essere fra coloro che «più di altri si sono adoperati per la diffusione e il miglioramento della pallacanestro del nostro Paese». In realtà Corsolini, come le altre new entries targate 2009, sarà festeggiato fra poco. Oltre ai Benemeriti, le categorie sono Atlete, Atleti, Allenatori, Arbitri e Alla Memoria. Non è facile entrare nella Hall of Fame: per esempio, agli atleti necessita che si sia cessata l'attività da almeno cinque anni e che siano state accumulate almeno 100 presenze con la maglia della Nazionale (50 per le donne) o che si sia vinta almeno una coppa europea o si sia conquistata una medaglia in un torneo per nazioni di valenza continentale, mondiale od olimpica.
Regole “dure” per tutti. Anche per i Benemeriti cui appartiene il Gran Gianni Corsolini. Difatti tali personaggi devono essersi «particolarmente distinti per la diffusione e per la valorizzazione della pallacanestro italiana», sia in Italia che fuori dei confini patri, e devono avere svolto attività ufficiale presso Mamma FIP per almeno vent'anni. Il premio ad essi attribuito viene chiamato, per dirne del peso, “Una vita per il basket” ed è assegnato a una sola persona ogni anno.
Fra gli allenatori troviamo...
Cesare Rubini: presente anche nella Basketball Hall of Fame, il primo italiano a entrarvi, gran vincitore di scudetti come giocatore, giocatore-allenatore e allenatore del mitico Borletti-Simmenthal Milano, detto Il Padrino per la sudditanza che faceva provare a chiunque gli stesse di fronte o il Principe per l'eleganza e la ricercatezza. Rubini era stato pure un ottimo giocatore di pallanuoto, tanto da divenire campione olimpico a Londra '48, nelle quali si esercitò anche nella nobile arte del contrabbando. Triestino ipersportivo multidisciplinare e avventuroso, d'estate giocava a waterpolo, in mare, e d'inverno a basket (allora si poteva e si riusciva). Una leggenda.
Carlo Recalcati: emerito tiratore trasmigrato dalla Chinatown milanese alla Cantù-Davide che sapeva abbattere ogni altro Golia cestistico. Campione d'Italia 1968 e 1975, in bacheca anche 7 coppe internazionali, poi immenso come allenatore al punto da vincere lo scudetto della stella di Varese, il primo scudetto della Fortitudo Bologna e il primo di Siena, oltre a un bronzo europeo e a un argento olimpico con l'Italia di cui era nel frattempo divenuto coach.
Ettore Messina: adesso al Real Madrid dopo avere mietuto allori a ripetizione con la Virtus Bologna, Benetton Treviso e CSKA Mosca. Uno dei migliori di sempre al mondo.
Arnaldo Taurisano: coach di sapienza tecnica sterminata, conduttore di Cantù e fantastico alfabetizzatore cestistico tramite allenamenti, partite e libri scritti con passione e, per l'appunto, smisurata competenza.
Fra gli atleti...
Sandro Gamba: anch'egli nella Hall of Fame di Springfield, una caterva di scudetti e coppe a Milano e Varese, in panchina come allenatore nella prima vittoria europea dell'Italia, Nantes '83 – quella del pallone sollevato al cielo da Carlo Caglieris –, e nel suo primo argento olimpico a Mosca '80. Milanese del popolo, uomo curiosissimo ed enciclopedico, specialista di psicologia dello sport, ironico e simpaticissimo. Iniziò a giocare per rieducare la mano ferita dai colpi di un mitra nella Milano che si apprestava a uscire dalla Grande Guerra 1940-45.
Gianfranco Dado Lombardi: attaccante superlativo, una meraviglia, soltanto 19enne, a Roma '60 quando gli americani schierarono una delle équipes più forti di tutti i tempi, un Dream Team ante litteram, con tanto di Jerry West sul parquet.
Dino Meneghin: anch'egli nella Hall of Fame americana e mondiale. Che dire di lui? Con Marzorati, il più grande italiano di tutti i tempi. Così forte da vincere da protagonista fino alla soglia dei 40, a Varese, a Milano e con la Nazionale. Dinomito valeva qualsiasi americano e a 16 anni giocava già in serie A.
Sandro Riminucci: L'angelo biondo, atletismo e classe. Attaccante purissimo. L'uomo dei 77 punti in una partita, anno Domini 1963. Imprescindibile colonna, lui pesarese, di Milano. Nazionale, ovviamente.
Paolo Vittori: versatile, grande e grosso, completo. Anche per lui, goriziano, nel destino vi furono Milano e Varese.
Pier Luigi Marzorati: di lui abbiamo scritto tanto su queste stesse pagine. Volava e faceva volare. Noi tutti, con la fantasia.
Gianfranco Pieri: classe 1937, playmaker modernissimo dopo essere nato pivot, l'arte del passaggio nelle vene, detto Il Professore per la scienza del gioco.
Ottorino Flaborea: Capitan Uncino. Pivot che ai 2 metri di statura non arrivava, aveva un gancio, da cui il soprannome, classico e perfetto. Un tipo di tiro in estinzione, da lui elevato ad ad arte.
Aldo Ossola: fratello di Franco del Grande Torino, playmaker dai fondamentali raffinatissimi. Non tirava mai, ma le sue squadre giravano come orologi – orologiaio è il suo mestiere attuale –, a 65 anni d'età gioca ancora nei campionati amatoriali ma agonistici. È, questo, un primato mondiale.
Giuseppe Brumatti: magico tiro in sospensione. A 40 anni poteva nell'arco di una partita dettare ancora legge con il suo tiro in sospensione.
Giovanni Gavagnin: anche in tarda età, miope da non vedere quasi più il canestro, conosceva così bene il gioco e il campo, che segnava comunque.
Giulio Iellini: della grande nidiata dei play e dei giocatori giuliani. Quando fuggiva in contropiede e poteva fare arresto e tiro dalla lunetta era micidiale e stupendo a vedersi. Il suo gioco era sinonimo di libertà pur sapendo manovrare le sorti del proprio team. Nel roster della Milano vincitrice della prima Coppa dei Campioni.
E, ancora, Mabel Bocchi – eccelsa, bellissima, la prima star del gioco, talento puro e carattere forte, colonna del GEAS Sesto San Giovanni, prima squadra femminile italiana a sbancare l'Europa, impegnata socialmente e politicamente, temperamento artistico, grandissima persona –, Aldo Giordani – la voce del basket, il telecronista che ha fatto innamorare al basket generazioni e generazioni di giovani, inarrivabile per spirito, passione e competenza, uno di quelli che ci manca di più –, Nello Paratore – allenatore epocale, così come Giancarlo Primo, il primo del Bel Paese a battere gli Usa con un tiro, allo scadere, di Barabba Bariviera nel '70, e Vittorio Tracuzzi –, Adolfo Bogoncelli – sommo dirigente della Pallacanestro Olimpia Milano, innovatore, vent'anni avanti a tutti.
Attraverso l'Italia Basket Hall of Fame si può ripercorrere e trascorrere per la storia del celestiale sport della palla a spicchi nelle nostre antiche contrade. Un viatico – chissà? – per un futuro più roseo.
Alberto Figliolia