Telluserra
Marina Pizzi: "Il sonno della ruggine". Seconda parte
Roualt: Clown tragique
Roualt: Clown tragique 
14 Ottobre 2009
 

26.

appello di cortecce stare al mondo,

per l’ilarità del picchio che si fa casa

ben dentro ed oltre di noi.

per ben morire di distacco accomodo

la faccia e la ciliegia del sedurre

è senza caccia. il remare è un apologo

di rondine in cialda di speranza.

non fa per me la lenza di abboccare

dove le cicale avventano l’estate.

in mano al coraggio della letizia

c’è il presagio di buttare la noia

dove si attacca il calvario dell’arcistato.

27.

stenti del pane rivedere Ottobre

sulle lacrime del basto.

28.

dunque io sono in un rosario di stenti

dove le stigmate approdano alle rondini

nel cordone del sale si fa dannoso il vento.

29.

metamorfosi del sale stare al mondo

allibiti presagi giacche inutili

dentro le giostre degli abiti vanesi

nell’alibi del sogno farsi allegri

coriandoli di stoppie fuoco buono.

il cuoco delle nuvole ha l’eco debole

pianto di fiaccole a venire

nel leggio del gioco i bimbi lesi.

allarme di coriandoli capire

quale dolore voglia la scommessa

della resistenza. la stanza è scomoda

come un’arringa contro. dove il dominio

strega il gran chissà quasi a vincita

sul lutto del muro di cinta.

30.

aspettami dove inciampano le lumache

queste graziose tarde, e se il despota

che suona le campane imporrà dazio

alla lentezza di morire… aspettami dove

il panico è retroguardia e la regina è

integra tovaglia per la più affettuosa

delle cerimonie. non guardarmi il petto

che non si salva né mi vale un essere

di meno. convogliami sul greto d’ultimo

schedario, sconvolgi l’ordine alfabetico

bisbetico verso il caos, chiama a casaccio

la sberla del sogno in fiamme. le reti

del talismano fioriscano ebetudini,

una discesa in bicicletta senza botto

con la farfalla dietro e davanti.

31.

il soffio sull’inguine come preghiera

maretta anonima di sfinge.

così un amoretto in fasto con se stesso

come a dire vieni con me presso

le rondini cicale più che indefesse

per ridere la gioia e la chimera avere

verso la rendita del tocco del felice.

imbastito un sodalizio vermiglio

voglio restarti tifo di gran baci

e singole vogliette per non piangere.

32.

marette di coriandoli vederti

senza tiro di ruggine. in collo

alla stoppia voglio morire

senza indice di fuoco. attore

di voragine la notte

svuota l’esempio di resistere

così con le cibarie senza zucchero.

in mano alla gioia della serra

i fiori seducenti sacerdoti

carezzano la terra le doti

accese delle canzoni ai piedi

dell’altare tale e quale al tuo viso

sognante ascesa verso il sapiente.

in te avvinghierò la via

per una linfa di faro.

33.

torna al cielo in un vagito d’antro

cerca chi trovi in prossimità del buio

lucertola spiegazzata vano del male.

in un ritrovo di torti il tuo cocciuto spalto

capriccio del petto sole d’altri.

invece di gettare le padronanze in briciole

vuoi il trono di una voce collera

sapienza di una nomea più forte.

intruglio e cacciavite spingono il tuo talamo

verso la rena che innamora calda

e resta svestita per l’incontro all’amo.

in palio alla mestizia del sillabario

ti crederò morente, milizia dello spigolo

che uccide. coi rimorsi delle giacche appese

resta la scuola che non seppe niente

neppure raccontare quale tara

uccise la ginnasta ben che brava

sulla trave della statica vendetta.

34.

la penuria del delta non scapperà

la mia prigione. mille rivoli una sola

mattanza. quale distanza spezzò la nostra

sfera? non vedo più nulla che foglie

sfarinate sul selciato di ogni via.

il bambinello del ritmo smuore

lontana eco cattiva. dove sei

madre del lentamente quando si cresceva

per grandi abbracci liberi.

ora la gerla è scalcinata foggia

di una regìa balorda. baraccopoli

d’innesto stare a guardare quale

libertà aspettare. hanno malie del silenzio

i boccoli del sabato mattina quando si attende

che vada via il despota con la sporta di segatura.

ora è la sabbia che ci sbilancia i piedi

per l’eresia della corsa di non più tornare

né arrivare.

35.

sillabario in spada il mio concerto

badato dalle rendite del fuoco

per il datario che non sa attendere

le cresime del giunto. in meno di un

salario le ginocchia frangono lo specchio

per uno spicchio buono di lenzuolo

dove poter risolvere il sudario

in un diario di gioia. qui la fanga

sgomitola dagli angoli e le goliardie

dei passeri non bastano né le rondini

soccorrono. dammi un passo invernale

una conversazione rotta dallo spavento

di esistere. ogni tegola si muove in un ballo

bacato dal coma della vela. la sella bara

su come sorreggere la nuca gravemente

bassa per lo sguardo basso. in tema di

veliero il sesto senso torna naufrago.

36.

fu felice il mio tiro con l’arco

mannaia asciutta senza vita

e ben contenta la nazione d’asma

che cerca nel respiro il continente

il globo della rendita di ossigeno.

ingenuo il fatturato del ladro

che esporta le radici verso dove

la petulanza del mare turba la stanza.

il fatuo ordigno del nostro amore

ha le membra dilaniate dallo sfarzo

della gioia. a ciuffi a ciuffi l’erba

si scatena ordinanza di nascita.

37.

ero un giovane apolide chiuso nel sacco

della lira con poca musica. mi accompagnavano

il livido e l’eclisse in una mattanza di lune

quasi ad essere felice nel nulla.

un nodo scorsoio annullò la frottola

del sonno. da solo come un orfano

fantasticavo la venia del burrone

la faccenda in stinco d’inciampo.

volli l’elemosina di tutti

in una stoviglia di premio

in un apologo di gola.

dammi un bacio ultimo verdetto

contro questo destino di stile

nerissimo subbuglio d’anima.

38.

la notte della voce

tra stratagemmi e esequie

così un cataclisma è uguale a un neo

nella vicina eclissi nella cialda del fato.

nel quadro del soqquadro chiedo venia

di una domanda frequente quale perché

il buio faccia rendita di resina del tutto.

in veste di premessa non so dirti

quale persiana erutti fiele

e non sappia del volo il modo.

in vista di una gioia senza messa

vado a cavalcioni di una spada

con l’abaco che incontro a far cortese

il conto. tu amerai il diletto della freccia

che sotto vanti di respiri incede

verso la rotta che si spunta su chiunque.

esequie blande come a non dire

omelia del tragico.

39.

un’ombra di storiella ha preso mano

nello spogliatoio. sono io che invento

una mangiatoia d’eclisse. una pace nuda

lontana dai dadi del probabile. il ballatoio

degli uomini è bile che infiamma le rotte.

le unghie che graffiano gli angoli

per figurarsi vivi. ma è ben terribile

la fiaccola del trono. il pianto ripido

del sale temporale alle ferite.

dove s’insinua l’abaco

nulla ritorna vivo. le staffette

del concavo divieto sono perfette

doglie del perdente. tu che credi

alunno il mistero non impari la lingua

né il traguardo. a termine le giostre

il giro sfanno, rompono i cardini

e le fosse non bastano.

40.

qui si consuma il rito del bivio

questo paese in epoca di fango

tra la via genesi e il baccano.

purtroppo sta qui la paura d’ascia

la pomice d’inciampo in piena eclissi

la sicumera giovane della bellezza.

la mèta senza scampo della cintura

accentua le rotte del vanesio

come una scuola rotta. lo scatto

del diluvio attenta le cimase

per il lutto di nidi appena intenti

a reggere la vita. qua la persiana

arresa qua rimane aperta per la cesta

delle uova inguaribili ragioni

di sospetto.

41.

in mente ho un focolaio di lamiere

una stanchezza d’abaco sul numero.

un torto immacolato mi perseguita

verso un muretto adorno di camelie

e le cicale libertarie impazzano.

intorno un verdetto senza indice

una parola sola: morte sùbito

dentro l’incastro in colla di meandro.

così quando credevo alla pagella

nel gesto del vedovo maniaco

intorno al collo della mia vicenda.

l’amara rotta di cadere in pasto

all’avvoltoio in giacca da cerimonia.

morì la logica di spartirsi il mito

quando da qui non vedi più nessuno

né il brevetto avvera avvenimento.

qui sotto pressa di credere la cerchia

gioca alle sberle il minimo sedotto

da sotto il tiro di vergare il bilico.

42.

va via la vita che comunque è tutto

da sotto il gelo del martirio muto

che comunque rattoppa le gimcane

per fare la vita da rifare.

parecchio indietro il gioco delle fonti

quando zampillio di vivere era il trofeo

la festa senza stadio di condotta.

in mano la repubblica del sacro

la gioia tutta di guardare intorno

le lumache e le cicale di baldoria.

va sotto l’abaco di scontare inferno

questa nomea tragica

maschera mortuaria e posi il vento

chi non cerca appoggi. le male storie

del fracasso d’assi non amano le vedovanze

né gl’incassi superbi delle rendite.

43.

tra le ruberie una mansuetudine di acrobata

imparai senza rubare. così la scala mi fece

festa quando le toccai l’ultimo gradino.

il discolo ecumenico del fato

non ebbe pietà per rantoli fiabeschi

né per le gare dove tutti perdono.

in mano al festino della regola

ridono i piccoli che non sanno niente

né i chicchi dentro i doni delle gioie.

invano il precipizio mormora la rettitudine

del chiodo. qui è ormai sabato sconnesso

senza domenica. apprezzo il botto del cristallo

credulo sotto i fantasmi delle nuvole.

44.

utilità del fango stare all’erta

con il viso camuffato da rondine

per disubbidire al caos della cella.

imbrunire la spocchia del sole

per la retata delle ceneri

e l’allegria del pane, finalmente.

smisurato comignolo la notte

dove è costretto il mare nella siepe

e la ferita del pettirosso è la catastrofe.

tu se senti un idolo venire

corri lontano dove si desertifica

la soglia della logica. l’illogico

le è gemello con un gerundio addosso

per entrambi. la rovina si strazia

alla cimasa. l’ordine d’ufficio un sale

sparato dalla gronda della ruggine.

fai di me un sacco senza fondo

così per aggirare la scommessa

dell’intingolo velenoso. so da adesso

somigliare al faro senza ascolto.

45.

incontro un posto

stonato netturbino

bambino sotto il buio

io in un tronco di coma.

baciami in fretta

con il dolore della cialda

senza festa.

46.

in più se posso darti un abito da sposa

sarà felice il passo della rendita

arcobaleno senza temporale

suolo senza tonfo.

amarezza della tombola quando

si affossa il mare: era così che piangevo

da bambina in uno sgabuzzino di

binario stortignaccolo. vieni con me

a ridere la nebbia con la gitana bella!

annullami il calvario della tana

e quello strofinaccio senza fine

né polo con la luce. qui le carte

del varo del poeta conoscono

il calvario del longevo. in meno

di una resina boschiva vorrò

il sudario il nome del brio di chi

comanda sulle darsene a divieto.

dimmi di te e portami sul pianto

delle badate regole a morire.

47.

mitologia del cencio sonno della ruggine

stare a casa con le mani in mano

dove alla noia si affretta l’esule.

in mano alla baracca della lupa

questa carcassa d’ascia per strattoni

di pietra. l’elegia del sangue

fa sempre le scale a piedi

per giostrare l’encomio con la rondine

discola e spartana. con il disordine

del lutto l’amore si fa pezzente

ormeggio dentro darsena e silenzio.

da zero in zero la foggia della gerla

bivacca d’altitudine e perturbamento.

48.

rovina e guasto stare imputati

dentro la bolgia della girandola

sorella del vento tata di ventura

con la bambina in argine di cielo.

imparato a memoria il breviario

sotto le unghie per sopravvivenza.

verrà nel lutto il traffico cannibale

la bara fatta di ciliegio in fiore.

incudine e martello la bramosia del sia

quando il sosia della sosta accanto

studia le rovine della rotta.

così l’impegno del salario stanco

avvera le proteste del gabbiano

rimasto senza pesce. scende la giostra

un’ira al protocollo. qui non si fa

più lezione di meraviglie.

49.

in un buco di elemosina ho visto il sole

partecipe del lusso di una perla

a ruzzoloni tragica. attorno alla ventura

del crisantemo temo chi sono

e lo spreco d’anima. paese di soqquadro

starti a guardare ragazzo della mia

solitudine. un imbarazzo di rotta

apprese quale calvario disimparare.

anni del panico il sogno disumano

quando rappreso il gomito salino

attorcigliò la gola rese testamento.

la storia vuota senza cipresseta

inquina questo orizzonte. da domani

la fiaccola del sale lascia lo zaino

dorme nuda il faro ben lontano, cieco.

50.

accorri con me a monte

chiamami con la mente del riscatto

sì che possa capire le lunatiche

frodi. indaga con me quale

occorrenza possa stordire

l’assassino per scappare in piena

uccisione scampare. ho paura

di non farcela su niente e le campane

suonano a morto. il torto della luce

è la baldoria del caos di macete.

la mela del dolore non si può mordere

né sotto il cielo logorare stelle

per la saccoccia bella delle sorprese.

in coda al giramondo non sentire

la voglia di fuggire, è un cortile il giro

 

e la giacca sulla madonna non dà guarigione.

 

                                                     Marina Pizzi

 

....Continua


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276