Manuale Tellus
Il Trovatore di Giuseppe Verdi. Melodramma per la scuola
29 Ottobre 2009
 

D'amor sull'ali rosee / vanne, sospir dolente, / del prigioniero misero / conforta l'egra mente... com'aura di speranza / aleggia in quella stanza, / lo desta alle memorie, / ai sogni, ai sogni dell'amor! / ma deh! non dirgli improvvido, / le pene, le pene, le pene del mio cor, / deh! non dirgli improvvido / le pene del mio cor, / le pene, le pene del cor (Dal Trovatore. Parte IV. Il supplizio)


Venerdì 9 ottobre, nell’ambito della rassegna “Recondita armonia”, è andata in scena, al Teatro Comunale di Firenze, l’opera di Giuseppe Verdi Il Trovatore.

Il libretto in quattro parti e otto quadri, è tratto dal dramma El Trobador di Antonio Garcia Gutiérrez. Fu lo stesso Verdi a commissionare il libretto a Salvatore Cammarano e a revisionarlo, alla morte di questi, con Leone Emanuele Bardare.

Rappresentato per la prima volta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma, il Trovatore forma con Rigoletto e La Traviata la cosiddetta -trilogia popolare-. La trama, intricatissima, si sviluppa parte in Biscaglia e parte in Aragona all'inizio del XV secolo.

 

La scena si apre nel palazzo dell'Aliaferia dove Ferrando, capitano delle guardie, racconta agli armigeri la vicenda del figlio minore dell'allora Conte, fratello dell'attuale Conte di Luna, rapito anni prima dalla figlia di una zingara per vendicare la madre giustiziata dal Conte con l'accusa di maleficio. La zingara aveva poi bruciato il bambino e per questo motivo i soldati ora ne chiedono la  morte.  

Nei giardini del Palazzo intanto, la giovane Leonora, amata dal Conte di Luna, confida a Ines di amare un cavaliere che si annuncia col canto e il liuto in un’atmosfera dove:-dense nubi coprono la luna-

 

Tacea la notte placida / e bella in ciel sereno / la luna il viso argenteo / mostrava lieto e pieno...

Quando suonar per l'aere, / infino allor sì muto, / dolci s'udiro e flebili / gli accordi di un liuto, /e versi melanconici / un Trovator cantò.
Versi di prece ed umile / qual d'uom che prega Iddio / in quella ripeteasi / un nome... il nome mio!

Corsi al veron sollecita... / Egli era! egli era desso!... / Gioia provai che agli angeli / solo è provar concesso!... / Al core, al guardo estatico / la terra un ciel sembrò.

 

Frattanto il conte, che veglia sul castello, ode la voce di Manrico che intona un canto:

Deserto sulla terra, / col rio destino in guerra / è sola speme un cor / un cor al Trovator! / Ma s'ei quel cor possiede, / bello di casta fede, / è d'ogni re maggior / maggior il Trovator!

 

Tradita dall'oscurità, Leonora scambia il conte per Manrico e l'abbraccia ma l’equivoco è spiegato. Il conte sfida a duello lo sconosciuto e gli chiede di svelargli il nome. Il Trovatore dichiara di chiamarsi Manrico e di essere seguace dell’eretico Urgel. Ciò scatena l'ira del trovatore, che sfida a duello il rivale.

Sui monti della Biscaglia, in un accampamento, risuona il coro degli zingari al rumore dei martelli sulle incudini:

 

Vedi! le fosche notturne spoglie
de' cieli sveste l'immensa vôlta:
sembra una vedova che alfin si toglie
i bruni panni ond'era involta.

 

La zingara Azucena, narra al figlio Manrico,  che la madre condannata ingiustamente al rogo, le aveva chiesto di vendicarla, per questo lei aveva rapito un fanciullo, figlio del Conte di Luna con l’intenzione di bruciarlo, ma per errore aveva gettato tra le fiamme il proprio figlioletto. Manrico è sconcertato e molti dubbi lo assalgono; solo una madre avrebbe potuto curare le sue ferite dell’ultima battaglia e perché aveva esitato e non aveva ucciso in duello il Conte di Luna? Azucena gli fa giurare che in futuro non avrà pietà.

Un messo narra che Leonora, credendo Manrico morto decide di prendere i voti e solo il tempestivo arrivo di Manrico, sottrae l’amata al rapimento ordito dal conte, giunto sul posto.

I soldati del Conte di Luna si radunano nell’accampamento per assediare Castellor, difeso da Manrico.

Azucena è catturata da Ferrando che la identifica come la donna che aveva rapito e bruciato il fratello del conte. La tortura e la condanna al rogo.

Manrico e Leonora stanno per sposarsi in segreto e si giurano eterno amore, quando sopraggiunge il Conte Ruiz ad annunciare che la zingara Azucena è stata catturata e che il conte ha acceso la pira per bruciarla. Manrico si precipita in soccorso della madre e canta furente:

 

Di quella pira l'orrendo foco
Tutte le fibre m'arse avvampò!...
Empi spegnetela, o ch'io tra poco
Col sangue vostro la spegnerò...
Era già figlio prima d'amarti
Non può frenarmi il tuo martir.
Madre infelice, corro a salvarti,
O teco almeno corro a morir!

 

Ma Manrico non riesce a liberare Azucena e viene egli stesso imprigionato nel palazzo dell’Aliaferia. Insieme, madre e figlio aspettano l’alba per essere giustiziati.

Leonora si promette al Conte di Luna ma in cambio chiede la vita dell’Amato. Il conte dapprima incredulo, poi cede e Leonora chiede che sia lei a portare la notizia a Manrico.

La sequenza è straordinaria, degna del più alto tono romantico, complici la scena e la musica che ne modula tutti gli effetti. Ma prima di entrare nella torre, Leonora prende, di nascosto, il veleno che ha nell’anello.

 

Manrico e Azucena sono in attesa della loro esecuzione e un ricordo dolcissimo viene da Azucena evocato:

Ai nostri monti... ritorneremo...
L'antica pace... ivi godremo... 
Tu canterai... sul tuo lïuto...
In sonno placido... io dormirò!

  

Così canta, e mentre la donna si addormenta sfinita, Leonora raggiunge Manrico e gli dice che è libero e lo implora di fuggire.

Ma quando Manrico apprende del ricatto, si rifiuta di allontanarsi e lei gli confessa che si è avvelenata per essere soltanto sua.

La musica scandisce il momento più sublime del dramma, come altre eroine di Verdi, Leonora muore per Amore. In quel momento arriva il Conte e di fronte a Leonora morente, ordina la morte per Manrico. Il dramma raggiunge il suo culmine: vendetta è fatta; e quando il Conte di Luna le mostra Manrico morente, la donna urla trionfante che Manrico altri non è che suo fratello e che finalmente la vendetta di sua madre morta sul rogo si è consumata:

«Egli era tuo fratello. Sei vendicata, o madre» e cala il sipario su un dramma fortemente cupo, angosciante ed espressivo nelle voci, ma altamente suggestivo negli effetti scenici, nella musica “superba”: viva espressione del dramma stesso.

 

La vendetta è dunque il filo conduttore di tutto il dramma che si compie per una beffa del destino: Amore, inganno, mistero e tragedia sono gli ingredienti di un dramma che guarda alla tragedia antica e al gotico più nero. Il contesto naviga nel più cupo Romanticismo con atmosfere notturne fatte di ombre, nuvole, luna, raggi, espressioni ed elementi cari agli artisti romantici. Tinte fosche in piena sinergia con il carattere dei personaggi, con la musica e le parole.

  

Emerge un mondo arcaico-zingaresco, affascinante, vendicativo. Il rogo accende la notte di cupi sinistri, il fuoco brucia la zingara e rinfocola nei cuori la vendetta. La trama torbida e delittuosa è intrisa di gelosia che attanaglia i cuori di Manrico e del conte; divisi all’inizio da un destino crudele, entrambi amano la stessa donna e il destino avverso li avvolge e li travolge nella vita, nell’amore, nella morte di Leonora e Manrico. Intrighi, rapimenti, duelli, fedeltà, giuramenti coloriscono la trama dove attraverso il racconto emerge la psicologia dei personaggi e la musica ne sottolinea mirabilmente gli stati d’animo, forte e vibrante, cattura lo spettatore nel racconto e lo rende vivamente partecipe.

 

È nel contesto romantico che il Melodramma interagisce con la letteratura e offre alla didattica l’occasione per porre in sinergia storia, letteratura, musica e arte (Francesco Hayez era lo scenografo di Verdi). Il Melodramma si inserisce per toni, trame e vicende in quella linea del romanzo storico e gotico che tanta fortuna avrà in Italia (pensiamo a Manzoni) e ne segue le fasi successive.

L'interazione dei linguaggi è importante nell’insegnamento, in ogni ordine di scuola, per avvicinare i ragazzi, alle Arti e per farli crescere in sintonia con esse. Fondamentale è la conoscenza del linguaggio musicale.

 

 

Plauso al Coro del Maggio fiorentino, da sempre straordinario.


Massimo Zanetti direttore
Franco Ripa di Meana regia
Edoardo Sanchi scene
Silvia Aymonino costumi
Guido Levi luci
   

Juan Jesús Rodríguez Il Conte di Luna
Kristin Lewis Leonora
Anna Smirnova Azucena
Stuart Neill, Valter Borin (13) Manrico
Rafal Siwek Ferrando
Elena Borin Ines
Cristiano Olivieri Ruiz
Alessandro Luongo Un vecchio zingaro
Fabio Bertella Un messo
 

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Piero Monti maestro del Coro

     

Testo a cura di Anna Lanzetta


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276