Telluserra
Riccardo Cardellicchio: Firenze 1857
Ritratto di Gian Gastone (1671-1737), ultimo Granduca dei Medici (Richter, 1737, Galleria Palatina)
Ritratto di Gian Gastone (1671-1737), ultimo Granduca dei Medici (Richter, 1737, Galleria Palatina) 
23 Agosto 2009
 

Che intenzioni hai?

Aspetta. Non si può parlare ora.

Ma hai la salma, quella salma, da una parte.

Ufficialmente è perché va sistemato il sarcofago.

Ma se è il meglio messo.

Ti pare.

Mi pare?

Ti pare.

Mi prendi per un bischero?

Voglio che tu ti cheti. Ti riesce chetarti?

Voglio capire.

Per ora un c’è nulla da capire.

I due si trovavano nelle Cappelle Medicee di Firenze. Il granduca Pietro Leopoldo aveva deciso la nuova collocazione delle salme dei Medici in base a una sua idea, che poi sua non era proprio, ma lui diceva che lo era. E lui era il granduca.

La salma, messa da una parte, era da sistemare dietro l’altare della cripta maggiore. Ma il più anziano dei due operai - detto lo Stinco (o Stincodisanto), per essere uno che ne combinava - non aveva alcuna intenzione d’eseguire l’ordine.

Ti gira in testa qualcosa di poco di bòno, – gli disse il più giovane, chiamato il Becchino, per quella sua aria funerea. Neanche lui era uno stinco di santo, ma su certe cose ci andava cauto. Eppoi, quel corpo imbalsamato gli dava allo stomaco. Aveva sentito che si trattava di Giangastone, l’ultimo dei Medici, morto nel luglio del 1737. Uomo chiacchierato. Morto male.

Ma che te ne fai della salma?

Non t’agitare.

Non m’agito. È che c’è altra gente e, se vede qualcosa di strano, che non va, ce la può far passare brutta. E io non ho voglia d’andare in gattabuia. I morti, per di più, bisognerebbe lasciarli in pace.

Fidati di me.

Fino a un certo punto.

La mettiamo nella cripta piccola, quella che va giù.

E perché vuoi metterla lì e non al suo posto?

Perché ci possiamo tirar su un po’ di soldi.

E come?

Diciamo, per esempio, che se la rivogliono, devono pagare.

Madonnasanta. Ma a chi li chiedi, i soldi?

A chi vuoi che li chieda?

Al granduca?

Non proprio a lui. Diciamo a chi è responsabile dell’operazione, la persona incaricata dal granduca.

E come fai ad arrivarci?

Ci s’arriva. Ci s’arriva.

E se un gl’interessa?

E noi lo diciamo a qualche gazzettiere che non si trova più la salma di Giangastone e nessuno fa niente per cercarla.

Pensi gliene importi qualcosa?

Fidati di me.

Mi sembra pericolosa, la faccenda.

Noi, la salma, non la si porta via. La si sposta di qualche metro. Rimane nelle Cappelle. E noi ci si mòve senza problemi. Un si deve andare a spifferare in giro nomi e cognomi. S’agisce nell’ombra. Si mandano messaggi.

Continuo a sostenere ch’è pericoloso.

Se vuoi, stai in disparte. Mi mòvo io. Ma, come apri bocca , un secondo dopo, hai il coltello, che conosci, alla gola, e non per divertimento.

Furono gli ultimi, i due, a uscire dalle Cappelle Medicee. Era già notte.

*

Sono andati a controllare e hanno visto che la salma un è dove previsto, – disse lo Stinco.

Hanno guardato anche da qualche altra parte? – chiese il Becchino.

No. Non sanno che esiste la cripta piccola, con que’ sette corpicini di morti prematuri e la salma di quell’adulto. Tutti sconosciuti. Non sanno che c’è, anche perché s’è murata. Siamo solo te e io a saperlo. E, se parli, Diotisalvi.

Che storia pericolosa.

Insisti.

Come si fa a stare tranquilli? Io un ci riesco. Io un voglio finire in gattabuia.

Finisci ricco, ecco la verità.

Se lo dici te.

*

Si sparse la voce che la salma di Giangastone non c’era più. Trafugata, con ogni probabilità. Ma perché? Una settimana dopo, il granduca veniva messo al corrente: qualcuno vuole soldi, neanche pochi, per far ritrovare la salma.

Leopoldo chiese: – Si ha un’idea di chi potrebbe essere questa gente?

Gli fu risposto che, al momento, non c’erano certezze. Soltanto qualche sospetto: due tipi che hanno lavorato alle Cappelle.

Agite per il meglio – raccomandò Leopoldo. – Non ho intenzione di dare soldi per un morto. E che morto, poi.

*

Il Becchino non stava alle mosse. C’era di che buscarne, e sode anche. Altro non vedeva.

Lo Stinco, invece, aveva fiducia. Si ripeteva: ho agito con prudenza, non rimane che aspettare.

Passarono i giorni, ed erano fatti di silenzio.

Qui conviene tagliare la corda – disse il Becchino. Era pomeriggio inoltrato.

Lo Stinco lo guardò male: – Non hai un briciolo di coraggio.

Non voglio finire ai ferri per aver avuto coraggio. Uno come me deve pensare soltanto a farla franca. Io vado a casa.

S’allontanò. L’intenzione era di non farsi vedere più insieme allo Stinco. Camminava a testa bassa. A un certo punto, verso Ponte Vecchio, sentì dire forte: – Eccolo. – Alzò la testa e vide due birri. Uno lo indicava minaccioso.

Prese a correre. Diobònmo, ci hanno scoperti. Ma come hanno fatto?

Fermati, – urlavano i due birri. – Vogliamo parlarti. – Ma lui non sentiva. Non voleva sentire. Si trovò a correre lungo l’alzaia dell’Arno. Capì che i birri erano aumentati. Aveva il fiato grosso. Ma non voleva farsi prendere. Si sentiva in trappola. Una sola via di fuga. Si tuffò in Arno con l’intenzione d’attraversarlo e far perdere le tracce. A mezzo, si sentì andare giù. Non ne aveva più. Gli prese la paura. Annaspò. E non s’accorse del mulinello.

Recuperarono il corpo la mattina dopo, fuori di Firenze un paio di chilometri. Lo vide un pescatore.

Lo Stinco ebbe la notizia, la sera, nella bettola del Truce. Aveva in corpo mezzo litro di rosso. Non voleva crederci. Poi uno gli dette la prova che non poteva essere che lui, il suo amico, il suo compagno nel bene e nel male.

Buttò giù un altro mezzo litro, eppoi un altro ancora. E cominciò a parlare a voce alta. Parlava senza rendersi conto di quel che diceva. Qualcuno rideva. Altri facevano smorfie. Il Truce stava per sbottare.

Poi li vide, i due birri, sulla porta. Lo Stinco fu preso da una grande rabbia. Urlando, tirò fuori il coltello e si lanciò contro di loro. Ferì uno al braccio. L’altro si scansò e l’infilzò con uno stiletto. Lo prese in pieno petto. Traballò, lo Stinco, addosso a due carbonai mezzo ubriachi. Uno gli dette una spinta per allontanarlo e si macchiò di sangue. Lo Stinco franò su un tavolino vuoto, poi finì sul pavimento, e rimase fermo. Statua. Spirò poco dopo.

*

Il granduca Leopoldo ascoltò in silenzio, gli occhi chiusi, quel che gli disse il capo dei birri. Poi sbottò: – Bell’affare. Li avete fatti morire. E ora come si fa a scoprire dove hanno nascosto la salma di Giangastone? Vi avevo raccomandato d’agire al meglio. Invece avete voluto fare di testa vostra. Ma guarda te con chi ho a che fare.

Leopoldo scosse la testa. Biascicò: – Povero Giangastone.


Riccardo Cardellicchio


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276