01 Dicembre 2009
Elena, forse non leggere le mie lettere ti sottrae a un’esperienza di accresciuto dolore che deriva non solo dai contenuti, ma dalla stessa scrittura. Tu certo non ignori che ancora oggi c’è chi identifica il messaggio scritto con niente altro che un’iterazione di lettere morte, magnificando, per converso, l’atto comunicativo immediato, sorgivo, vivo… Io credo invece che in questa presunta “morte”, in questa assenza di contestualità viva, si celi la salvezza della scrittura dalla decadenza, dalla fragilità delle ore, dei momenti, e la sua rivincita sulla dispersiva convenzionalità delle voci, rendendosi sempre disponibile, aperta alle varie interpretazioni… E allora, negando l’enunciato primo, ti invito a leggere questi miei messaggi che, ora, hanno questo scopo: una possibilità di capirti… di capirmi… una capacità di ascolto e di replica in una trasformazione intelligente, spirituale, di quello che è germinato e cresciuto fra noi. Eppure, finora non ho avuto risposta da te… Mi riduco quindi a leggerti attraverso segni indiretti. Alcuni giorni fa ero a Milano sulla metro. Davanti a me una giovane donna, i capelli come i tuoi, gli occhi verdi con pagliuzze dorate. La guardo… mi guarda… sfugge al mio sguardo… torna a guardare, tra il sorpreso e il compiaciuto, me che ancora insisto. Mi sorprendo a sorridere lievemente e lei, ancora più sorpresa, ma con una punta di malizia che le illumina il viso, risponde al mio sorriso. Vedi che enorme illusione, che bluff il mio, il suo. Non può sapere che è altro da lei quello che il mio sguardo, il mio sfumato sorriso, va cercando. Non può sapere che lei, per me, è un semplice segno, o un sogno a occhi aperti che rimanda a un’altra donna… a te che non sei qui, eppure ci sei … |