Diario di bordo
Gianfranco Nerozzi: Il Codice del NERO
04 Maggio 2006
 
Quest'anno a volte è capitato, durante le presentazioni (o mentre tenevo lezioni o conferenze), che qualche mio nuovo lettore riferendosi al mio ultimo romanzo Resurrectum (ma anche con il precedente Genia), mi muovesse, per così dire, l'accusa di essermi ispirato a – o addirittura di aver “copiato” un po’ –
Dan Brown per quando riguardava certe atmosfere e certe idee, e per la caratterizzazione di alcuni personaggi, nel suo celeberrimo Il codice da Vinci.
Uno dei protagonisti del romanzo di Brown, infatti è Silas: un frate killer albino, grande, grosso e muscoloso, ossessionato dalla religione in modo fanatico e che si sottopone continuamente ad autoflagellazione.
Effettivamente Silas sembra una mescolanza fra due protagonisti della saga di Genia, nella fattispecie Salvatore Vanelsìn, il prete esorcista killer, che solo attraverso il dolore fisico riesce a tenere sotto controllo la propria dannazione, e Radius Fortuna, che è uno zingaro rumeno, albino e muscoloso, con gli occhi rossi, collezionista di crocefissi, che se ne va in giro a uccidere in modo spietato per risolvere i problemi di una cerchia di potere occulto che muove le fila di tutto.
Nei romanzi di Dan Brown si parla di oscure trame di potere legate al Vaticano ma non solo: prioriato del Sion, Templari, Illuminati… Nella mia saga si parla di membri del clero corrotti e di servizi segreti del Vaticano: Le opere vigilanti. Si parla anche di Superiori Sconosciuti…
Il mio romanzo Genia è stato pubblicato nel 2004, lo stesso anno in cui è uscito Il codice da Vinci, mentre Resurrectum è uscito nel 2005. Quello che mi piacerebbe che venisse puntualizzato è che questi miei personaggi io li ho inventati molto prima: e infatti si trovano nel romanzo precursore della saga di Genia: Cuori perduti, vincitore del premio Tedeschi nel 2001. E anche in un paio di racconti: Santissima scimmia scatenata, uscito in un antologia intitolata Jubileum, nel 2000, e Respiro di Babele, uscito su Investigare l'occulto, nel 2003.
Non voglio certo muovere a Dan Brown un'accusa di plagio, ci mancherebbe altro. Non sopporto certe manovre e certi atteggiamenti di gelosia nei confronti delle storie da parte degli autori. Riterrei presupponente pensare che Brown possa avermi copiato, e anche decisamente improbabile. Poi, anche se fosse, ne sarei lusingato invece che amareggiato. Questa mia lettera vuole solo puntualizzare e sostenere la mia innocenza a riguardo, piuttosto che esprimere fastidio o accuse. Esistono sintonie, ci sono sinergie, storie che aleggiano. Sapori, atmosfere che sembrano vivere di vita propria. Gli scrittori non fanno altro che carpirle, assorbirle, digerirle, mescolandole a emozioni e sentimenti, per farle entrare negli universi paralleli dei loro romanzi. E’ una questione di magia che si espande. Un magma comune cui tutti possono e devono attingere.
Io ho letto e sono rimasto affascinato dalla storia descritta da Dan Brown. E mi sono divertito a scrivere la mia storia. Non m'interessa se ci sono punti comuni fra me e lui, se ci sono idee che possono essere collegate o simili. Lui ha uno stile suo, molto diverso dal mio. Lui scrive di cose diverse, tratta temi differenti.
Adesso sta per uscire il film tratto dal suo libro. Tutta la città è tappezzata di manifesti con la faccia dell'albino Silas, il cappuccio sulla testa e quegli occhi spaventosi che emergono dalla penombra… E io li guardo e penso che quello assomiglia davvero tanto al mio killer e che quel manifesto lì potrebbe essere (per adesso solo ipoteticamente) anche quello di un film tratto dalla mia saga. E la cosa mi riempie d'eccitazione, non di rabbia.
Fare confronti non serve a nulla. E nemmeno dire: sono arrivato prima io.
Non è una questione di gare o di stanze riservate.
Tutto quanto fa parte di un insieme. L'importante è cercare di esserci. Sinceramente. Tutto il resto: mera speculazione che non serve a nulla. La scrittura è sempre un'operazione di magia. Noi che ne abbiamo fatto un mestiere siamo come gli sciamani delle tribù primitive. Creiamo sortilegi attraverso simboli potenti e registriamo transazioni. Non voglio usare paroloni tipo “significato cosmico”, che sarebbe esagerato. Formare le parole, in inglese, si dice spelling, che vuole dire anche incantesimo. E qui torniamo alla questione della magia. Poi possiamo ferire o guarire. Ed essere noi stessi feriti o guariti. Sempre grazie alla capacità di fare sogni speciali. E i sogni, quando sono comuni, diventano più potenti. Più necessari.
Vogliamo parlare di saggezza del mito?
Oppure semplicemente – l'ho già detto prima – sincere e semplici sintonie.
Codici per accedere.
Niente di più, niente di meno.
 
Gianfranco Nerozzi

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