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   08-05-2007
Caro Giuseppe,
mi piace questo dialogo, o questa riflessione coeva. Concordo col presupposto -no alla volontà di potenza!-. Pensa che considero la radice del mio modo di pensare nelle mie tesi sul potere (anni '70), basate sul concetto di potenza-autorità-potere di Max Weber -il mio massimo sociologo- e centro della mia riflessione attuale in Karl Mannehim, Ideologia e Utopia, pubblicato in Italia da Mulino, giusto cinquant'anni fa. L'ideologia è un fenomeno che rende falsa la rappresentazione della realtà. Io uso tanti 'io, mio' in questo thread per mettere sull'avviso chi legge, che potrà dire 'sono solo idee di Carlo', senza dover far la fatica di cercare chi altri l'abbia detto. Eppure ho resi eslpiciti i miei riferimenti principali. Così fa il pensiero vivo: enuncia i suoi genitori ed è diverso da loro.
Non ho nozione dei riferimenti tuoi che hai enunciato.

Il pensiero vivo mi invita ad osservare la morìa delle api, che gira tutto il mondo d'oggi, e collegarla con la morìa del Re delle api (la nostra regina) raccontata da Virgilio nelle Georgiche. Non ripeto ciò che Tellus mi ha pubblicato. Continuo a domandarmi, invece, perchè nessuno abbia mostrato interesse per la grandezza enorme che emerge dalla lettura di Virgilio come sacerdote etrusco -il massimo letterato della nostra tellus (e Dante l'ha ben capito!)-, che, Proteo, cioè narratore incatenato alle sue sacre fonti, Proteo -nascosto- sembra rimanere agli occhi del lettore moderno nel suo animo etrusco e religioso. La morte del Re delle api è il venir meno della struttura monarchico-oligarchica delle città etrusche, dove Cerere era regina. L'assassino era il popolo romano, repubblicano a quei tempi, col suo esercito. Oggi saremo magari noi, con i nostri prodotti chimici a far morire le api.
AP ES è crasi da AP LU e KIER ES, di Apollo e Cerere. Perchè ti esibisco questo? Per rimarcare come il pensiero antico ci abbia costruito le parole! Miele < MEL < ME EL, il ME -potere creativo del dio che crea anche il me di ognuno di noi- EL, EL LIL, il dio dell'Aria, che anche nella Bibbia identifica Dio (EL OH IM, ELI).
Le mie riflessioni sui nomi degli dèi sono laiche, ma sconfinano anche nella teologia -dalla quale mi ritiro subito, ignorante: non è il mio pane!
Carlo Forin   
 
   07-05-2007
Caro Carlo
la filosofia della «Trilogia di Valis» di Dick è molto più vicina di quella di «Blade runner». Siamo fortunati ad essere capaci di trovare un centro nel racconto coevo, con i nostri strumenti di discernimento e soprattutto con la mente accogliente e non importa se si ricorre strutture mistico-religiose, o scientifiche o storiche o agnostiche ecc., tutte sono pari alle fantasie della scienza coeva. La sanità mentale o l’omeostasi (equilibrio) psico-fisico della nostra struttura è al centro della nostra comune ricerca, l’importante mai il cercare una volontà di dominio (Nietzsche parlava di volontà di potenza). Non c’è altro mezzo in futuro che un lavoro sui propri aggiustamenti strutturali del nostro sistema cognitivo; anche se verrà una vita «cibernetizzata», come tu dici, non ha importanza, la sanità sarà sempre la stessa: possedere tanti punti di vista di uno stesso problema e avere una mente che riesce ad elaborare più informazioni, per non cadere nelle trappole di coloro che desiderano appiattirci e manipolare i nostri valori o principii su cui si fonda la nostra organizzazione del mondo
tuo amico
Giuseppe

Giuseppe Siano   
 
   05-05-2007
Caro Giuseppe,
ho colto in mezzo al tuo racconto da 'Blade runner' questa cosa:"Il futuro e il passato per me risiedono sempre nel nostro equilibrio con le nostre facoltà del riconoscere e del raccontare…".
Condivido in pieno!: equilibrio per discernere e raccontare bene. E' ciò che ci mantiene umani e gioiosi di leggerci e raccontare. Che ciò che deve cambiare cambi, purchè siamo ancora in grado di riconoscere il nuovo e l'antico e ci sia data la facoltà di raccontarlo.
La capacità di raccontare bene radica nel controllo della parola. Questa è la mia fissazione; cerco 'il mio centro di gravità permanente' nel riconoscimento delle parole come carote temporali, ciascuna delle quali stratifica significati e significati: non c'è armonia nella comunicazione che lo ignora!
L'ouroboros < URUBURUS è sempre lo stesso serpente capace di cambiare continuamente. E' la vita che, finchè sarà, non verrà cibernetizzata. Dopo, ad altri il racconto, se avranno modo e urgenza di farlo.
Carlo Forin   
 
   04-05-2007
Caro Carlo
Lo so che «Non c’è nulla di nuovo sotto il sole» tranne che oggi abbiamo iniziato ad usare la tecnologia per sentire e rispondere in modo sempre più complesso e veloce, attraverso strutture di riconoscimento ancor più complesse e veloci. Demanderemo in un prossimo futuro a nostre strutture bio-tecnologiche il riconoscimento l’apprendimento e l’elaborazione dei dati sulle azioni e sulla vita per procrastinare la morte biologica. Con questo si modifica l’esistenza dell’uomo, così come si è concepita finora (con le sue credenze mistiche esoteriche religiose, morali, politiche, esistenziali, scientifiche, ecc.), e si paventa il declino umano nel suo vecchio ambiente naturale, mentre, dall’altra parte, aumentano le capacità di rinvenire ed usare nuove strutture logiche del logos, che, nel frattempo, stiamo anche trasferendo alle macchine intelligenti, le AI [Artificial Intelligence].
Sarà questo il nostro modo di sopravvivere nel riconoscimento delle nuove strutture del logos dopo la modificazione dell’umanità a noi poco interessa: che nel futuro ci sia ancora un corpo biologico attuale o che verremo assemblati in un corpo umano e macchinino biologico con una mente-cervello-io che possa assomigliare ad un mimema (me me stesso) di un computer che auto-corregge il proprio sistema operativo, può veremente essere oggetto di dibattito ora? Che stiamo accelerando un processo di una umanità bio-tecnologica auto-evoluta, dopo le continue catastrofi (qui s’intenda per fine di una organizzazione e assunzione di una nuova organizzazione) - queste dovute a una continua manipolazione del vecchio ambiente naturale che si trasforma in un nuovo ambiente relazionale di computazione cibernetica per cercare nuovi elimenti (-alimenti) per il nostro corpo alfine che sopravviva -, questo è certo.
Mi spiego meglio, che ci sia l’ourobouros (il serpente alchemico che si morde la coda e chiude in un infinito [in= qui da leggere sia come dentro il finito sia come senza fine] sapienziale il circolo della vita) o ci sia una Grande mente ricorsiva (Dennett) che organizza il mondo, o, che nel nostro ambiente ci sia in futuro, al nostro posto a sentire ed organizzare il mondo, un oltre-umano (che ha subito alterazioni biologiche e innesti tecnologici per trovare il suo equilibrio nel nuovo ambiente), per me non cambia molto. Esso sarà sempre dotato di un organismo che sente ed organizza con la sua struttura logica del logos il riconoscimento del suo ambiente interno ed esterno e tenta in qualche modo di tenersi in omeostasi, per sopravvivere. Che questa nuova civiltà sia per alcuni non ancora evoluta, o abbia già ereditato parte del nostro sapere o lo stia iniziando a sviluppare in modo autonomo, a ognuno la propria scelta e il proprio percorso di credenza.
Il futuro e il passato per me risiedono sempre nel nostro equilibrio con le nostre facoltà del riconoscere e del raccontare… il resto lo lasciamo a coloro (siano essi ancora uomini o macchine bio-tecnologiche) che decifreranno questi segni per le loro future narrazioni
un saluto cordiale
Giuseppe Siano

Giuseppe Siano   
 
   04-05-2007
Il mondo della nostra società avanzata inizia a diventare «bizzarro», perché ci
propone un nuovo concetto di natura e s'impone a noi, attenti osservatori, con la sua estetica cibernetica, la sua filosofia cibernetica, nonché la sua arte cibernetica: questa ora si presenta alla nostra percezione con le sue sorprese di Easter egg.
Cosa c'è in un uovo?
Oggi in questo uovo si nota una organizzazione della vita, di una storia che parte dalle origini, arriva a noi e si proietta - in modo escatologico - verso la fine di un percorso mentale. Ecco che l'uovo è segno di un modo di operare con cui si riconoscono strutture, alias modi di agire. Noi «riconosciamo» in queste azioni oltre che drammi [da dran = agire] della vita anche organizzazioni di affetti conoscenze e sentimenti: questo è proprio il riconoscere umano degli accidenti della vita.
L'arte vera è nel riconoscere nel teatro della mente le azioni da più punti di vista, come le varie storie raccontate dal teatro dal cinema dalla televisione, dalla vita. Ogni volta che ci emozioniamo, è perché abbiamo «sentito» o «riconosciuto» qualcosa che, poi, raccontiamo con le nostre strutture del logos.
Che si cerca?
Si cerca ciò che si trova nel proprio uovo. Si riconosce ciò che abbiamo sentito.
Ogni cosa che porta a noi un ricordo di una percezione o un riconoscimento di un'azione o di una forma ci permettere di riflettere su noi stessi, sul nostro modo di relazionarci col mondo attraverso il nostro linguaggio, con cui ci rapportiamo con l'ambiente e individuiamo e raccontiamo azioni e modi di agire. Creiamo, così, la nostra storia che si coevolve (o meglio, è dire «si evolve assieme»?,) a noi osservatori e soggetti agenti contemporaneamente.
Siamo all'interno e all'esterno delle cose e dei fatti e li osserviamo mentre li agiamo e subiamo. Tutto poi riconosciamo e traduciamo in linguaggio, col nostro sguardo selettivo e dal nostro punto di vista. In ogni momento le azioni, i fatti le cose, che hanno una storia passeggera ci parlano del nostro «già sentito» nel mentre riconosciamo, e riempiamo le cose anche di nostri nuovi contenuti che sorgono al momento e produciamo percorsi di conoscenza o eventi e storie in cui fermamente crediamo.
«I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», ricordava Wittgenstein nel suo trattato di Logica filosofica, e noi cerchiamo sempre di espandere i nostri limiti, altrimenti invecchieremmo presto, e diverremmo dei fossili viventi. Ecco perché colui che sopravvive in questo mondo è perché cerca la novità operativa, che gli permetta di sopravvivere nei vari ambienti che frequenta. Noi tutti che viviamo con l'arte del nuovo cerchiamo la novità, per sperimentare nuove strutture. Evoco a questo punto la filosofia sensista francese, che per prima ha messo al centro i sensi, con cui poi si costruiva la conoscenza del mondo razionale. A quel tempo, col Gran Tour, ci fu l'esperienza del Vesuvio in cui subentrava anche l'emozione forte. Il sorgere di qualcosa che destabilizza il nostro ordine (ad esempio la paura del Vesuvio in eruzione), che è dapprima si presenta come una minaccia alla vita percettiva, con un indistinto sentire qualcosa, e, poi, dopo aver scampato il pericolo, attraverso la nostra razionalizzazione, raccontiamo una storia che raccorda noi all'evento o ad un altro che ha minacciato il nostro mondo o ad una cosa. Ecco il riconoscimento! Riconosco un fatto una cosa o una persona che prima non percepivo. Nel riconoscere un evento nuovo, o da un punto di vista insolito, sperimentiamo nuove strade, tracciamo nuove mappe, passiamo per altri luoghi e operiamo altri collegamenti mai esercitati prima, eppure erano già intorno a noi (perché prendiamo consapevolezza di una parte di noi ignota).
Sappiamo, però, che di ogni conoscenza, quando razionalizziamo ciò che abbiamo sperimentato o «sentito», ci permette di raccontare prima a noi e poi agli altri gli eventi e a seconda della strada che imbocchiamo, succede che nel percorso perdiamo qualcosa del passato e ci arricchiamo di qualcosa d'altro di nuovo: basta che guardiamo le cose con l'incanto dei giovani che scopronsi per la prima volta i meccanismi della vita. E se ci abbandoniamo a questo sguardo della meraviglia, operiamo come i giovani, nel nostro cuore siamo giovani perché ci lanciamo a poter perdere un modo di organizzare e di «sentire» il mondo (nel senso che una volta tanto siamo costretti a sperimentare nuove strade per trovare una nuova collocazione ad oggetti fatti e persone che con la loro storia ritornano a noi come le stagioni, e riportano a ripercorrere eventi e fatti nel nostro ambiente cognitivo con lo stesso sguardo melanconico che non accresce il nostro spazio linguistico, mentre noi, giovani, vogliamo acquisire nuove forme, nuovi modi di guardare il mondo). Easter egg è segno di questo, il nuovo che si affaccia.
Significa proprio questo, il tuo messaggio: aprirsi al nuovo!!!
Siamo noi che acquisiamo informazioni da segni o da simboli e costruiamo e interpretiamo il nostro mondo. Siamo noi, dal nostro punto di vista, che scegliamo cosa quei segni, simboli ecc. desideriamo che ci raccontino, il perché vengano a noi. Questo nuovo oggi si presenta a noi come un uovo pasquale e lo chiamiamo Easter egg. Guai ad allontanarlo, ricadremmo nella routine, non saremmo giovani, non avremmo il desiderio di camminare con i tempi.
Easter egg attraverso te ci parla, e porta a noi la meraviglia della tua gioventù della tua ricerca di rinnovamento e, con essa, il sapere/sapore, come la cultura/coltura del nuovo mondo.
Giuseppe Siano   
 
   04-05-2007
"Ecco il riconoscimento. E se nel riconoscere un evento sperimentiamo nuove strade, tracciamo nuove mappe, passiamo per luoghi e collegamenti mai esercitati, eppure erano già in noi (perché prendiamo consapevolezza di una parte di noi
ignota)."
Questa è sia l'autocorrezione cibernetica sia l'U GIR U, la concezione circolare sumera, che a rovescio si legge URIGU, origo, origine. E' da credere che permanesse ancora quando cercare si diceva in latino circare, andar in circolo.
A me piace riconoscere che è sempre la stessa parola che si dispiega in questo circolo vitale, magari variando una lettera, una sillaba, il contesto del logos in cui si colloca. Ma, in fondo, il logos è sempre LU GH US, 'SOGGETTO LUCE FINE'.
Carlo Forin   
 
   13-04-2007
quest'anno anch'io avrò il mio uovo! virtuale, poetico! grazie

giada   
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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