Bruna Spagnuolo: Ferdinando Michelini. Seconda parte
Ferdinando Michelini: Mosaico
Ferdinando Michelini: Mosaico 
04 Maggio 2009
 

Incontro con il maestro Michelini: finestra aperta su una filosofia di vita

 

Entrando nel bel cortile dell’antica cascina di Omate, in cui il maestro Ferdinando Michelini risiedeva, ebbi la sensazione di attraversare una qualche cataratta temporale e di trovarmi in bilico tra passato e presente. Di una delle antiche case, formate da cucina a piano terra e camera al piano superiore, l’artista occupava solo il piano terra. Avvicinandomi alla sua porta, rimasi folgorata dall’affresco che la sovrastava: sembrava conglobarmi nell’abbraccio oltre tempo dello sguardo incredibilmente azzurro e terso della Madonna con Bambino/ parlava di agilità e di meravigliosa vitalità creativa che non riuscivo a coniugare con l’età di un uomo quasi novantenne. Il maestro Michelini aprì la porta e mi stupì, al pari del suo affresco: aveva un aspetto senza tempo/ era magro e asciutto e si muoveva con un passo che mi parve completamente senza peso. Associai la coporatura di quell’uomo singolare a quella di un vecchio colombo mai stanco di voli. Oltrepassando la soglia di quella porta, mi trovai catapultata decisamente in una dimensione temporale e culturale che era come un crocevia di tentacoli-collegamenti-sentori-richiami di ritorno dalla storia dell’umanità e in viaggio verso di essa.

   L’ingresso incredibilmente piccolo era altrettanto incredibilmente zeppo di arte e di antico sapere: conteneva pergamene e preziosi reperti ammonticchiati su mensole, appoggiati al pavimento o attaccati al muro.

   Il soggiorno era un vero e proprio emporio, così pieno di progetti, tele, schizzi, disegni, opere antiche e icone da farmi girare la testa. Mi sentii stordita dalla magnificenza degli ori di una dovizia ubriacante di icone/ dal richiamo suadente di montagne di dipinti su tela/ dai messaggi poliedrici dei disegni in bianco e nero/ dalla sensazione di alveare pieno pieno di ogni sorta di meraviglia-arte. Una marea di progetti-prospetti-proiezioni-foto parlavano del numero incredibile di costruzioni pensate, disegnate, seguite, affrescate da Ferdinando Michelini nelle latitudini più impensabili del mondo. Spiccavano, tra esse, magnifiche, le chiese con le loro linee protese verso l’infinito e con le decorazioni (affreschi o mosaici indifferentemente) intrise di senso del divino e di stupore bambino. Una ‘folla’ commovente di fotografie documentava il connubio tra l’arte e la spiritualità di questo esule itinerante di Dio/ il legame quasi palpabile tra lui e i popoli più disparati della terra/ il rispetto che egli aveva frapposto come conditio sine qua non tra il proprio mondo interiore e le culture altre incontrate e amate come volti di Dio e come manifestazioni della creazione da ricondurre a Lui.

   La camera da letto era così piccola che portava a pensare di poter toccare le pareti aprendo le braccia. La mente vi si smarriva come risucchiata tra le intercapedini del tempo. Era un insieme di mobili e di oggetti che parevano usciti dalla vita di Marco Polo. In alto, larghe mensole giravano attorno a tutte le pareti; sopra, in bell’ordine, ‘abitavano’ quelli che, a prima vista, sembravano preziosi tomi antichissimi e che, in realtà, erano scatole del ‘700 provenienti da un archivio legale di compravendita e che contenevano documenti apocrifi e tesori cartacei di ogni tipo. I pochi oggetti appoggiati o appesi in quella camera avevano tutti un suggestivo alone di antichità e immancabilmente un valore storico e culturale. I libri appoggiati su uno dei due vecchissimi mobiletti accanto al letto, sapevano di meditazione e di museo. Il letto singolo, ligneo, basso e stretto e dai finimenti rossi, sembrava quello di Cristoforo Colombo. Un altarino, ‘abitato’ da un’icona suggestiva, era conglobato nel mobile a parete, di fronte al letto. La Santa Vergine e il Bambino Gesù della bella icona erano l’ultima cosa che Fedirnando Michelini vedeva prima di chiudere gli occhi la sera e la prima con cui salutava il giorno a ogni nuovo risveglio. Mi venne naturale pensare: ‘quest’uomo è un santo’.

   Il magazzino (situato in altro luogo lontano dall’abitazione) era un pozzo inesauribile di tele, di arazzi e di oggetti che parlavano della vita e dell’opera di questo maestro di architettura e di pittura. Una piccola collezione di francobolli di varia provenienza spazio-temporale contendeva l’attenzione alle targhette (tutte dipinte a mano/ ricoperte con cura meticolosa da pellicola protettiva/ simili a miniature pregiate prodotte da un antico amanuense) che quello straordinario artista aveva preparato per le opere che sarebbero andate in esposizione.

   Il maestro, semplice e socievole, accoglieva gli ospiti e dava loro ascolto, con umile disponibilità. Snello e familiare nel suo maglione grigio, aveva l’aria di un fraticello francescano. Non potei fare a meno di pensare che, per racchiudere l’intera vita in una piccolissima (seppur piena di arte e di cultura) casa, bisognasse possedere l’alchimia della saggezza e saper suddividere il tempo e il respiro tra la preghiera, l’arte e la contemplazione. La dimora del maestro Michelini era abitata dal silenzio creativo; in essa, l’assenza di apparecchi televisivi e/o telematici era quasi rumorosa e andava a nozze con una vita spartana avulsa da elettro-smog, da programmi spazzatura, da suoni sgradevoli e da tentacoli consumistici e paradossi metropolitane. Come la sua arte, anche la dimora di questo grande artista al servizio del bello appariva ammantata di bellezza e illuminata dal senso del divino.

   L’essenzialità cui la vita del maestro Ferdinando Michelini era ispirata è in linea con quella sorta di glorioso splendore che emana dagli ori, dalle linee e dai colori delle sue opere e con la povertà fatta di purezza e di vera ricchezza… Nessun uomo è più ricco di colui che persegue l’arte e il sapere mai trascurando di seguire, ovunque, comunque, sempre e a qualunque costo, le orme nitide (belle o spinose che siano) tracciate da Dio per lui. Nel breve scambio di parole, ebbi modo di chiedere al maestro Michelini se e come avrebbe potuto definire la vita. Il concetto filosofico di sintesi della risposta è più o meno il seguente: il passato è un sogno, il futuro una visione e soltanto il presente una dimensione da vivere. Le implicazioni che derivano da tale aforisma andarono a incidersi nella mia anima, in attesa di meditazioni profonde sul senso della vita umana intesa come un attimo intenso da vivere tutto a filo di respiro sulle note della musica interiore dettata dalla incrollabile fede in Dio. Gli feci domande sulla sua arte. Ne dedussi che, a livello concettuale, egli la suddivideva in arte di devozione-educativa e arte personale-libera e indipendente, mentre, a livello produttivo, la raggruppava in arte europea, arte africana e arte medio-orientale. Il maestro parlò e fece collegamenti con varie epoche-vari luoghi della sua opera; alcune immagini balzarono fuori dal tempo e dallo spazio. Le raccolsi e le stivai nella mente e nel cuore; tra esse spiccano i giovani Ebrei (ahimè, sempre in guerra, in terra Santa), che, lasciandosi sedurre dal richiamo dell’arte e del bello, posavano le armi all’ingresso, baciavano la mano e facevano la fila davanti ai dipinti di Michelini esposti a Beit Jala e i Maroniti, che, visitando una mostra micheliniana nell’università ‘Santo Spirito’ di Beirut, baciavano una per una le icone ivi esposte. L’opera di Michelini porta ad associare l’arte alla pace e l’autore alla evangelica ‘lampada sul moggio’.

   Al momento del commiato, il maestro Michelini mi chiese di non scrivere troppo di lui e di non esaltarlo, di parlare poco della marea di opere e di viaggi e di dare spazio alla pittura, perché tutto può contenere ricordi vari e anche dispiaceri, ma la pittura è stata-è-rimarrà l’espressione libera della sua arte. Quelle parole mi colpirono come una rivelazione. L’uomo Michelini ha vissuto per dare gloria a Dio; ha dedicato tutti i suoi passi a servire e onorare il suo Creatore, attraverso l’arte. Ha speso ogni suo respiro suo respiro per l’arte; ha valicato confini e barriere di ogni dimensione; ha lavorato senza sosta, senza risparmio di energie e senza altra ricompensa che la destinazione finale delle sue opere; ha tracciato chilometri di segni-progetti; ha fatto erigere muri e strutture edilizie varie; ha dato forma alla sua sete del trascendente; ha riempito spazi grandiosi di grazia e di forme; ha dormito con la mente affollata di immagini-volti-espressioni-ispirazioni-suoni-parole-pensieri-preghiere; ha innaffiato e custodito con solerzia la sua mai paga ansia di lodare l’Onnipotente con le varie manifestazioni del suo genio. Il pittore Michelini ha usato il colore, le tele e le pareti come meditazioni oranti immortalate.

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   All’interno della mastodontica opera micheliniana, il pittore potrebbe erroneamente essere visto come entità adombrata da quella dell’architetto-missionario-viaggiatore-esule errante. La pittura di Michelini, invece, rappresenta il cuore pulsante di tutta la sua arte, il tessuto connettivo tra le manifestazioni poliedriche del suo estro creativo; è stata per questo grande artista la liberazione pindarica, il volo senza pesi-zavorre, la nostalgia di Paradiso e l’eternità ritrovata tra le peregrinazioni terrene della materia-corpo-casa dello spirito-scintilla di Dio. Se ne deduce chiaramente ciò che, oltre ad essere insito nel segno e nelle atmosfere delle opere, è scritto nella vita, se non nello stesso DNA, di questo personaggio che ha vissuto in spirito di povertà e umiltà: la vita è un dono del Creatore e va vissuta come umile testimonianza della sua grandezza. Viene naturale associare tale percorso alla santità: se scopo della vita stessa è la santità, intesa come adesione totale al volere di Dio, essere santi non vuol dire fare i miracoli eclatanti-vistosi-simili alle magie, ma vivere nel silenzio il proprio fiat senza renitenze-ribellioni-rivalse-ambiguità. Ferdinando Michelini ha fatto tutto ciò, ha vissuto senza perseguire le ricchezze terrene, seguendo le mappe del richiamo di Dio con tutte le fibre del suo essere, e, in più, ha dato tutto se stesso per aggiungere forza e voce al coro universale del canto perenne delle lodi al Signore. Oltre ad essere un artista grande e completo, è lui stesso un’icona, un esempio luminoso della fede illuminata e vera (quella difficile da trovare su questa terra / quella che dovrebbe essere per ognuno lo scopo di tutta una vita / quella che darebbe a chi la possedesse la capacità di “spostare le montagne”).

 

Bruna Spagnuolo

 

 

 

...fine seconda parte

 

 


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