Manuale Tellus
I poemi di Ossian: Daura e Arindal
Ingres: il sogno di Ossian
Ingres: il sogno di Ossian 
05 Aprile 2009
 

Continua il nostro racconto sul tema del Fantastico con la lettura dell’episodio di  Daura e Arindal, tratto dai poemi di Ossian.

Ossian è il nome di un bardo leggendario dell'antica Scozia, figlio del guerriero Finn Mac Cumhaill e della poetessa Sadhbh. I primi cenni a Ossian si trovano negli scritti di Giraldo Cambrense, del XII secolo.

James Macpherson (1736-1796) fra il 1760 e il 1765 pubblicò varie raccolte di sue poesie, presentandole come traduzioni dei poemi di Ossian. Macpherson finse di aver tradotto le poesie di Ossian, mentre in realtà si basò su dei frammenti e inventò  molti "canti". Il successo delle sue presunte traduzioni, fu straordinario e  la presenza nei canti di  una natura selvaggia e tormentata, ne fecero un'opera fondamentale del Preromanticismo.

Il successo dei poemi di Ossian fu immenso in tutta Europa, ma oggi sappiamo che si tratta di frammenti di canti appartenenti alla tradizione popolare, che Macpherson inserì in un’opera  epica di sua creazione che ci riporta  visioni di un medioevo celtico molto suggestivo.

L’opera, consistente in 80.000 versi  circa, attraverso il racconto delle gesta di Finn e di un altro leggendario eroe irlandese, Cú Chulainn, ci riportano a un lontano passato pagano e influenzò molti autori contemporanei; Ugo Foscolo ne riportò alcuni spunti nei suoi Sepolcri e  Johann Wolfang Goethe  dedicò un ampio brano del suo romanzo I dolori del giovane Werther proprio a un canto di Ossian.

L’opera copre un periodo compreso fra l'XI e il XVIII secolo e ne restano tracce nei componimenti popolari irlandesi e scozzesi.

 

Fantastico appare il regno di Ossian, definito l’Omero del Nord,  leggendario guerriero e bardo gaelico vissuto nel III sec. d. C..

Daura e Arindal, tratto dai poemi di Ossian, parla dell’amore di Armiro e Daura e dell’odio fra lo stesso Armiro, promesso sposo alla bella Daura dal padre di lei Armino, e il suo nemico Erath. L’inganno che Erath provocherà alla povera Daura porterà alla morte sia Arindal che la giovane sposa, che morirà di dolore per la perdita del fratello.

L'opera fu per la prima volta tradotta in italiano dallo scrittore Melchiorre Cesarotti nel 1763. La sua traduzione fu talmente apprezzata che influenzò scrittori come Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti e Giacomo Leopardi

 

L’opera è caratterizzata da ambientazioni epiche e oniriche e da descrizioni fantastiche:

 

“Oh sorgete, soffiate impetuosi,

venti d’autunno, su la negra vetta;

nembi, o nembi, affollatevi, crollate

l’annose querce; tu torrente, muggi

per la montagna, e tu passeggia, o Luna,

per torbid’ aere, e fuor tra nube  e nube

 mostra pallido raggio…”

“O Daura , o figlia, eri tu bella, bella

come la luna sul colle di Fura,

bianca di neve e più che auretta dolce.

Forte, Arindallo, era il tuo arco, e l’asta

veloce in campo; era a vapor sull’onda

simil l’irato sguardo, e negra nube

parea lo scudo in procelloso nembo”.

 

Il rapporto uomo-natura è strettissimo quasi a diventare un tutt’uno. Si coglie l’identità tra la bellezza della donna e quella della bianca luna e la forza dell’ uomo appare  quasi superiore a una nube tempestosa.

Poi l’atmosfera cambia totalmente, non più la bellezza e la magnificenza della natura, ma l’uomo perfido e cattivo che non perde tempo a trarre in inganno un suo simile:

 

“Cangiò sembianze e ci comparve innanzi

come un figlio dell’onda…

-O più vezzosa tra le donne-, ei disse

-bella figlia d’ Armin, di qua non lunge

sporge rupe nel mar, che sopra il dorso

porta arbuscel di rosseggianti frutta.

Ivi t’attende Armiro; ed io men venni

per condurgli il suo amor sul mare ondoso…”

 

Paesaggi nordici, cupi e tempestosi, apparizioni di spettri, un senso di malinconia desolata sono i temi  presenti  nel brano “La guerra contro Swaran e la morte di Morna”, tratto da Fingal (dai poemi di Ossian). I paesaggi sono tipicamente fantastici, le espressioni di amore e morte  rivelano una situazione tragica e ci fanno  immaginare una realtà non  razionale. Espressioni quali: come i venti tempestosi della landa o come un raggio di sole prima della tempesta, comunicano le sensazioni e le emozioni  dei protagonisti. Espressioni  caratteristiche del fantastico, come  fulmine di guerra, oscurità della battaglia, onde cupe, ci riportano a ipotizzare con più facilità le immagini descritte. Stretto è il rapporto della natura con il  fantastico: la natura si trasforma, assume aspetti cupi, tetri, e le parole espresse nel testo, rendono efficacemente l’idea del soprannaturale, del paesaggio naturale cupo, desolato, arido e nebbioso.

“I canti di Ossian” sono un tipico esempio di letteratura  fantastica e ad essi s’ispirò J. A.-D. Ingres (1780-1867), pittore francese per dipingere il quadro “Il sogno di Ossian”.

Nel dipinto si trovano tutti gli elementi caratteristici dell’epica classica: la cetra, gli scudi, le armature e le spade dei guerrieri. In primo piano è raffigurato Ossian addormentato sulla sua cetra. Sullo sfondo s’intravedono le figure dei guerrieri e di altri personaggi invocati dal bardo con il suono della sua cetra. Questi spiriti sono immersi in un paesaggio nordico, fantastico, desolato e nebbioso.

In sogno Ossian vede il figlio Oscar (raffigurato a destra con l’elmo e lo scudo), la vedova di questi, Malediva, (la figura statuaria a sinistra), l’immagine del padre Fingal, re di Morev, Starno re delle nevi (la grottesca figura al centro), le figlie che suonano l’arpa e una lunga fila di guerrieri della mitologia ossianica.

Il pittore ha voluto rappresentare la differenza tra il sogno e la realtà. Il mondo reale è esaltato da colori accesi, quali il rosso, il verde e il blu del cielo e delle vesti d’Ossian, mentre gli spiriti sono collocati in un ambiente indistinto: una luce abbagliante e irreale  evidenzia l’effetto di sogno e di irrealtà.

Notevole fu l’influenza del poema sulla Musica romantica, e su Franz Schubert in particolare che  compose  Lieder ambientandoli sui poemi ossianici.

Alla grottesca e fantastica immagine di Fingal (leggendario eroe irlandese), s’ispirò il compositore tedesco J. L. F. Mendelssohn, (1809-47) per comporre l’ouverture “La grotta di Fingal” (grotta scavata dal mare nella costa meridionale dell’isola di Staffa-Ebridi).

  

 

I canti di Selma

 

 

ARMINO

 

Mesto son, né lieve

È la cagion di mia tristezza. Amico,

Tu non perdesti valoroso figlio,

Né figlia di beltà. Colgar, il prode

Tuo figlio è vivo, ed è pur viva Annira,

Vaga pulcella. Rigogliosi e verdi

Sono o Cramoro, di tua stirpe i rami;

Ma della schiatta sua l'ultimo è Armino.

Daura, oscuro è 'l tuo letto, o Daura, forte

È il sonno tuo dentro la tomba: e quando

Ti sveglierai con la tua amabil voce

A consolar l'addolorato spirto?

 

O sorgete, soffiate impetuosi

Venti d'autunno su la negra vetta;

Nembi o nembi affollatevi, crollate

L'annose quercie; tu torrente, muggi

Per la montagna, e tu passeggia, o Luna,

pel torbid'aere, e fuor tra nube e nube

Mostra pallido raggio, e rinnovella

Alla mia mente la memoria amara

Di quell'amara notte, in cui perdei

I miei figli diletti, in cui caddero

Il possente Arindal, l'amabil Daura.

O Daura, o figlia, eri tu bella, bella

Come la Luna sul colle di Fura,

Bianca di neve e più che auretta dolce

 

Forte, Arindallo, era il tuo arco, e l'asta

Veloce in campo; era a vapor sull'onda

Simil l'irato sguardo, e negra nube

Parea lo scudo in procelloso nembo.

Sen venne Armiro il bellicoso, e chiese

L'amor di Daura, né restò sospeso

Lungo tempo il suo voto, e degli amici

Bella e gioconda rifioria la speme.

 

Fremette Erasto, che il fratello ucciso

Aveagli Armiro, e meditò vendetta.

Cangiò sembianze, e ci comparve innanzi

Come un figlio dell'onda: era a vedersi

Bello il suo schifo; la sua chioma antica

Gli cadea su le spalle in bianca lista;

Avea grave il parlar, placido il ciglio.

O più vezzosa tra le donne, ei disse,

Bella figlia d'Armin, di qua non lunge

Sporge rupe nel mar, che sopra il dorso

Porta arbuscel di rosseggianti frutta.

Ivi t'attende Armiro; ed io men venni

Per condurgli il suo amor sul mare ondoso.

Credè Daura ed andò: chiama, non sente

Che il figlio della rupe: Armir, mia vita,

Amor mio, dove sei? perché mi struggi

Di tema il core? o d'Adanarto figlio,

Odi, Daura ti chiama. A queste voci,

Fugginne a terra il traditore Erasto

Con ghigno amaro. Essa la voce inalza,

Chiama il fratello, chiama il padre: Armino,

Padre, Arindallo, alcun non m'ode? alcuno

Non porge aita all'infelice Daura?

Passò il mar la sua voce; odela il figlio,

Scende dal colle frettoloso, e rozzo

In cacciatrici spoglie; appesi al fianco

Strepitavano i dardi, in mano l'arco,

E cinque cani ne seguian la traccia.

Trova Erasto sul lido, a lui s'avventa,

E l'annoda a una quercia; ei fende invano

L'aria di strida. Sovra il mar sul legno

Balza Arindallo, e vola a Daura. Armino

Giunse in quel punto furibondo, e l'arco

Scocca; fischia lo strale, e nel tuo core,

Figlio, Arindallo, nel tuo cor s'infigge.

Tu moristi infelice, e di tua morte

Ne fu cagion lo scellerato Erasto.

S'arresta a mezzo il remo; ei su lo scoglio

Cade rovescio, si dibatte, e spira.

Qual fu, Daura, il tuo duol, quando mirasti

Sparso a' tuoi piedi del fratello il sangue

Per la man dello sposo? il flutto incalza,

Spezzasi il legno; Armiro in mar si scaglia

Per salvar Daura, o per morir; ma un nembo

Spicca dal monte rovinoso, e sbalza

Sul mar; volvesi Armir, piomba, e non sorge.

 

Sola, dal mar su la percossa rupe

Senza soccorso stava Daura, ed io

Ne sentia le querele; alte e frequenti

Eran sue strida: l'infelice padre

Non potea darle aita. Io tutta notte

Stetti sul lido, e la scorgeva a un fioco

Raggio di Luna; tutta notte intesi

I suoi lamenti: strepitava il vento,

Cadea a scrosci la pioggia. In sul mattino

Infiochì la sua voce, e a poco a poco

S'andò spegnendo, come suol tra l'erbe

talor del monte la notturna auretta.

Alfin, già vinta da stanchezza e duolo,

Cadde spirando, e te, misero Armino,

Lasciò perduto: ahi tra le donne è spenta

La mia baldanza, e la mia possa in guerra.

Quando il settentrion l'onde solleva,

Quando sul monte la tempesta mugge,

Vado a seder sopra la spiaggia, e guardo

La fatal roccia: spaziar li miro

Mezzo nascosti tra le nubi, insieme

Dolce parlando una parola: o figli,

Pietà, figli, pietà; passan, né 'l padre

Degnan d'un guardo. Sì, Cramor, son mesto,

Né leve è la cagion del mio cordoglio.

Sì fatte usciano dei cantor le voci

Nei dì del canto, allor che il Re festoso

Porgeva orecchio all'armonia dell'arpa,

E udia le gesta degli antichi tempi.

Da tutti i colli v'accorreano i duci

Vaghi del canto, e n'avea plauso e lodi

Di Cona il buon cantor, primo tra mille;

Ma siede ora l'età sulla mia lingua,

E vien manco la lena. Odo talvolta

Gli spirti de' poeti, ed i soavi

Modi ne apprendo; ma vacilla e manca

Alla mente memoria. Ho già dappresso

La chiamata degli anni, ed io gl'intendo

L'un contro l'altro bisbigliar passando:

Perché canta costui? sarà fra poco

Nella picciola casa; e alcun non fia

Che col suo canto ne ravvivi il nome.

Scorrete, anni di tenebre, scorrete,

Che gioia non mi reca il corso vostro.

S'apra ad Ossian la tomba, or che gli manca

L'antica lena: già del canto i figli

Riposan tutti: mormorar s'ascolta

Sol la mia voce, come roco e lento

Mugghio di rupe, che dall'onde è cinta,

Quando il vento cessò: la marina erba

Colà susurra, ed il nocchier da lunge

Gli alberi addita, e la vicina terra.

 

L'opera contiene  temi che esaltano la virtù guerriera e cavalleresca, il mito della bontà originaria dell'uomo, storie di amori appassionati ma fatalmente infelici, e descrizioni di paesaggi cupi e desolati. Le atmosfere sono infatti malinconiche e tempestose, spesso  notturne e spettrali. La lettura è avvincente e trasporta facilmente in luoghi lontani che fanno sognare e creare

 

A cura di Anna Lanzetta

e degli studenti del biennio superiore ITIS “A. Meucci” di Firenze

Anno scolastico 2001-02

 

 

Immagine di copertina:

Jean Auguste Dominique Ingres (1780-1867), Il sogno di Ossian, 1813


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