Diario di bordo
Gianni Somigli. Renzi e la spina laicità 
Imbarazzi istituzionali in Firenze
28 Ottobre 2009
 

Esiste una parola che, non appena viene pronunciata, anche se a voce bassa bassa, flebile flebile, scatena terremoti, tsunami, rivoluzioni, nonché un fastidioso prurito intimo. Quella parola, la scriviamo piano piano, flebile flebile, è: laicità.


Che si tratti di un argomento spinoso, quello della «indipendenza da qualsiasi chiesa o ideologia» (Dizionario Sabatini Coletti), ormai lo sanno anche i sassi.

Se però atti approvati dal consiglio comunale vengono “evasi” dal sindaco proprio perché toccano tematiche concernenti il diritto di ognuno di vivere, amare e morire come gli pare e piace, il problema si sposta. E non di poco. Se di un gradino più in alto o più in basso, questo lo può decidere il cittadino.

Ma quali sono gli atti che hanno messo in imbarazzo il sindaco Renzi e, per amor di verità, non solo lui?


Tutti ricordano il bailamme che si scatenò per il conferimento della cittadinanza onoraria a Beppino Englaro. Anche in quel caso, l’ex sindaco Leonardo Domenici preferì rivestire un ruolo di secondo piano; l’attuale sindaco Renzi, invece, si espose con forza: “No alla cittadinanza onoraria a Englaro. Sono contrario perché questa non è una proposta seria, ma una provocazione”. Provocazione da parte di chi nei confronti di chi e per quale motivo, non si è mai saputo.

Veniamo ai giorni nostri.


Avevano dato una qualche speranza le parole dell’assessore all’ambiente di Firenze, Cristina Scaletti, per l’inaugurazione dell’iniziativa “Gli Alberi degli Eroi Civili”. «Abbiamo il dovere di ricordare persone come Teresa Strada che hanno lottato per la pace, per l’uguaglianza, per la legalità» commentò Scaletti. C’è chi, da questa notizia apparentemente secondaria, aveva tratto un’impressione: che finalmente la guida politica di una città come Firenze avesse cambiato decisamente rotta in tema di diritti, libertà e dintorni. Un’impressione non del tutto errata.


Infatti, il consiglio comunale approva in rapida sequenza alcuni documenti che fanno drizzare i capelli a vari esponenti della maggioranza e dell’opposizione.

Prima, un documento che richiedeva l’invio del Gonfalone di Firenze alla manifestazione contro l’omofobia del 10 ottobre a Roma. Solo che del Gonfalone fiorentino, a Roma, non ce n’è stata traccia; esattamente come non s’è visto alla manifestazione indetta a Firenze, sempre in tema di lotta all’omofobia, a metà settembre.


Rispondendo ad una domanda d’attualità del Gruppo Spini per Firenze, Renzi ha motivato la latitanza del Gonfalone sostenendo che tali manifestazioni avevano «contenuti non condivisibili da tutta la città di Firenze». «Motivazioni molto gravi» ha attaccato Tommaso Grassi, consigliere comunale della Lista Spini «visto che il consiglio comunale aveva approvato un documento. Ricordiamo al sindaco che è il consiglio comunale che rappresenta i cittadini di Firenze».


«La città di Firenze ha perso un’occasione» rincara Ornella De Zordo «perché in questo clima pensiamo fosse ancora più importante l’invio del Gonfalone, come chiesto dalla mozione approvata dal consiglio». Il problema, quindi, non è più la tanto sbandierata “libertà di coscienza”. Il problema è senz’altro politico: è legittimo evadere documenti approvati dal consiglio comunale perché difformi dalla propria impostazione ideologica?


Ultimo capitolo, per ora: l’istituzione del Registro dei Testamenti Biologici. Anche in questo caso, l’argomento è una spina nel fianco di un partito come il PD, ancora alla ricerca di una seria quadratura per tutto ciò che sfiora appena temi di questo genere.

Il documento, che ovviamente non impone un bel nulla a nessuno ma offre una possibilità di pubblicità a chi liberamente vuol disporre le proprie volontà in materia di fine vita, è proposto, votato e approvato dalla maggioranza.


Tutto bene, quindi? Ma quando mai: il sindaco durante la votazione abbandona l’aula, suscitando l’ilarità dell’opposizione che con Donzelli attacca accusando Renzi di essere «come Ponzio Pilato, fugge dalle proprie responsabilità per non decidere sulla vita». Con lui, tre consiglieri del PD votano contro. Come sempre, moderato il commento di Betori: «Atto illegittimo». In casi come questo ricorrono «condizioni di coerenza con i valori fondamentali della visione antropologica illuminata dal Vangelo che richiedono ossequio all’insegnamento del Magistero». Un puntuto affondo degno del miglior Conte Mascetti.


Il problema è evidente. Certo, esiste solo quando si toccano certi fili. La soluzione potrebbe essere quella ormai nota, sperimentata e suggerita: fare ma non dire. D’altronde, come sostiene il consigliere PD Massimo Fratini che ha votato contro il Registro, «l’autodeterminazione della libertà di ciascuno non si discute (sic!), ma già oggi la si può esercitare da un notaio. Perché la si deve rendere pubblica con l’istituzione di un registro?».


Insomma: ognuno può fare come vuole, basta farlo nelle segrete stanze, sia mai che si rechi disturbo a qualcuno. La domanda, però, resta senza una risposta. In democrazia, finché ci si può definire in democrazia, vige una regolina d’oro: quella della maggioranza che decide. Il consenso al 100% è impossibile raccoglierlo. Impossibile per tutti tranne uno, si sa.


«È chiaro che c’è un problema di laicità da parte del sindaco, che appare più in sintonia con la destra clericale che con il proprio partito e la propria maggioranza» sentenzia Grassi. Il problema, in fondo, sta tutto qua. E sarebbe forse il caso che qualcuno ci spiegasse come stanno le cose davvero.

Oppure, se non ce lo vogliono spiegare pubblicamente, che esercitino il loro diritto di replica da un notaio. Piano piano, senza disturbare il can che dorme.


Gianni Somigli


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