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Rita Bernardini. Lodo Alfano: una sentenza giusta non consente alla corte di ricostruirsi una verginità che non ha
 
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   08-10-2009
Apparirà paradossale, ma sono stati i difensori del cavaliere a scrivere la sentenza di anticostituzionalità del lodo; la magistratura non ha fatto altro che prendere atto delle loro sconsiderate arringhe. Quale delle tre arringhe è stata la peggiore ? Difficile a dirsi, anche l’imbarazzo della scelta viene negato dalla contraddizione insita nelle tre pretese arringhe difensive.
• Ha esordito l’avvocatura dello Stato, senza entrare nel merito, ma solo descrivendo scenari apocalittici in caso di bocciatura, come le dimissioni del cavaliere, il caos, le minacce di guerra civile avanzate dalla Lega di Bossi; sollecitando l’approvazione del lodo per scongiurare tali ipotesi; ma in realtà stimolando la medesima massima corte a non sottostare il chiaro ricatto.
• Ha continuato Pecorella, con una tesi che ha convinti i magistrati della Consulta a bocciare il lodo; infatti quella filippica difensiva descriveva il cavaliere come un novello Augusto, accentratore di poteri, di fatto imperatore pur senza averlo mai dichiarato; Augusto, di fatto, si era posto al di sopra delle parti, avendo loro sottratto ogni potere, dal senato ai consoli e militarmente, ai centurioni. L’analogia di pecorella ha dimostrato che quel lodo, riconoscendo tale supremazia dell’uomo su tutti i cittadini, e, quindi, anche sul Parlamento, contrastava con il dettato della Costituzione nei suoi due cardine portanti: eguaglianza di fronte alla legge e, in subordine, l’esigenza di procedere per legge costituzionale, in quanto, nella formulazione presentata, 9mplicava una modifica costituzionale, attraverso una legge ordinaria. Un po’ quello che è accaduto con la partecipazione alla guerra in Iraq, chiamandola “missione di pace” pur assoggettando il contingente al codice militare di guerra.
• Per finire si è prestato il povero Ghedini a mettere la ciliegina sulla torta, quando ha affermato che lo spirito del Lodo era semplicemente quello di sancire che le leggi sono uguali per tutti, ma che per il presidente del consiglio la loro applicazione deve essere differente, senza chiarire la ragione di tale differente metodo applicativo e (ma di questo non si è nemmeno accorto, colto dal raptus di difendere il suo protettore, al quale deve tutto e molto di più), riservato al presidente del consiglio, come se la cosa riguardasse il cavaliere e basta e non le quattro cariche dello Stato.
Ora il cavaliere se la prende con la Consulta comunista, condizionata dalla stampa comunista e dalle TV comuniste; se la prende con il Presidente della Repubblica perché non sarebbe intervenuto, magari corrompendoli, con i tentennanti tra i giudici per indurli a salvare questo presidente del consiglio; gli altri li aveva già condizionato in proprio, in cene con tavola ben imbandita, ma ne mancavano due, sarebbe bastata una cena al Quirinale, con qualche bustarella sotto il desco per ottenere lo scopo; Napolitano non lo ha fatto, seguendo con rigore il ruolo che la Costituzione gli affida e che sa gestire, per cui viene indecorosamente attaccato. Dovrebbe prendersela con l’inettitudine dei suoi avvocati che hanno dimostrato la loro inconsistenza giuridica e la loro incapacità di argomentare con rigore procedurale.
Ora è arrivato il pronunciamento finale: “Farò vedere agli italiani di che pasta sono fatto”; tipica minaccia mafiosa che promette di trasformare la maggioranza che permette di governare in una maggioranza che gli permetterebbe di esercitare le sue vendette personali.
Con questa frase ha scelto la via che lo porterà alla più esasperante solitudine, circondato dagli elementi più insulsi (i nomi sono quelli noti, sia come politici che come operatori della comunicazione) e incapaci, mentre gli altri, tutti gli altri, cercheranno una exit strategy per salvare il proprio futuro politico


Rosario Amico Roxas   
 
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