Spinus
Leal/SO. Caccia al cinghiale in Valtellina? Le ragioni del nostro no
11 Ottobre 2009
 

In queste ultime settimane sui media locali sono state spese numerose parole contro i cinghiali che sarebbero presenti in gran numero nei comuni di Ardenno, Buglio in Monte e Berbenno di Valtellina. L'unica soluzione prospettata dagli abitanti e dalle autorità è quella dell'abbattimento degli animali. Motivando questi provvedimenti con una serie di argomentazioni che in genere sono danni all'agricoltura e pericolo (sic) per la popolazione.

Sulla “pericolosità”, decenza vorrebbe che si citassero le vittime umane della caccia (mediamente più di 150 ogni anno, tra morti e feriti) piuttosto che improbabili assalti alle case da parte di orde di cinghiali. È sempre bene ricordare che la diffusione di questi ungulati è stata causata negli scorsi anni del mondo venatorio per il proprio “divertimento”, ciò è dichiarato non da estremisti animalisti ma da eminenti etologi di fama nazionale, quali Danilo Mainardi e Giorgio Celli.

Bisogna sottolineare che «In Italia, nel 1991, abbiamo accertato la presenza di 661 allevamenti di cinghiale per complessivi 14.095 capi. La consistenza media per allevamento è di 21 capi».*

Alla luce di tutto ciò, vietare la caccia al cinghiale è il minimo che ci aspetteremmo. Inoltre sarebbe da vietare anche l'allevamento dei cinghiali in Italia e, ovviamente, la loro importazione.

La senatrice Donatella Poretti (radicali – Pd) ha depositato in Parlamento un disegno di legge per istituire il divieto a livello nazionale di immettere cinghiali sul territorio.

Invece l'apertura della caccia al cinghiale in Valtellina sarebbe lo scopo che vogliono raggiungere proprio coloro che lo introducono nel territorio provinciale. La gestione degli stessi da parte delle amministrazioni provinciali dovrebbe essere mirata, secondo le norme, ad un controllo etologicamente corretto che preveda al primo punto metodi che allontanino i cinghiali dai campi e dalle zone abitate, quindi controllo sul cibo, non lasciare rifiuti indifferenziati a terra, recinzioni, chiusura di varchi, zone dedicate con mangime antifecondativo lontano dai paesi, recinzioni elettrificate, campi coltivati a perdere, recinti odorosi, segnaletica stradale, dispositivi ottici riflettenti ecc., già utilizzati efficacemente in altri paesi del mondo.

Noi vogliamo ribadire il nostro no a tutte le soluzioni cruente e incivili.


LEAL – Sezione di Sondrio

(per 'l Gazetin, ottobre 2009)


Per informazioni e adesioni:

michele.mottini@cheapnet.it



* A. Salghetti, Istituto di Economia Rurale e Zooeconomia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Parma.


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