Il fagottello misterioso
Quando nacque Gesù si sparse la voce che solo le madri potessero andare a vederlo nella grotta di Betlemme. Ma una povera sposa, che si era consumata invano nell’attesa di un figliuolo, non poté resistere alla tentazione di correre a vedere il Messia. E pensò di simulare la sua maternità.
Affacciata alla finestra della sua casetta fra i monti, aveva visto l’Angelo di Dio splendere, nel buio della notte, avanti ai pastori sbigottiti. «Io vi reco l’annunzio d’una allegrezza grande; - aveva detto l’Angelo - non temete. E’ nato un Salvatore, che è Cristo Signore. Andate e lo troverete, avvolto in fasce, in un’umile mangiatoia». E mentre i pastori, con le palme e il mento sul vincastro, trasalivano, schiere e schiere di angeli erano scesi dal cielo e si erano raccolti con le ali fiammeggianti intorno al divino messaggero. «Gloria a Dio! - cantavano gli Angeli - Gloria a Dio nei cieli altissimi e pace sulla Terra agli uomini di buona volontà!». La donnetta aveva visto i pastori prosternarsi tra le gregge. Poi gli Angeli si erano allontanati, rotando lentamente negli spazi.
Con gli occhi ancora abbacinati dall’insolito bagliore, la donnetta se n’era tornata in camera; ma non poteva trovar pace. Alla fine fece un animo risoluto, compose un fagotto di cenci e se lo mise in braccio, come un bambino in fasce. I pastori già si erano avviati verso Betlemme. Il cielo formicolava di stelle, ma la terra, assiderata dal gelo, era tutta avvolta nelle tenebre; solo laggiù una luce misteriosa brillava fissamente, come ad indicare la meta agli uomini che si erano posti in cammino.
La donnetta si strinse il fagottello al seno e scese in istrada. Scorgeva, tra i profili delle montagne, la luce misteriosa; ma davanti a lei era buio pesto, e doveva fare attenzione al sentiero per non smarrirlo. La voce dell’Angelo le risuonava ancora all’orecchio: «Andate e lo troverete, avvolto in fasce, in un’umile mangiatoia».
Il ghiaccio le pungeva i piedi; le vesti le si strappavano ai rovi e ai cardi selvatici. Allora si stringeva di più il fagottello al seno, come se fosse di carne, e s’illudeva di difenderlo e di comunicargli il suo calore. Ed ecco la luce misteriosa staccarsi dall’orizzonte, indirizzarsi verso di lei, aprire sui suoi passi un solco di splendore.
Così la donnetta poté giungere sulla conca di Betlemme. Lì il bagliore era più vivo e diffuso, e si vedevano uomini e donne, pastori e pastore, scendere da tutte le terre dei dintorni, salire dalle sponde del Mar Morto e dalle rive del Giordano, dove la notizia della nascita del Messia s’era sparsa in un baleno. La donnetta, avanzando più rapida, toccò la costa di un colle, piantato a fichi e a melograni, con in cima un boschetto, tutto rosso di albastrelle. Lì, tra le rocce rose dalle acque, si apriva una grotta, e dentro la grotta, in un lettuccio di paglia, riscaldato dall’alito di un bue e di un asinello, giaceva il Bambino Gesù, aureolato di raggi d’oro. Giungevano intanto i pastori e le pastore, e ciascuna delle donne aveva in braccio un bambino, lume e dolcezza della sua vita.
Allora la povera sposa si sentì rimordere il cuore e temette forte che si scoprisse il suo inganno. Tenne perciò gli occhi bassi e si strinse di più il fantoccio al petto. Tutti gli sguardi forse le stavano addosso; tutti forse volevano farle un rimprovero: il Bambino Gesù, la Vergine Maria, San Giuseppe, il bove e l’asinello. E tanto crebbe il suo timore, che fu tentata di buttar via il fagottello e chiedere perdono. Ma alzò gli occhi e vide che il Bambino Gesù le sorrideva.
Il carico in quel punto divenne tra le sue braccia più pesante e le comunicò un tepore così dolce, così dolce, che dovette alzarsi e trarre un lungo sospiro per non morire.
A quel movimento il fagottello si agitò e ne uscì un vagito. La donna sbigottita scostò un poco le braccia e vide con sua gran meraviglia che non un mucchietto di cenci aveva con sé, ma un bel bambino roseo e sorridente come Gesù.
Guardò allora le altre madri e si sentì non più inferiore, ma uguale a loro, con una creatura anch’ella contro il petto, lume e dolcezza della sua vita.
E quando uscì fuori della grotta, per far ritorno a casa, sbatté le ciglia. La luce dell’aurora si apriva a ventaglio dietro i monti, ma un nuovo tempo pareva che avesse inizio da quel punto. Il cielo era di un altro colore, la terra mandava un altro aroma, l’aria aveva un sapore diverso, come se l’attimo che aveva separato la notte dal giorno avesse diviso due cose più grandi: due ere, due mondi. Ella stessa, la povera donna, aveva l’impressione di essersi lasciati alle spalle, come una cosa inutile, i giorni fin allora vissuti.
Si sentiva i piedi leggerissimi e già la strada che riconduceva alla sua casa le appariva più breve. Il ghiaccio si era sciolto, lasciando al suolo un tappeto marezzato di madreperle e di diamanti, e i tordi fischiettavano sui rovi ad esprimere nuova allegrezza.
La donna udì il gallo chicchiriare, il cane le venne incontro e le saltò addosso festosamente. Era giunta. E come fu rientrata in casa, si mise a sedere nella spera del sole, col suo piccolo sulle ginocchia, e cominciò a cantargli la ninnananna.
Alfredo Petrucci
EVIDENZIANDO LA DOLCEZZA…
Il colore indica le espressioni dolcissime che emergono nel racconto ma ogni lettore cerchi quella più vicina al suo cuore. Nella semplicità espressiva, la parola si veste di suoni per diventare musica, emozione, attesa. (Anna Lanzetta)
Alfredo Petrucci nacque a San Nicandro Garganico il 12 marzo del 1888 e morì a Roma il 15 giugno del 1969. Fu narratore, poeta, storico dell’arte, incisore e disegnatore. La novella natalizia “Il fagottello misterioso”era già stata inclusa da Petrucci in un’antologia scolastica intitolata “L’aratro e la spada”, con il titolo “Leggenda di Santo Stefano”.