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   27-08-2009
Gentile Professoressa, intanto la ringrazio per le sue osservazioni.
La contraddizione, l’antitesi, la litote sono consustanziali alla figura di Gozzano, anche sulla scorta della sua visione della vita e della poesia così tanto condizionate da una malattia che è tutto tranne che una metafora. Volevo dire soltanto (ma sotto forma di ennesima interrogazione) che la fiaba gozzaniana potrebbe anche essere letta come una strategia estetica vòlta a dare un compimento agli eventi, alle cose che non sono state, come imperitura resurrezione delle “fiabe defunte” della Signorina Felicita. Forse a sorreggere Gozzano era l’idea dell’esistenza stessa come “fabula”, come vicenda da narrare e dunque come inganno e illusione nei confronti di sé stessi e degli altri.
Il riferimento all’”evasione fantastica” è sotteso a tutta l’opera gozzaniana che costituisce una elegia talora ironica dell’inappartenenza e la fiaba è, per definizione, un allontanamento dalla realtà, anche se della vita riproduce gli schemi. E nella sfumatura variegata del fiabesco Gozzano cerca quell’incantamento che nei versi e nelle prose rimane come sospeso, indicibile in un codice ordinario (e non è un caso che la parola “perplessità” ricorra molto emblematicamente): egli prova allora a bluffare e a mentire attraverso un altro genere, perpetrando il suo ideale supremo di non concedersi alla vita. L’espressione “evasione fantastica” riferita a Gozzano non l’ho certo inventata io. E la imprescindibile connotazione che assume nella sua opera in versi e in prosa si estende anche la fiaba. Altrimenti saremmo indotti a considerarla alla stregua di un genere minore.
Non credo ci sia niente da capire. E comunque, gozzanianamente, “a me piace chi non mi comprende”.

Elisabetta Brizio   
 
   27-08-2009
Sicuramente non leggerò a mia figlia la complessa esegesi della fiaba gozzaniana, compromettendo il sonno suo e pure il mio! Chiedo scusa, sono una semplice insegnante di scuola media, non una critica da aule universitarie, tuttavia, nel commento della signora Brizio, rilevo alcune forzature e contraddizioni (vita o non vita? Fuga o compimento?). Insomma, la fiaba ha sempre qualcosa di misterioso, ha sempre un lato in penombra, magari nella presenza del magico, della creatura deforme o “altra”, nel suo simbolismo (Propp insegna). Ovvia dunque un' “evasione fantastica”! Insomma, non mi pare che da questi scritti gozzaniani si possa ricavare tutta quella serie di conclusioni d'oscura poetica. Non certo perché la fiaba è genere minore e per questo da non considerare, anzi! Semplicemente perché, in questo caso e in questa sede, a mio modestissimo avviso, mi pare -ripeto- una forzatura. Cordiali saluti e grazie alla redazione. Angela Gentilini.
Angela Gentilini   
 
   26-08-2009
La fiaba è forse l'unico luogo gozzaniano in cui la storia perviene a un compimento superando la condizione ben nota delle cose che potevano essere e non sono state. Sostanzialmente solo in questo aspetto differisce dalla poesia e in fondo anche dalle prose, dove il viaggio è una iniziazione al nulla, un itinerario della vita e della poesia verso il nulla.
E la fiaba, la fiaba defunta, malgrado questa sua resistenza all'incompiutezza, non si sottrae all'aspirazione tipicamente gozzaniana all'evasione fantastica dalla vita, in altri luoghi sperimentata come regressione, rifugio, sogno "nutrito d'abbandono e di rimpianto", stazionare sulla transitorietà, lontananza, assenza, menzogna, inabissamento nel tempo, ricorso all'alterità, letterarietà... Resta l'amara sensazione di un poeta che strenuamente cerca anche attraverso la fiaba di aggirare la vita e di sfuggire al destino che lo attende. Neanche qui Gozzano si concede alla vita, codifica la possibilità di mentire e di defilarsi, di bluffare in altra forma.
Elisabetta Brizio   
 
   26-08-2009
Che tempismo! Appena chieste notizie della seconda fiaba, eccola pubblicata! Bellissima anche questa! Grazie davvero di questo dono senza prezzo.
Paola Boella
Paola Boella   
 
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