Bruno Prosdocimi incontra Sara Pozzato
Sara Pozzato
Sara Pozzato 
08 Luglio 2009
 

Perché Claudio Di Scalzo si ricreda. In data 24 giugno 2009, in quel di Mestre (Venezia), ho partecipato alla serata di letture poetiche, chiamata a mio avviso con un terribile anglicismo poetry slam (da estimatore di Dante preferirei sempre la purezza del nostro idioma), ricavandone una piacevole impressione. Ho tifato per Sara Pozzato perché sa anche il latino e conosce le cantate di Bach. Con questa mail invito il Direttore di Tellusfolio a ricredersi dal suo giudizio (“Su Poetry Slam. Facciamo della poesia la più bella puttana (escòrt) che ci sia. Prima che sia mòrt”, Calamaro Gigante, 29/06/2009, ndr) che svelle, assieme alle radici della spelta, quelle proficue dell'erba buona del linguaggio poetico nella sua attualità.

 

Distinti saluti,

 

Bruno Prosdocimi

 

P.s.: allego, e. g., due video estratti da youtube

 

 

 

DUE POESIE DI SARA POZZATO

 

 

*

 

Attraverso il bicchiere ti guardavo,

e la tua bocca di rimando sorrideva.

Non ricordo dove né quando:

era forse uno di quei frammenti scollati

dal giorno, liberi e rari,

che si cercano per una vita

dentro i labili incastri del caso.

Chissà di che parlavamo,

quali erano i nostri vestiti, i nostri nomi.

Solo, in un attimo capivo,

dietro a quel vetro che vibravo nell’aria

come a prendere tempo,

cercando un appiglio,

che nei tuoi occhi in fondo sconosciuti

si condensavano gli anni, i gesti, i respiri.

In quell’attimo senza contorni

tutta mi annullavo in un punto

e poi rinascevo più forte, più fragile,

accettando felice di contraddire una vita,

lì, seduta a un tavolo stretto

nella minuscola piazza

di non so più che città.

 

 

 

ESTATI

 

Giorni di mesi bugiardi

segnava un calendario d’inganni,

maestro di strane grammatiche.

E io ci credevo, bambina,

e studiavo soltanto l’infinito futuro.

Calpesto quegli aghi, dopo trent’anni,

qui, nella stessa pineta,

e guardo al passato, soltanto remoto.

Ricordo, riascolto

lo sbattere dei miei secchielli,

dei tuoi tacchi sull’asfalto sabbioso.

Risento, riannuso

l’odore di crema dolcissimo

e i consommé della sera,

calda malinconia di pensione completa.

Quante promesse ti feci, nonna,

quando scartai quel regalo

cui ti costrinsi, con occhi imploranti:

due braccioli colorati di rosa

e la tartaruga per salvagente.

Li userò poco, quel tanto che basta

a fare amicizia col mare”.

Oggi, fra i miei libri pesanti,

di grammatiche serie e antiche sintassi,

ancora mi perdo, intenta a cercare

quella nostra declinazione

d’affetti, di speranze, di plurali,

di una vita ai primi passi:

è l’unica tavola cui aggrapparmi,

perché io, nonna,

non ho ancora imparato a nuotare.

 

Da Declinazione d’affetti, Lieto Colle, giugno 2009

 

 

www.youtube.com:80/watch?v=Ol6r-HRySmE

www.youtube.com:80/watch?v=_U5mlKNBznU&feature=player_embedded


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