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Un’emozionante Pamela Villoresi apre ai Musei Capitolini la seconda edizione di “Divinamente Roma”
08 Aprile 2009
 

Pamela Villoresi (foto) è sempre stata attratta dalle culture di tutta Europa, grazie anche alle sue origine mitteleuropee; tra i suoi amori Cechov, del quale interpreta Nina nel Gabbiano con la regia di Marco Bellocchio e Masha ne Le tre sorelle. Con Strehler, suo padre teatrale, ha interpretato Il Campiello, Arlecchino servitore di due padroni e Le baruffe chiozzotte di Goldoni, Il Temporale di Strindberg, Minna von Barbhelm di Lessing (premio UBU) ed infine L’isola degli Schiavi di Marivaux, ultima regia teatrale del maestro.

Dall’anno scorso l’Attrice è la Direttrice Artistica di “Divinamente Roma”, festival internazionale della spiritualità, promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, dall’Associazione ARMUSER e dall’Ente Teatrale Italiano.

Fino al 13 aprile con questa seconda edizione la città di Roma torna ad accogliere, così, le note, le voci, i racconti di altre genti, di altre culture, per rintracciare un sentire comune, un’univoca vocazione alla comprensione, alla pace, mettendo al centro del discorso - non solo artistico - l’uomo, con le sue immutate domande, i suoi bisogni più alti, la sua spiritualità, oltre ogni singolo, differente credo.

 

Il prologo del Festival ha visto protagonista la stessa Villoresi sia come regista, che come interprete, ne La matassa e la rosa di Giuseppe Manfridi, dialogo di elevata spiritualità dedicato a Dio e alla vita, interpretato insieme a Sabina Vannucchi.

Lo spettacolo, intriso di una profonda ricerca della luce, dell'amore, del dono di sé verso l'altro, con una Pamela Villoresi che ha donato al pubblico momenti di altissima liricità, guarda ai temi della religiosità come incrocio di esperienze, volano di confronti, punto di intersezione e di comunione, facendosi sintesi delle linee che guidano la rassegna.

Il testo è un oratorio che trasforma in parola e poesia spunti ed indicazioni provenienti dalle differenti forme di spiritualità, incrociando i destini di Edith Stein e Etty Hillesum nel lager nazista di Westerbork. L'una, ebrea di nascita, filosofa convertitasi al cattolicesimo, suora carmelitana, muore ad Auschwitz nel 1942; l'altra, scrittrice ebrea, promuove una logica che si oppone radicalmente a quella terribile della morte insita nell'intervento nazista.

 

La matassa e la rosa, seppure con qualche tentazione affabulatoria, evita di cacciarsi nelle tante trappole e insidie del facile didascalismo e della supremazia di un'ideologia religiosa sull'altra; riesce, viceversa, a trasmettere limpide quanto dolorose emozioni comunicando le inquietudini di chi sa che sta per morire di una morte terribile quanto assurda.

 

Belle le musiche che il chitarrista Luciano Vavolo ha composto, rielaborando motivi della tradizione ebraica, suonate dall'affiatato ensemble di cui fanno parte, oltre allo stesso Vavolo, Nicola Innocenti al clarinetto e Paolo Clementi alla viola.

 

«Le religioni diventano spesso pretesto per aggressioni e guerre» dichiara Pamela Villoresi. «Ognuno si sente garante di verità assoluta e pare non aver più bisogno della verità dell'altro. Un maestro, Sufi Ibn Arabi, scriveva che Dio non è contenibile da tutti i nostri libri, né dal suo mondo né dal suo cielo ma solo dal cuore di chi lo cerca. L'acqua è del colore del recipiente che la raccoglie. Ma l'uomo finge di non saperlo e si adopra più per trovare i punti di rottura che quelli d'incontro. Questo progetto ambisce ad essere un mezzo di comprensione - attraverso lo spettacolo - dei diversi percorsi religiosi e spirituali».

 

Lucio De Angelis

(da Notizie radicali, 8 aprile 2009)

 

 

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