Un modo possibile di eseguire il ritratto di un personaggio è metterlo direttamente a confronto con una situazione estrema, che non sembra rientrare nel suo orizzonte di attese almeno coscienti; e osservare le sue reazioni a quell’evento imprevisto e magari disgraziato.
L’ultimo film di Mario Martone, Fuori, è il ritratto di una scrittrice realmente esistita, a cui ha arriso soltanto postumo un grande successo letterario, Goliarda Sapienza. Ma non si tratta di un tradizionale film biografico.
Il personaggio è suggerito, rivelato, soprattutto attraverso un particolare episodio che le capitò negli anni Ottanta, traumatico o che tale almeno sarebbe stato forse per chiunque altro fosse vissuto come la scrittrice nell’ambiente confortevole della borghesia romana: essere finita in carcere, a Rebibbia, con l’accusa, veritiera, di aver rubato dei gioielli a un’amica.
Quell’esperienza, ci viene raccontato dal film, ha costituito per lei una forma paradossale di liberazione: per essere stata messa forzatamente in rapporto con altre donne, di un’altra classe sociale, popolare, a volte maleducate, manesche, ma anche fortemente comunicative, sensuali; per essersi dovuta estrovertire per entrare in dialogo con loro; ma anche per essersi rispecchiata in loro, nel loro disadattamento sociale, dal momento che anche la scrittrice, si suggerisce, non si sentiva per niente a suo agio nei salotti romani, nell’ambiente letterario, che frequentava.
Il carcere rappresenta per lei la scoperta di una nuova dimensione, quasi fantastica, a lei più congeniale, che le permette di essere più autentica, e che per questo continuerà a ricercare anche dopo esserne uscita, in particolare coltivando l’amicizia con una ragazza conosciuta durante la detenzione.
Dicevo che il film di Martone è in primo luogo un originale ritratto della protagonista di cui coglie, implicitamente, un tratto caratteristico della nevrosi: la disconnessione con la realtà, la difficoltà di comunicare con gli altri. Un sintomo, che comporta una notevole sofferenza, rispetto al quale il carcere rappresenta qui come una terapia d’urto.
Il carcere non è dunque raccontato soprattutto nei modi di un film di denuncia, ma in una chiave appunto più psicologica ed esistenziale. Per questo, fuori dal carcere, l’amicizia della scrittrice con l’ex-detenuta, a cui a momenti si aggiunge un’altra amica, risulta così viva e poetica: drammatica per la differente personalità delle due donne, ma anche sostenuta da una necessità reciproca: più di liberazione per una delle due, più di ricerca di comprensione e di un affetto quasi materno per l’altra. (Le due attrici che animano magnificazione il duetto sono Valeria Golino e Matilda De Angelis).
Il ritratto non poteva certo escludere la vocazione letteraria della scrittrice. È evocata in particolare nel suo rapporto con il manoscritto del romanzo che sarà pubblica soltanto postumo, L’arte della gioia.
Mentre la protagonista osserva quei fogli con una tenerezza amara, come un figlio tanto amato ma respinto dal mondo, il manoscritto ci appare una prova concreta della frattura fra la scrittrice e la società.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 31 maggio 2025
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