Oblò africano
Moonisa: Nigeria-Pipelines insanguinate, terra-genti e tradizioni dissacrate - 2
Abdulsalam Abubakar
Abdulsalam Abubakar 
27 Giugno 2009
 

Piccola ricognizione sul profilo socio-storico-politico di una Nigeria vecchia e nuova…

Gli episodi che ho appena ‘narrato’ non si possono più accantonare come ‘disordini’ senza importanza: hanno ormai assunto le proporzioni di una vera e propria guerra civile. È una guerra fratricida quella che si sta combattendo in Nigeria. È tempo che il mondo se ne renda conto (the sooner the better!). La nazione è grande tanto da poter tenere ‘a bada’ le notizie tra il Nord e il Sud (la TV locale dà le notizie in modo ‘tele’guidato, sostando su sciocchezze e insegnando alle parole il velocissimo slalom su ghiaccio del dico-non ho detto-si tratta di inezie), ma, volenti o nolenti, i punti cardinali nazionali sono destinati a venire a conoscenza degli eventi (specialmente quando sono tragedie). Immensa, composita, complessa e complicata, è la realtà nigeriana (composta di etnie numerose e non sempre vicine le une alle altre…), ma ha, ormai, un’identità nazionale (raggiunta a fatica e con spargimento di sangue) ed è questo il legame inestricabile che rende impossibile trovare la linea chiara di ‘sutura’ tra il Nord e il Sud (quella che i benpensanti nazionali penserebbero di ‘punteggiare’, come carta trapunta da aghi pazienti e costanti, fino a separazione ‘spontanea’ delle parti a monte degli ‘innocenti’ buchini). Pazzi furiosi, folli che dovrebbero stare rinchiusi in un manicomio sono coloro che perseguono tale tattica, perché non sanno che la ‘linea’ di separazione non esiste ormai più e che gli ‘aghi’ crudeli trafiggono la nazione ormai ovunque e, prima o poi, la trafiggeranno al cuore definitivamente (se non correranno prima ai ripari). I giochi di potere (derivanti dalla ‘lottizzazione’ delle ricchezze nigeriane) sono stati-sono-saranno (purtroppo) un attacco alla baionetta (con intento di non lasciare superstiti) combattuto tra il Nord (forte, influente, mussulmano) e il Sud (grande, ricco, prosperoso e sciamante di etnie indomite e di vari culti). Il Sud Igbo non accettò i giochi ‘traversi’ (con cui i militari del secondo golpe del giovane Stato nigeriano –nato come federazione di tre grandi regioni autonome/dotate di autogoverno- commettevano il primo colpo di mano/prima cattiva azione contro la Comunità federale, sostituendo i governi regionali autonomi con quelli statali -e ben 12!- totalmente sotto il controllo dell’autorità centrale –federale) e scese in guerra (portando alla separazione del Biafra). Le condizioni, oggi, sono pericolosamente simili (solo milioni di volte più gravi in diseguaglianze-ingiustizie-sperequazioni economiche e in efferatezza delle ingiustizie sociali); cambia soltanto il nome dell’etnia che si erge contro il tallone schiacciato sul popolo inerme, ma la voce del lamento unanime, (che ha gridato ed è stata ignorata, ha chiesto aiuto e non l’ha ottenuto, ha protestato e non è stata presa in considerazione e ha, infine, armato la mano dei suoi figli più coraggiosi, giocandosi l’ultima carta possibile, per non soccombere) è la stessa. Ogni popolo ama i suoi figli/ è orgoglioso dei suoi adolescenti e trepida per la gioventù che rappresenta il suo futuro; quando un popolo manda a morire i suoi giovani, per difendersi, vuol dire al mondo che non gli è rimasto più nulla e che è disperato al punto di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della sua stirpe… Il Sud Ijaw/Ogoni e delle altre etnie del Delta del Niger, oggi, è diventato un popolo solo/ un popolo che si oppone alla devastazione economica e ambientale del suo habitat vitale e all’assenza di prospettive di vita per la sua ‘casa’ e per i suoi ‘figli’/un popolo che esiste-pensa-e respira con i suoi giovani armati e in lotta contro l’ingiustizia, al di là dei confini degli Stati locali e dei loro governatori/ un popolo che dà al Sud dignità di Stato a sé stante. Il governo centrale deve prendere coscienza di ciò e deve rendersi conto di quanto un popolo in tali condizioni possa essere pericoloso. Il mondo intero ne deve prendere coscienza (con annessi e connessi mea culpa più o meno consapevoli, ma pur sempre dolenti).

Ogni luogo in cui ad amministrare le ricchezze siano coloro che ne posseggono la chiave e che possono essere tentati di farne man bassa (e/o dilapidarle) può trasformarsi in inferno di ingiustizie (dove chi comanda può giocare ad ‘asso piglia tutto’, senza doverne rendere conto alla Comunità e senza farsi alcuno scrupolo di lasciarsi dietro terra bruciata, ignorando il popolo rantolante/privo di casa-di cibo-di acqua-di cure), non senza la ‘volenterosa’ eventuale collaborazione di ‘mani’ rapaci-lunghe-straniere.

Le differenze tra il Nord e il Sud della Nigeria cominciano ad apparire insanabili e non mi stupirei se una secessione fosse il passo successivo…

La Nigeria è divorata da un sistema cancrenoso di corruzione capillare (che paralizza tutte le vie d’uscita verso ‘procedure’ lineari salvifiche). Lavorare in modo ‘corretto’, in Nigeria, è impossibile. ‘Emissari’ governativi federali e locali si avvicendano in controlli-‘esazioni’, con never ending danze-‘aggiustamenti’ estenuanti, rivoltando di sotto in sopra le ditte ‘sane’ e rispettose della legge, piegandole (fino a spezzarle, ove occorra) e asservendole al sistema. È un vicolo cieco dal quale non si esce, anche per molti altri ‘limiti’ macroscopici del sistema socio-politico. Eccone un paio: la Nigeria non supererà mai il limite delle appartenenze etniche (da cui anche i vari partiti politici sono ‘governati’) e non possiede ‘organismi’ nazionali all’altezza di una ‘trasformazione’ che si rispetti (e che possa includere nei suoi programmi una produzione equa e un’altrettanto equa ri-distribuzione della ricchezza prodotta). Questi sono fatti (e… sono drammi), ma su di essi si vanno a innestare le ingerenze terribili delle multinazionali.

Viaggiatori e commercianti europei, tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo, si diedero un gran da fare attorno alle vie dei traffici ‘interni’ (basati sulla cattura e sulla vendita di esseri umani) della terra africana; si fregiarono dei vantaggi e dei lauti guadagni (sfruttando usi e tradizioni tribali favorevoli al loro lercio traffico/ sentendosi superiori in razza e colore/ sentendosi ‘puliti’ e dignitosi persino); poi trasformarono ‘quei’ traffici ‘interni’ in traffici ‘esterni’ e lo fecero così bene da diventare ‘grandi’ al punto di fondare vere e proprie città (che non potranno mai liberarsi dell’orrenda storia delle loro origini – ove resteranno per sempre marchiate come porti funesti e oscuri del commercio più osceno che abbia mai macchiato la storia umana).

Un sospiro di sollievo pervase il mondo (come un potente vento di ponente liberatore/purificatore), quando, nel diciannovesimo secolo il commercio di materie prime e di prodotti veri e propri(finiti) sostituì quello degli schiavi. L’uomo si scrollò di dosso, allora, la livrea cupa del negriero, dello sciacallo, dell’essere immondo indossò i candidi colletti e polsini del well to do man e varò l’inizio di una nuova era: quella in cui gli esseri umani non avrebbero più ‘venduto’/ ’comprato’/ frustato/ marchiato altri esseri umani; quella in cui nessuna creatura che potesse definirsi umana avrebbe potuto decidere di volere la ricchezza tanto da basarla sullo sfruttamento e sull’annullamento di altri esseri umani…

Molte furono le menti che si lasciarono conquistare da quel vento (che s’impadronì della penna di scrittori e poeti e spadroneggiò in lungo e in largo, nel cuore dei tanto ‘buoni’ quanto ignari delle mutanti metamorfosi della corsa al potere). L’Africa, che aveva conosciuto la ‘tagliola’ dello schiavismo, era, intanto, già ‘preda’ ingenua e predestinata di forme di schiavismo diverse e, forse, peggiori (perché, se il periodo della tratta degli esseri umani aveva ‘massacrato’ soltanto una parte della popolazione, quello dello sfruttamento indiscriminato di tutto ciò che potesse essere definito ‘risorsa’ non avrebbe risparmiato nulla e nessuno. La Nigeria aveva un posto d’onore tra i ‘luoghi’ africani che avevano ‘goduto’ di un becero protagonismo nel commercio degli schiavi ed era nel ‘cuore’ del Regno Unito (il cui ‘amore’ sviscerato fondò, nel 1886 la Royal Niger Company). Quello fu l’inizio dei guai ‘grossi’ della Nigeria (fu allora, infatti, che varie forme di schiavismo vero e proprio –tornato sotto altre vesti- si avviò a mettere radici multiple, dalle ramificazioni poliedriche imprevedibili, in quella che era ancora una nazione in embrione). Divenendo protettorato britannico, nel 1901, la Nigeria fu come una bambina fiduciosa nelle mani di un finto padre affettuoso e incestuoso e si lasciò ‘guidare passo passo, fino a divenire colonia, nel 1914. La ‘madre’ Inghilterra amò molto la ‘figlia’ Nigeria (se ‘amare’ può avere come sinonimo ‘sfruttare’): creò centri abitativi bellissimi e infrastrutture meravigliose, in cui gl’Inglesi vissero e prosperarono; creò persino scuole per i Nigeriani e in esse insegnò agli scolari che la Nigeria era ricca di tutto ciò che si vedeva con gli occhi e la ‘madre-patria’, l’Inghilterra, era ricca di tutti i prodotti del sottosuolo (aveva ragione: se il detto scripta manent era veritiero, bastava stampare sui libri di testo quella ‘verità’ e farla studiare ai figli di Nigeria e poi, se poteva scavare le ricchezze nella colonia ‘povera’ e portarsele, tanto valeva anche fingere di averle ‘partorite’). Chissà mai perché le popolazioni tiranne devono sempre presumere che le popolazioni sottomesse debbano essere affette da cecità perenne e stupirsi (e gridare allo scandalo) di fronte alla ‘ingratitudine’ della graduale comparsa dei sintomi del nazionalismo (!). Il leggendario self control inglese deve essersi sprecato a iosa, in Nigeria (quando la seconda guerra mondiale fece al nazionalismo nigeriano l’effetto di un catalizzatore così possente da scuotere fino alle fondamenta la leadership inglese), fino a divenire self restraint e a lasciarsi sostituire dall’autogoverno locale (su basi federali).

L’avidità di coloro che si sono avvicendati (con colpi di Stato di varia natura-entità) al governo della Nigeria e le trame-ambizione (tessute attorno al potere stesso) hanno, da lì in avanti, costituito il tallone di Achille (al quale i vari ‘nuovi’ negrieri avrebbero diretto i loro strali peraltro invitati e voluti). Mi viene in mente che ci sono due ‘momenti’ nella giovane storia della nazione chiamata Nigeria in cui ‘dormono’ i semi del ‘buono’ politico e sociale (e che dicono come i semi del ‘buono’ possano essere ripescati anche nel ‘non buono’). Ecco due esempi: 1- Un colpo di Stato riuscito (1975) mise al potere Murtala Ramat Mohammed, che, pur essendo un presidente figlio della violenza, annunciò di voler favorire la nascita di un governo civile, causando un nuovo colpo di Stato –non riuscito– nel quale fu ucciso e, in seguito al quale, il capo del suo staff, Obasanjo, salì al potere, fece fare una nuova costituzione (1977) e garantì le elezioni. Ci furono, poi, altra violenza e altri regimi; 2- ma ci fu anche Abdulsalam Abubakar (che fu al potere per poco e in quel poco fece le sole cose ‘belle’ mai accadute nella nazione chiamata Nigeria). Si limitò a guidare il Consiglio Governante Provvisorio e, ‘limitandosi’, fece accadere veri e propri miracoli: diede valore-voce alla Costituzione e diede al popolo la dignità di elettorato con potere reale/ permise elezioni ‘vere’ (1999), senza brogli, senza stragi e senza inganni/ lasciò alla mente dei Nigeriani quell’esempio fulgido di ‘normalità’ possibile… Tutto il resto è storia (e non lascia molte ali alla speranza). Questi due esempi sono un buon terreno su cui poggiare le speranze della Nigeria. Abdulsalam Abubakar è, a mio avviso, la base da cui i Nigeriani dovrebbero ripartire/ il perno sul quale il ‘nuovo’ dovrebbe appoggiarsi, per ‘scaricare’ il vecchio e il marcio che rende impossibile ‘guarire’ dalle metastasi diffuse e in crescita. Può sembrare semplicistico e sciocco quanto ho appena detto, ma chi deve risalire la china ha bisogno di individuare appigli sicuri cui aggrapparsi (e, per trovarli, un popolo deve fare come il costruttore che, per ‘risanare’ una struttura, deve abbattere il marcio e tenere, come base del nuovo, soltanto quanto c’è di solido).


La Nigeria ha bisogno di guarire dai suoi malesseri/ ha bisogno di rinascere, perché i trafficanti di schiavi sono tornati (o, meglio, si sono avvicendati, nelle élite-leadership politiche e governative), con costante escalation prima lenta, poi decennale, annuale, mensile, quotidiana delle ‘piaghe’ che affliggono il popolo/il suo territorio e le sue condizioni di vita. I giovani Ijaw del Delta del Niger (IYO) si sono armati, per far udire la loro voce. La nascita del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (il MEND) è quella voce che grida (nel deserto). È tempo che il deserto si armi di orecchie e senta. ‘È tempo che’ il governo nigeriano si svegli, si tolga le fette di prosciutto dagli occhi e guardi (perché, finora, ha distolto sicuramente lo sguardo, altrimenti avrebbe visto il disastro progressivo che ha innescato nel meraviglioso Sud della sua nazione e si sarebbe ingegnato per trovare un programma credibile e unificante con cui governare l’intera nazione). ‘È tempo che’ chi crede di lucrare ‘e basta’ si renda conto che così non è: non lucra ‘e basta’ chi prende una percentuale e cede ricchezze ingenti (che appartengono al popolo) in cambio; non lucra ‘e basta’ chi s’intasca cifre nababbe (che sono inezie, in confronto al valore dei beni venduti), senza lasciarne ricadere sui legittimi proprietari neppure briciole casuali; non lucra ‘e basta’ chi lottizza e svende i beni che non sono suoi, ma degli abitanti della terra e della nazione di appartenenza; non lucra ‘e basta’ chi concede licenze (magari pure regolari) e permette che vi si attacchino ‘postille’-licenze di uccidere (per le quali i dizionari di tutti gl’idiomi non compendiano parole); non lucra ‘e basta’ chi lo fa sulla pelle della sua gente, del suo popolo, della sua terra e del suo mondo in toto (e se ne intasca la sussistenza-sopravvivenza e… ne versa il sangue).

I governi locali e nazionali della Nigeria devono capire (it’s high time!) che non si tratta più di sola ingiustizia contro il popolo, ormai, ma che ci sono in gioco poste altissime (minacce che non guardano in faccia nessuno, neppure le cariche più alte dello Stato). Essere l’uomo più potente di un chiefdom/ di uno Stato o del Governo Federale a nulla serve, se la propria nazione tutta si avvia alla catastrofe. Nessun uomo in particolare, nessun capo in particolare può pensare di fare il proprio comodo/interesse, for the moment being (perché, tanto, magari, potranno pensare altri, domani, a risanare la situazione), perché potrebbe essere troppo tardi, per correre ai ripari, in un tempo senza ‘domani’.

Non sto sognando e neppure delirando, purtroppo. Il futuro della Nigeria dipende dal suo Sud pieno di vegetazione e di acque. La sua sopravvivenza dipende da come lo saprà amministrare (anzi, ora, è il caso di dire ‘difendere’). Il Nord non può e non deve lavarsene le mani e i ‘potenti’, che si sentono al sicuro, nel Nord (tanto ‘lontano’ dal Sud) facciano a meno di sentirsi al sicuro e sappiano che sono seduti su una bomba ecologica a orologeria che scoppierà presto sotto le loro ambite sedie (siano pure poltrone superimbottite e/o telecomandate). Il Nord si desertifica gradualmente (con un rate annuale spaventoso)/ i terreni coltivabili e i pascoli del Nord ‘arretrano’ e si accorciano ogni anno. Il deserto scende sulla Nigeria settentrionale e la insegue. Presto la zootecnia del Nord della Nigeria sarà in allarme –se non si è ancora svegliata- (e griderà invano ‘Al lupo! Al lupo!’), perché l’ambiente non sarà più in grado di fornire il pascolo alle molte decine di milioni dei suoi animali domestici e/o selvatici. “Niente paura”, la gente può pensare, “c’è sempre il Sud/ il lussureggiante Sud…” E qui casca l’asino: il Sud sta morendo… (ucciso dall’ingordigia di pochi/ giustiziato dalla miseria, dalla fame, dalla carestia, dall’abbandono completo, in ‘scala’ umana, e trucidato in ‘scala’ ambientale dai veleni rilasciati nell’aria dal gas flaring quotidiano e indiscriminato e da quelli scaricati nelle acque del delta). L’azione criminosa del rilascio di veleni tremendi con il gas flaring, che dovrebbe essere autorizzato soltanto in casi rarissimi ed eccezionali, avviene regolarmente e sempre (è la norma): quando il crimine è la norma, l’essere umano che lo subisce che difese ha... (?!?). I giovani (pochi e indomiti) chiamati ‘Ribelli’, che si ergono come Davide contro Golia, che chance hanno? E il mondo (assorto nella sua colpevole non-ingerenza) che alibi ha? Servirebbe un Organismo Mondiale ‘sano/ forte/ influente/ incorrotto/ umano/ giusto/ equo/ generoso/ pronto /volenteroso e… qualificato che intervenisse/ restituisse le ricchezze a chi di competenza/ fissasse ‘paletti’-leggi interni ed esterni e… soprattutto invalicabili/ facesse giustizia/ impedisse agli sciacalli-società-uomini-contingenze di aggirarsi ancora attorno all’elefante ferito/ ridesse alla nazione Nigeria la sua dignità di Stato/ risollevasse i Nigeriani dal loro unbearable predicament endemico e li elevasse al giusto rango di cittadini con molti diritti (e i giusti doveri annessi), ma… non abbiamo che l’ONU…


Gas flaring (assurdità e scempio…)

Il nome stesso (gas flaring: gas bruciati a torcia) dice che cos’è questa terribile ‘cosa’ (che viola il diritto primario degli esseri umani: quello alla vita). Chi la pratica non fa altro che fare scempio dell’habitat ambientale, bruciando a cielo aperto i gas naturali (che incontra nel processo di estrazione del petrolio greggio) e lasciando che ardano come bocche infernali perpetue, con esplosioni intermittenti (che, nel delta del Niger, tormentano la pacifica vita dei villaggi di notte e di giorno, senza preavviso e senza possibilità di scampo).

Perché le ‘civilissime’ multinazionali occidentali fanno una simile ‘incivilissima’ cosa? E perché la fanno in Africa? La fanno perché sono attrezzate per l’estrazione del petrolio e non per quella dei gas (per estrarre i quali dovrebbero dotarsi di infrastrutture apposite nonché costose, che non hanno e che non hanno intenzione di ‘avere’, ovvero di pagare, perché se se ne dotassero, oltretutto, dovrebbero ‘dirottare’ il gas prezioso –‘spontaneo’ e non in quantità adatte ad ‘artigli’ internazionali, forse– verso i legittimi padroni, i Nigeriani). La fanno in Africa (e in Nigeria, nella fattispecie), perché non temono i ‘provvedimenti’ assenti di un Governo che le leggi le ha, ma non le fa rispettare (per varie note dolenti-opportunismi-guadagni da intascare); la fanno in Africa, perché hanno gestioni criminali e senza scrupoli, che, in altre nazioni-altri luoghi, non si permetterebbero mai di uccidere la vita indiscriminatamente e apertamente (anche perché avrebbero timore delle mannaie-sanzioni che cadrebbero –sicure come le stagioni- sui loro lauti guadagni); la fanno in Nigeria, perché si possono permettere di non decurtare i loro guadagni, con ‘provvedimenti’ dovuti alla sopravvivenza della vita umana e ambientale, avendo la connivenza di chi comanda (e che non capisce che, per riempirsi gli occhi e le tasche, deruba il popolo di ricchezze ben superiori e… della salute, nonché del futuro…); la fanno in Africa, perché sono entità senza coscienza e senza onore, che possono schiacciare, come rulli compressori, il mondo intero e tutto ciò che contiene (compresi i tecnici stranieri ignari di inquinamento/ecologia, che, inconsapevolmente e per guadagnarsi il ‘pane’, danno loro volti-voce-immagine e che, in loco, lavorano-dormono-mangiano-respirano-sorridono-camminano-vivono e… accettano, proprio come ognuno degli ultimi individui delle tirbù più ignorate e calpestate, l’opzione della morte che ghigna con faccia di fiamme e di esplosioni…).

La Nigeria (secondo il Cadigaz, l’Istituto Statistico, nel solo 2001, in Nigeria ardeva quasi il 20% di tutti i ‘falò’ venefici accesi nel mondo) è al primo posto, nella pratica del gas flaring (il ‘privilegio’ del secondo posto spetta all’Iran e il terzo all’Indonesia). L’UNDP e la Banca Mondiale hanno valutato che il gas quotidiano bruciato lì fosse di 70 tonnellate di metri cubi, con relativo identico quantitativo di emissione di CO2 (più del quantitativo già proibitivo di biossido di carbonio emesso dagli ‘sviluppati’ Svezia-Norvegia-Svizzera-Portogallo)/ con emissioni di gas serra superiori a quelle di tutta l’Africa subsahariana/ con annessi cocktail di tossine venefiche (adatte a intossicare tutto quanto vi sia di vivo nel delta del Niger)/ con, dulcis in fundo, la ‘benedizione’ finale delle piogge acide annesse (e gl’innumerevoli ‘omicidi’ volontari che ne derivano). Uomini, donne, vecchi e bambini, nel delta del Niger, muoiono come le mosche (di varie malattie respiratorie/ di patologie infantili/ di asma/ di varie forme di tumore); la stima della Banca Mondiale è che, nel solo Bayelsa State ogni anno, le vittime del gas Flaring siano 49 morti precoci/ 120 casi di asma/ 5000 altre patologie (le stime approssimate e non recenti, riferite a un piccolo Stato, sono comunque ‘notevoli’).

Tutto ciò è genocidio, perché l’esposizione (‘forzata’ per le etnie che la subiscono/ ‘volontaria’ per gli aguzzini criminosi che gliela impongono) a sostanze risaputamente micidiali, che minacciano la gente in massa (nella salute e nei beni di sopravvivenza), infrange qualsiasi garanzia costituzionale (ebbene, sì, anche in Africa-dove la Carta dei diritti umani e dei diritti dei popoli garantisce il diritto individuale alle migliori condizioni possibili di salute del corpo e della mente, con l’art. 16, e il diritto dei popoli a vivere in ambienti adatti a favorirne lo sviluppo, con l’art. 24- e, precisamente, anche in Nigeria, ove l’art. 33 garantisce il diritto alla vita e l’art. 34 garantisce il diritto alla dignità).

Il gas flaring (da qualsiasi angolazione) può essere definito in un solo modo: un disastro, perché, se tutti i danni già enunciati non bastassero, c’è anche la ‘beffa’ da tenere in considerazione: rappresenta il 40% circa del consumo annuale di gas naturale in Africa (!); in termini monetari, due miliardi e mezzo di dollari letteralmente ‘inceneriti’ ogni anno gratis et amore Dei dal governo nigeriano (perdita secca, irragionevole e stolta, per un paese che tutto è fuorché il boccacciano Bengodi per il suo popolo –che ‘vanta’ un reddito procapite, in discesa, di circa 320 dollari/ meno di un dollaro al giorno, in cui occorre includere chi non ha reddito alcuno né tetto sulla testa…).

Questa ‘pratica’ infausta è nata insieme alle trivellazioni petrolifere (è una piaga di vecchia data) i cui effetti disastrosi si sono ‘indicizzati’ con la crescita esponenziale del fabbisogno globalizzato/ della frenesia estrattiva dei tempi moderni e, in Nigeria, con l’inventiva progettuale di Shell, Esso-Mobil, ChevronTexaco, Agip e TotalFinaElf -in joint venture con la Nigerian National Petroleum Corporation – NNPC (eppure la Nigeria ha vietato, almeno su carta, il gas flaring sin dal gennaio 1984- e ha rinnovato di recente il di divieto di tale pratica!). Ciò che è vietato ha, comunque e sempre, vie traverse di realizzazioni ‘aggiustabili’ alle ‘trattative’ che l’ingegno umano truffaldino può e sa sempre inventarsi… (specialmente quando e se ci si può guadagnare denaro…). La legge nigeriana ambientale parla chiaro: nessuno può praticare il gas flaring, senza una specialissima deroga all’Associated Gas Reinjection Act del 1979, che prevedeva l’accertamento dell’impossibilità di un particolare luogo a utilizzare il preziosissimo gas e il pagamento di adeguate cifre compensative (condizioni rese ancora più severe dalla nuova legge del 1984). Tutto ciò è tragicamente grottesco: esisteva ed esiste la normativa necessaria e tutto va a catafascio lo stesso (si fanno nuove trivellazioni/ si aprono nuovi pozzi/ si accendono nuove bocche dell’inferno e non si spende una lira nelle necessarie strutture di recupero e d’uso del gas che potrebbe essere una manna e che è, invece, strumento di morte…).

La presidenza di Obasanjo aveva concertato, con le imprese petrolifere, il 2008 come data della cessazione di questa pratica assassina (ma in maniera non perentoria e troppo campata in aria, cioè ‘non obbligatoria’), ma devo dire che è già un conforto sapere che esistono ‘precedenti’ ben più avanzati dei ‘rudimenti’-provvedimenti che immaginavo. Mancano gli ‘adeguamenti’ che possano portare alla cessazione reale del gas flaring (alas!!!)..., ma governo e multinazionali arriveranno mai a farli? Non mi sento molto ottimista (anche se voglio sperarci con tutta l’anima): il focus è sulla produzione ‘impostata’ a tutta birra su una strada in ‘salita’ vertiginosa (che dai due milioni e mezzo di barili del 2004 dovrà arrivare ai quattro milioni del 2010…). È possibile sperare nel giusto incanalamento del gas derivante da simili ritmi parossistici?


Buone nuove-Hope flaring…

Si è praticato il gas flaring, cioè la terribile abitudine di bruciare i gas (che, ove incanalati, sarebbero stati ricchezza utile) a torcia, per parecchi decenni. È tempo di farla cessare e di lanciare una nuova pratica che bruci torce di speranza (hope flaring). Il ‘vento’ sta cambiando (anche se, purtroppo, lentamente). I motivi, per non perdere la speranza, esistono. Il mondo è pieno di iniziative intelligenti capaci di far tornare il buonumore e di spargere intenti positivi (che possono divenire ottimi strumenti della buona volontà dei singoli e delle organizzazioni umanitarie). La più importante (e magnifica) è quella chiamata Ggfr (Global gas flaring reduction) lanciata, nel 2002 dalla Banca Mondiale e dalla Norvegia e cresciuta, con l’adesione di altri paesi (oggi a ben dodici nazioni e dieci grandi industrie- anche petrolifere!- fanno parte del Ggfr). Ecco il Ggfr: segretariato dell’Opec e Banca Mondiale, Norvegia, Canada (Cida), Usa (Doe), Francia, Gran Bretagna (Foreign Commonwealth Office), Russia (Khanty-Mansi), Algeria (Sonatrach), Angola, Camerun, Equador, Guinea Equatoriale, Indonesia, Kazakistan, Nigeria, Ciad // Bp, Chevron, Eni, ExxonMobil, Marathon Oil, Hydro, Shell, Statoil, Total.

Scopo del Ggfr è ridurre quanto più è possibile le venefiche e dispersive “torce” del gas (derivante dalla risalita del greggio da chilometri di profondità). Sapere che buona parte del mondo ha cominciato a risolvere il problema e che buona parte del resto mostra chiare intenzioni di risolverlo è di notevole consolazione. Una notizia bellissima è questa: la Banca Mondiale ha presentato il primo studio realizzato dalla famosissima e prestigiosissima NOAA (Amministrazione nazionale Usa per gli oceani e l’atmosfera: National Oceanic and Atmospheric Administration) sul gas flaring. È un evento dalle proporzioni gigantesche, per motivi evidenti: 1) è, finalmente, uno studio su scala mondiale (!); 2) è stato condotto servendosi di dati satellitari (e non più soltanto delle ‘addomesticabili’ ‘stime’ teoriche-presunte!); 3) mette a confronto i dati satellitari con varie stime nazionali (e non con una sola) e mondiali.

L’importanza di questo ‘accadimento’ mondiale è strepitosa e segna l’inizio dell’era della verità (finalmente!), ergo della sconfitta delle menzogne asservite al profit (d’ora in avanti, i fabbricanti di lucro pro-personal income potranno continuare sulla strada omicida, se vorranno, ma non potranno più alterare la veridicità dei dati -spiati e registrati dal cielo, come da Dio medesimo). Gli autori dello studio suddetto hanno valutato i volumi delle bocche infernali accese (le bocche petrolifere-torce, flaring appunto), servendosi delle immagini satellitari (a bassa intensità luminosa) del programma dei dati meteorologici dell’aviazione militare (non è meraviglioso?).

Ecco i dati della NOAA: i paesi produttori di petrolio (con il protagonismo assoluto delle compagnie petrolifere) hanno derubato i legittimi paesi proprietari (e i cittadini relativi) di 170 miliardi di metri cubi annui di gas naturale (40 dei quali solo in Africa/ il quantitativo sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di metà dell’intero continente africano), bruciandolo, come denaro contante nell’atmosfera. Le compagnie petrolifere, cioè, hanno seminato morte nell’atmosfera, uccidendo la gente e l’ambiente, e, per colmo di ironia, così facendo, hanno mandato letteralmente in fumo l’equivalente del 27% del consumo di gas degli USA e del 5,5% della produzione mondiale (se avessero chiesto alla Banca Mondiale 40 miliardi di dollari e ne avessero fatto un grosso falò e poi avessero caricato 400 milioni di tonnellate di CO2 su mezzi aerei e l’avessero sparsa nell’atmosfera, avrebbero compiuto l’azione corrispondete a quella che hanno perpetrato con ‘dignitoso’ e sfacciato ‘lavoro’ estrattivo/ la sola differenza sta nel fatto che, in quel caso, sarebbero stati perseguiti per crimini contro l’umanità e sarebbero stati imprigionati a vita e guardati a vista!). Questi sono i dati emersi dagli studi della NOAA (e parlano chiaro). I terribili ‘esiti’ perseguiti dalle compagnie petrolifere hanno una quantificazione scioccante; più scioccante è, però, sapere ‘liberamente’ al ‘lavoro’ i seminatori di tali disastri e rendersi conto del fatto che i petrol people, incrementando i ritmi di estrazione, hanno già accelerato l’accumulo dei danni calcolati dalla Noaa e che, con le nuove trivellazioni e i ritmi più veloci delle estrazioni future, faranno sempre peggio…

Ci sono altre notizie importanti. I satelliti dicono che il gas flaring è aumentato, negli ultimi dodici anni, in ventidue paesi (Sudafrica, Arabia Saudita, Azerbagian, Cina, Ghana, Guinea Equatoriale, Irak, Kazakistan, Kirghizistan, Mauritania, Myanmar, Oman, Uzbekistan, Filippine, Papua Nuova Guinea, Qatar, Russia -senza la regione dei Kanty Mansi-, Sudan, Ciad, Thailandia, Turkmenistan e Yemen); dicono anche che è diminuito (con le relative emissioni venefiche) in altri sedici paesi (Algeria, Argentina, Bolivia, Camerun, Cile, Egitto, Émirati Arabi Uniti, India, Indonesia, Libia, Mare del Nord -offshore-, Nigeria, Norvegia, Perù, Siria e Usa -offshore-) e che in 9 paesi è rimasto stabile -come le emissioni venefiche- (Australia, Equdor, Gabon, Iran, Kuwait, Malaysia, Romania, Khanty-Mansi -Russia- e Trinidad e Tobago). Vedere la Nigeria comparire nel secondo elenco è davvero confortante: anche se la popolazione del delta del Niger non si è accorta della ‘riduzione’ suddetta (perché continua a non distinguere la notte dal giorno, per il chiarore accecante, a non poter dormire per le esplosioni irregolari e continue; a soffrire di malattie e a morire). È già qualcosa sapere che il sentiero è almeno delineato e che, con l’aiuto delle giuste organizzazioni mondiali (e quello di Dio), qualcosa di buono accadrà (speriamo presto).


Mi sento in dovere di ringraziare tutti coloro che uniscono i loro sforzi per rendere il mondo un posto meno ingiusto e meno ‘letale’ e, in questa sede, in special modo, coloro che si espongono (in Nigeria e/o nel resto del mondo) di persona, per far accadere cambiamenti piccoli -che potranno poi crescere- e per difendere i diritti di coloro che non hanno voce.

Le persone di buona volontà sono molte e, come formiche operose, mettono il loro operato (che ha un peso tanto più grande quanto più rari sono i cervelli che lo producono) sul piatto dell’intelligenza e del bene; grazie a questo, all’umanità (e al delta del Niger) è dato sperare e ricordare che, se le vie del dio denaro sono infinite, nel senso di ‘numerose’, quelle di Dio sono infinite, nel senso di immense e insuperabili. L’aiuto di Dio invierà (per vie tutte sue imperscrutabili) agli Ijaw e alle altre genti del delta del Niger, la soluzione ai problemi che li affliggono (magari attraverso imprevedibili ‘mani’/ ‘entità’-enti-organizzazioni che per loro natura parrebbero incompatibili con il ruolo di ‘salvatori’).


Potrebbe la salvezza delle genti del delta del Niger giungere dall’Eni…(?)

Eni (fonte: eni.it- marzo 2009) sostiene quanto segue: «L'incremento delle emissioni di GHG di Eni nel 2007 è da attribuirsi per il 72% all'aumento del gas flaring derivante dalle recenti acquisizioni in Congo e in Russia, oltre che da difficoltà operative e logistiche in Nigeria, che hanno determinato una minore efficienza degli impianti di compressione gas. Per contrastare tale fenomeno Eni ha pianificato investimenti in attività di riduzione di gas flaring, che hanno già dato significativi risultati nei primi mesi del 2008.” Riferisce anche che, in Russia, ha conseguito il completo recupero del gas prima “bruciato in torcia”. Ammette che in Africa “sono concentrate” le principali estrazioni associate alle micidiali emissioni derivanti da gas flaring». Riconosce che il gas derivante dall’estrazione del petrolio «necessita di infrastrutture per l’utilizzo e il trasporto» del gas, ma ipotizza che la realizzazione di dette infrastrutture sia soggetta «all'influenza di fattori esterni quali le condizioni socio-politiche delle aree interessate». Dichiara che «I progetti Bouri Gas Utilization (Libia), Gas du Sud (Tunisia) e Rom (Algeria) consentiranno altresì di abbattere drasticamente nei rispettivi Paesi le emissioni da flaring di Eni» e che in Congo ha acquisito asset e di essi dice: «…i progetti di valorizzazione del gas prevedono la realizzazione di una centrale elettrica da 450 MW (che entrerà in servizio a fine 2009), l'ampliamento di quella esistente, la realizzazione dei gasdotti e l'utilizzo di ulteriore gas per la reiniezione in giacimento. Entro maggio 2012 si prevede l'eliminazione della pratica del flaring nel Paese. La produzione di energia elettrica risolverà il problema dell'attuale fabbisogno energetico del Congo e ne consentirà il futuro sviluppo industriale». Mi viene in mente: Amen! da dire, ma anche: ‘che ciò accada anche nel delta del Niger!’.

Che dire? Sembra tutto troppo bello per essere vero, ma… ci si può fidare? ENI è stata costituita come ente statale nel 1953 ed è divenuta società per azioni nel 1992.


Ecco uno specchietto sulla massiccia presenza ENI in Nigeria:

1962- Le aree nigeriane di sfruttamento petrolifero sono state assegnate al gruppo ENI. La ricerca è stata realizzata dalla controllata dell' Eni e ha rivelato l'esistenza di importanti giacimenti petroliferi (c’era una volta l’Africa…/ il delta del Niger era ancora Africa, a quei tempi…).

1965- I giacimenti petroliferi nigeriani sono entrati in produzione (addio vecchia Africa… Fuggirà il ruggito del leone dal delta del Niger…, rimpiazzato dai boati terrificanti provenienti dai mal di pancia della terra violentata).

1989- ENI ha ottenuto dal governo nigeriano il rinnovo per altri 30 anni delle quattro concessioni di esplorazione e produzione. La Nigerian Agip Oil Company Limited ha cominciato a produrre, nelle quattro concessioni, 150 mila barili di petrolio al giorno, (30 in quota Eni). La notevole potenzialità di produzione di gas naturale di quei pozzi è stata destinata all'impianto di liquefazione di Bonny (dell'Eni per una partecipazione del 10,4 %). Il gruppo italiano è entrato in compartecipazione, sempre in Nigeria, anche nella concessione (off-shore) Opl 472 (dove la Naoc tirava fuori 10 mila barili di petrolio al giorno) e nell’esplorazione attiva al largo del delta del Niger. Forniva anche il gas petrolifero liquido e i condensati estratti dal processo di “reiniezione” gas nel giacimento di Obiafu Obrikom all'impianto petrolchimico di Eleme, non lontano da Port Harcourt. La Nigeria è divenuta membro dell' Opec (organizzazione dei paesi esportatori di greggio) e il più importante paese esportatore di petrolio dell' Africa.

1989- ENI era presente nell'offshore nigeriano con il campo di Agbara.

2000- 13 settembre- L’ENI ha annunciato che la sua produzione petrolifera in Nigeria sarebbe passata dai 240.000 barili/giorno a 360.000 b/g entro il 2003. Lo ha rivelato (attraverso i vertici della compagnia, che nel pomeriggio avevano incontrato, a Roma, il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, in visita in Italia).

2001-settembre- Eni (che operava in Nigeria dal 1962/ era già presente nel campo di Bonga -a profondità 1000 metri- e aveva una produzione di 110.000 barili al giorno) ha firmato (un nuovo contratto di production sharing con l'ente petrolifero di Stato nigeriano NNPC) per l'esplorazione del blocco offshore 244 -che si trova 200 chilometri a sud del terminale di Brass circa, a una profondità di 1500/ 3000 metri. La partecipazione ENI (come consociata NAE -società creata in loco: Nigeria Agip Exploration) era del 90%, quella NPDC (Nigerian Production Development Company) del 10%. Tutto ciò rientrava nelle finalità sopracitate della lotta al sottosviluppo e dello sviluppo ‘sostenibile’ e si sintetizzava, praticamente, nel passaggio del know how (con cui elevare le competenze del personale nigeriano ai massimi standard internazionali –leggasi OB a lungo termine: mettere la Nigeria in grado di riappropriarsi, un giorno, delle sue risorse-pozzi e gestirseli da sola). La conseguenza logica, reale e immediata era una maggiore crescita del potenziale ENI in West Africa. I lati positivi erano i correlati progetti di valorizzazione del gas associato (con relativi impianti di liquefazione e generazione elettrica –che sarebbero rimasti ‘latitanti’).

2002-dicembre- Eni ha annunciato la perforazione del pozzo Bolia 1X (a 1.100 metri dall'area denominata Oil Prospecting License 219/ a una profondita' totale di 3.730 metri) e una produzione (con i primi test) di circa 6.000 barili al giorno di idrocarburi. – Ha avviato il sito estrattivo di Abo (in 650 metri di acqua).

2007 -5 gennaio- Ci fu una perdita nell’oleodotto che attraversa Lagos (quartiere Abule Egba). Una frotta di disperati/diseredati si precipitò su quella ‘manna’-aiuto insperato. Lo scoppio che ne conseguì lasciò sul ‘terreno’ della lotta per la sopravvivenza i corpi straziati di 269 esseri umani (caduti in ‘territorio’ ENI). La gente si domandò come mai una compagnia così ricca non avesse provveduto a mettere in sicurezza le tubazioni.

L’utile netto dichiarato da ENI nel 2005 (8.788 milioni di euro), risaputo in giro e confrontato con il numero spaventoso di quei morti, suscitò scalpore. È un ‘utile’ normale, per una società di quella portata. È normale anche che essa non fosse e non sia un’organizzazione di beneficenza. Ciò che non è ‘normale è che le società petrolifere presentino al mondo progetti tesi a combattere il sottosviluppo dei paesi ‘poveri’ (con annessa lotta alla fame/ propositi di sviluppo ‘sostenibile’/ tutela dei lavoratori/ rispetto dei diritti umani) e poi, strada facendo, si ipnotizzino con i milioni di barili da estrarre, giungendo, senza neppure rendersene conto, a mettere a sacco e fuoco l’ambiente e l’umanità che incontrano lungo il cammino (con annessi ‘effetti collaterali’-‘collaborazioni’ con forze armate/ repressione di ogni dissenso/ oppressione/ torture e omicidi allargati fino al genocidio). I progetti dell’Eni sono ottimi e non mancano di assunzioni di responsabilità e di codici di comportamento aziendale: c’è da augurarsi che vengano messi in pratica e non assurgano a parole-macigni (sotto cui nascondere azioni innominabili). Ciò che fanno le multinazionali ricade sulla dignità di tutti, ma ciò che fa l’Eni (come le altre ditte italiane) ricade sulla bandiera italiana. Vorrei tanto che non fosse sangue/ vorrei tanto che non fossero vite umane o crimini contro l’umanità…

2007 (12.02)- ENI ha firmato con la Nigeria un accordo per l’acquisto di 2 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (ampliamento della capacità di liquefazione (Train 7) del terminale di Bonny).

2009 - Marzo- Eni ha annunciato investimenti in attività di riduzione del gas flaring e l’utilizzo della tecnologia LNG (che consente la commercializzazione del gas associato all’estrazione del greggio)!!!// Ha dichiarato quanto segue: «In Nigeria sono in corso di realizzazione diversi progetti per l'utilizzo del gas associato che comportano il completamento delle stazioni di trattamento gas per far fronte agli impegni verso la N-LNG, le utenze industriali sul mercato domestico e i consumi interni. L'utilizzo della tecnologia LNG ha consentito la commercializzazione del gas associato, altrimenti bruciato in torcia, e permetterà entro il 2011 l'eliminazione della pratica del flaring nel Paese. Sono inoltre in corso i lavori per la realizzazione di un network di gasdotti diretti al terminale di Brass dove sorgerà il nuovo impianto di liquefazione che permetterà di commercializzare il gas associato proveniente da nuovi campi ad olio».


Ci sono voluti 47 anni per leggere l’annuncio soprastante (!)/ come influirà su di esso, ora, l’annuncio sottostante (?!?):

- 2009 -25 Maggio -L’Eni ha annunciato un taglio alla produzione dei pozzi nel Delta del Niger- dopo gli attacchi alle istallazioni petrolifere della regione, da parte del Movimento di emancipazione del Delta del Niger (Mend), dopo i fatti di sangue del 15 maggio.


Si legge di ENI ovunque: ENI a Marghera: investimenti per le centrali/ Eni ha siglato un accordo con l'Egyptian Natural Gas Holding Company (Egas) e con l'Egyptian Electricity Holding Compagny (Eehc)/ Eni ha firmato un'alleanza strategica negli Usa col produttore di Quicksilver Resources/ Prevista estensione per 10 anni, fino alla fine del 2030, della concessione del giacimento giant di Belayim, nel Golfo di Suez, in cui c’è anche Eni/ Ministero della Pubblica Istruzione e Ministero dell'Ambiente patrocinati da Eni/ ENI presente in circa 70 paesi con 76000 dipendenti/ ENI impegnata nella ricerca, produzione, trasporto, trasformazione,/ Eni… Bond/ Eni…obligazioni.

Eni è un gigante/ un gigante che spero eviti altrove lo scempio accaduto nel delta del Niger/ un gigante di cui sarebbe bello potersi fidare…/ un gigante che può permettersi la spesa del risanamento del delta del Niger. Giganti sono anche, a vari livelli, Agip, shell, ChevronTexaco, Exxonmobil e TotalFinaElf. Possa Dio illuminare i loro vertici direttivi tutti in tale direzione…

Eni ha approntato progetti per la riduzione del gas flaring, però. Dio voglia che li realizzi al più presto (senza procrastinaggio e senza ‘intoppi’)! What about le altre multinazionali del petrolio presenti nel delta del Niger ?!?) “Niente nuova buona nuova” recita un detto arcaico popolare del Sud Italia, ma credo proprio che in questo caso il buon detto saggio vada interpretato al contrario…

 

Moonisa

 

 

...fine seconda parte


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276