In tutta libertà
Un Cappuccetto rosso sangue. Un film che ricorda Joe D’Amato 
Ultima prova di Stefano Simone, giovane regista di Manfredonia
29 Maggio 2009
 

Cappuccetto Rosso - Italia, 2009, col., 31'

Genere: Horror - Formato: 16:9 (1.78:1) - Audio: Stereo PCM. Produzione: Foglio Cinema. Regia: Stefano Simone. Sceneggiatura: Emanuele Mattana, dal racconto di Gordiano Lupi. Musiche: Luca Auriemma. Fotografia e montaggio: Stefano Simone. - Interpreti: Luca Peracino, Soraia Di Fazio, Sara Ronco, Andrea Zamburlin, Giovanni Pipia.


Sono la persona meno adatta a parlare in maniera distaccata di questo film, perché è tratto da un mio racconto, ma se lo faccio è perché ho notato qualcosa di buono nella sua realizzazione. Di solito tra scrittori e registi non corre buon sangue, i primi se ne stanno sulla difensiva a dire quant’è bello il loro racconto e come gliel’hanno rovinato sprovveduti registi. Posso citare esempi eclatanti come Lettere da Capri di Soldati e L’uomo che guarda di Moravia, resi al cinema da Tinto Brass, nel primo caso con la disapprovazione dello scrittore e nel secondo delle eredi. Io faccio eccezione, probabilmente perché sono meno bravo di Soldati e Moravia, soprattutto non ho la pretesa di fare letteratura, ma semplice narrativa di genere.

Stefano Simone ha ventidue anni, vive a Torino ma è nativo di Manfredonia. Ho visto alcuni suoi corti come Infatuazione, L’uomo vestito di nero, Lo storpio, Il gatto nero dalle grinfie di Satana, Contratto per vendetta e Istinto omicida, girati in digitale nel periodo 2005 - 2008, che - tra alti e bassi - facevano intravedere buone potenzialità. Il suo miglior lavoro è Kenneth (2009), una storia a metà strada tra il noir duro e la pellicola del terrore, perché i truci fatti raccontati non appartengono all’orrore soprannaturale, ma alla cronaca quotidiana. È stato dopo Kenneth che la nostra amicizia si è consolidata. Simone ha letto alcuni miei racconti contenuti in Cattive storie di provincia e mi ha proposto di dare vita a una collaborazione.

Il progetto Cappuccetto Rosso nasce da un nostro colloquio durante la fiera del libro di Chiari e dalla volontà di rendere omaggio al vecchio cinema italiano che entrambi amiamo. Non per niente il corto è dedicato a Mario Bava, Lucio Fulci e Joe D’Amato, il primo come maestro assoluto e irraggiungibile, mentre gli altri vengono citati esplicitamente in diverse sequenze. Un bravo a Emanuele Mattana, che ha sceneggiato il racconto ricorrendo a intuizioni originali che lo hanno reso più cinematografico e anche al regista che ha saputo dare alla trama l’impostazione giusta. Il mio racconto Cappuccetto Rosso deriva dalle Fiabe al contrario di Gianni Rodari e da una storia di Aldo Zelli (scrittore per ragazzi a me caro), ma non è niente più che una fiaba dark che capovolge i ruoli e mette in scena una bambina cattiva e perversa contro un lupo buono, vittima della situazione. Simone riesce a umanizzare il lupo (cosa non facile) nei panni di un ragazzo che si aggira per i boschi delle colline torinesi e che la madre manda a portare del cibo alla nonna malata. Nel bosco avviene l’incontro con la perfida Cappuccetto Rosso, vestita con una seducente minigonna e armata di coltellaccio per uccidere i malcapitati. Simone realizza ottimi effettacci alla Fulci e alla Joe D’Amato: gole tagliate, pezzi di arti mozzati, sangue, splatter senza limiti, resti umani in decomposizione. La parte finale nella casa della nonna è un trionfo di suspense, abbiamo il pasto orrendo (omaggio al Joe D’Amato di Buio Omega ma anche al cinema di Lenzi e Deodato), ma soprattutto una parte gore che ricorda sequenze del miglior Fulci. Ho trovato buona la trasformazione del ragazzo in lupo che sfodera denti da belva prima di aggredire Cappuccetto Rosso. Mattana e Simone utilizzano alcune soluzioni narrative dei miei racconti cubani (“Parto di sangue” e “Il sapore della carne” contenuti in Nero tropicale edito da Terzo Millennio) per creare un finale sconvolgente e vietato ai minori.

Tra le cose migliori del film: una fotografia con ottime sequenze paesaggistiche del comune di Perrero, tenebrosi notturni di città deserte e dei boschi torinesi, un montaggio senza eccessivi tempi morti, la musica intensa che sottolinea i momenti di maggior tensione. L’ambientazione nel bosco è ben fatta, la storia è credibile, per quanto surreale, convince lo spettatore che sta vivendo una tragedia che potrebbe davvero accadere. Le citazioni dirette o indirette sono molte. Mi fa piacere ricordare che il ragazzo va a scuola e stringe sotto il braccio il mio libro sul cinema di Joe D’Amato. Una scuola così piacerebbe anche a mio figlio. Il finale è un chiaro omaggio ad Antropopahgus, solo che il ragazzo non divora le sue viscere, ma quelle della perfida Cappuccetto Rosso. Una piccola nota stonata viene dalla recitazione degli interpreti, che in alcuni frangenti potevano caratterizzare meglio i personaggi. Avrei visto volentieri una Cappuccetto Rosso più sensuale e cattiva, mentre in certi casi si limita a ripetere con poca convinzione le battute previste dal copione. Tutto sommato il giudizio sul film è ampiamente positivo e devo dire che Cappuccetto Rosso è il lavoro più interessante del giovane regista pugliese. Da vedere!


Gordiano Lupi


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