Era una bella giornata di sole, il 2 luglio 1944. Bastava non guardare le case bombardate; bastava non incrociare per strada quelli della Muti o della X mas che potevano fermarti solo per uno sguardo di sbieco che avevi lanciato loro; bastava non pensare che c’era poco o niente da mangiare e... ti sembrava di essere in estate.
E allora, perché non staccare per un paio d’ore da quell’incubo che era diventata la vita quotidiana e andare a vedere il Milan (battezzato Milano perché gli inglesismi erano vietati) che giocava all’Arena contro la Juventus? Il giorno prima, La Gazzetta dello sport (che costava 50 centesimi), aveva annunciato la sfida in prima pagina in un articolo intitolato Lo scorcio della stagione di calcio. Partite ufficiali di grande richiamo ed intensa attività amichevole; mentre all’interno spiccava un altro pezzo, La Juventus all’Arena contro il Milano, in cui si scriveva: “Finalmente i tifosi rossoneri rivedranno in campo la loro squadra. E la rivedranno alle prese con un’avversaria di grosso calibro. Le condizioni di forma della Juventus offrono ancora una volta ai bianconeri la veste del favorito. Ma è noto come i rossoneri sappiano impegnarsi a fondo contro gli avversari di maggior levatura e si può essere certi che non sarà il puntiglio che difetterà domani nella gara in programma all’Arena”.
E così cinquemila milanesi, quel 2 luglio, a piedi, sui pochi tram che ancora circolavano oppure in bicicletta (stando bene attenti a legarla, perché il mercato delle bici rubate aveva toccato l’apice), si avviarono verso l’antico stadio napoleonico che, oltre a naumachie e manifestazioni politiche, da decenni ospitava le gare della Nazionale e dell’Ambrosiana-Inter. Certo, era solo un’amichevole, ma il Milan non giocava in città da quasi un mese e la Juve era sempre la Juve, perciò il colpo d’occhio non era niente male. Sulle tribune sedevano donne e bambini, giovanotti e anziani, oltre ai milanisti che dovettero sorbirsi una netta sconfitta. Evidentemente, il celebre orgoglio rossonero citato nell’articolo nulla poté di fronte alla superiorità dei bianconeri (nelle cui fila si schierò Giuseppe Meazza), che dopo quattro minuti erano già in vantaggio e chiusero il primo tempo sul 2-0, salvo poi dilagare nella ripresa.
All’85° il punteggio era sul (poi definitivo) 5-0 per la Juventus, e fu quando ormai della gara non fregava più niente a nessuno, che accadde qualcosa di inaspettato e terribile. L’aria sonnacchiosa dell’Arena, infatti, fu attraversata dalla voce dell’altoparlante che annunciava: “Per ordine del comando tedesco, tutti gli uomini delle classi 1916-1926 devono radunarsi all’ingresso Nord, tutte le donne e i bambini lasciare lo stadio dall’ingresso Sud e tutti gli altri uomini presentarsi all’ingresso occidentale con i documenti in mano”.
I presenti si guardarono sbalorditi: stava per essere effettuato un rastrellamento e loro si trovavano in gabbia. Poco male per i bagaj e per chi era a posto, ma quelli che, magari, avevano dimenticato il tesserino lasciapassare sulla madia di casa? O quelli che non ce l’avevano proprio perché renitenti alla leva o ricercati? E quelli che avevano documenti falsi (come si usava nella Resistenza)?
Possiamo facilmente immaginare la paura che si diffuse dentro l’Arena, tanto che si racconta di qualcuno che si buttò dagli spalti per cercare di scappare. Inutilmente, perché attorno all’Arena e alle uscite erano appostati i brutti ceffi della Guardia Nazionale Repubblicana insieme ai soldati italiani del reggimento di contraerea di Monza che dipendeva direttamente dai tedeschi. I quali, ovviamente, erano lì pure loro come mandanti di quella trappola scattata a totale insaputa delle istituzioni fasciste e della R.S.I., a dimostrazione dell’assoluta mancanza di considerazione in cui venivano tenute dagli “alleati”. Fu la Questura, alle 20.00, a inviare un fonogramma alla Prefettura informandola di quello che stava accadendo e che “ha destato impressioni et commenti”. In quel momento il rastrellamento era ancora in corso, e se si considera che l’incontro era finito verso le 17.00, si può capirne l’importanza. Tanto che, alla fine, furono trecento i ragazzi che vennero caricati sui camion e portati alla Bicocca, in un campo di raccolta della Todt, l’organizzazione tedesca che prelevava forza lavoro da mandare in Germania o da impiegare in lavori pubblici nei paesi occupati. Un numero considerevole, simile a quello degli scioperanti delle industrie milanesi deportati nel marzo precedente.
Di loro, della sorte di questi trecento giovani, al momento non si sa nulla. Vennero rilasciati? Utilizzati per qualche settimana a Milano? Oppure ingaggiati o trasferiti a forza in Germania? Da anni si cercano risposte all’epilogo di questo rastrellamento che rappresenta uno dei maggiori avvenuti in città.
Perciò, dalle righe di Tellus Folio lanciamo un appello: se qualcuno avesse avuto un parente, un amico o un conoscente che fu coinvolto in questa faccenda o avesse delle informazioni/testimonianze a riguardo, gli chiediamo di scrivere una nota in fondo all’articolo. Il titolare della rubrica, che da tempo si occupa del caso ed è stato il primo a pubblicare il fonogramma precedentemente citato nel libro Un calcio alla guerra, Milan-Juve del ‘44 e altre storie (Le Milieu, 2021), lo ricontatterà senz’altro.