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Paolo Brondi. All’ombra del quarto platano
22 Luglio 2009
 

C’era un tempo in cui l’estate di Forte di Marmi, al profumo del mare accompagnava il sapore, altrettanto fine e prezioso, della cultura. Nell’avvicendarsi delle stagioni estive, dagli anni Venti ai Sessanta, all’ombra del quarto platano del caffè Roma, sostavano, Ungaretti, Malaparte, Gadda, De Robertis, Montale, Papini, Pea, Moravia, Pratolini e tanti altri, pittori, scultori che, mentre il sole faceva il suo ultimo giro, rimescolavano idee e ideologie, in un ventaglio di opposte credenze aspre nell’acceso discuterne, parodiandosi reciprocamente, sfavillando di auto ed etera ironia, comunque legittimando il luogo quale novella ara consacrata all’arte e alla poesia. Il quarto platano, che ombra faceva al lato sinistro di Piazza del Fortino, era così divenuto segno distintivo e faro per quotidiani incontri fra intelligenze non accademiche e per fraterno scambio di originale creatività e alta mobilità di pensiero. Forte e comprensibile fu, dunque l’indignazione di Enrico Pea (1881-1958), quando scoprì che il platano era stato tagliato! Ecco le sue parole:

«Non immaginavo il dispiacere iniziale, che avrei avuto arrivando al Forte dei Marmi, stamani, quando sono partito da Lucca. Sulla porta del “caffè Roma”, qualcuno ha levato le braccia per farmi festa. Ma io, rimasto interdetto ai limiti della piazza, non devo aver risposto al saluto, se, zoppicando il caffettiere Balderi, mi si è mosso incontro.

Lo sapevo che lei ci sarebbe rimasta male!”

Io guardavo incredulo, in terra, le quattro buche, da poco riadese al selciato: ancora visibili da dove i vandali dell’amministrazione comunale, hanno divelto i platani che stavano qui ad utilità e decoro da settant’anni. Al posto di quegli alberi paesani e ombrosi han posto alberelli più “gentilini” con al calcio aiuolette di fiorellini assetati. “Gentilini” li chiama l’assessore sopraggiunto: “E almeno anche quando saranno cresciuti –dice l’assessore con sussiego– non tireranno all’aria le mattonelle dei marciapiedi, come fanno i platani... Che ci stavano a fare i platani vecchi, sotto cui sonnecchiavano all’ombra i cavalli attaccati e i vetturini a cassetta delle carrozzelle, all’usanza giardiniera, come al tempo di Garibaldi?”

Dominandomi, per non urtare con parole roventi l’assessore, ho parlato della bellezza della piazza, proprio perché ottocentesca. Ho insistito che non andasse toccata con falsi abbellimenti. Né va rimossa la fontana, messa all’ombra dei quattro platani (1900) prima che Forte dei Marmi fosse Comune. Ho tentato di lodare il Fortino granducale e la campanella che dal sommo martellò a raccolta nelle ore di pericolo, quando il paese era borgata di miseri marinai e gli ho detto: “Ricordi. Che non disonorano, caro signor assessore! E fare di questa piazza un paesaggio alla moda, come ce ne sono centinaia, ricopiati dalle riviste di bastarda urbanistica, non è ingentilire, non è aggiornare... Non è distinguere, ma standardizzare sì che un foresto non ricorderà questo tra gli altri cento paesi”.

Ora, rimpiattato per vergogna da vasi con ciuffi di bossolo, scorgo un antro aperto nella pancia del Fortino. Ho domandato il perché di tanto geloso occultamento e ho saputo che si tratta, impiantato proprio lì dentro, di un vespasiano modernissimo».


Paolo Brondi


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