Diario di bordo
Mao Valpiana. Nella mia cittą mi sento straniero. Storie di autobus e panchine
La statua di
La statua di 'San Zen che ride' 
01 Aprile 2009
 

Amo molto la città dove sono nato e vivo. Le colline le fanno da corona, il fiume la bacia due volte, piazze, chiese e palazzi gareggiano per bellezza. È conosciuta in tutto il mondo per una storia d'amore, per il bel canto e per il buon vino. Ce n'è abbastanza per andarne orgogliosi. Eppure, da un po' di tempo, qualcosa non va. Si avverte un senso di paura, di diffidenza, di chiusura, di arroccamento su se stessa. È come se la città stesse perdendo la propria identità: dall'interno delle proprie viscere cresce sempre più la paura dello “straniero” come colui che viene ad invadere il nostro territorio, a rubarci il lavoro, a stuprare le donne, a delinquere, ad inquinare la nostra cultura, a diffondere altre religioni... fuori di sé emerge la spinta all'autodistruzione, a rovinare se stessa, a cancellare in pochi anni ciò che per secoli è stato preservato: progetti di cementificazioni, un'autostrada che buca le colline, centri commerciali in aree verdi, lottizzazioni per nuovi grattacieli.

Quando si va in una città diversa dalla propria (come turisti, come ospiti, o come immigrati), solitamente il primo impatto lo si ha con i mezzi di trasporto e poi con i luoghi di ristoro. Chi viene ora nella mia città rischia di trovare brutte sorprese. Sugli autobus urbani sono avvenuti di recente brutti episodi (per l'ultimo, in ordine di tempo, il quotidiano locale ha titolato “insulti razzisti sul bus” rivolti da un conducente ai danni di una signora marocchina), denunciati dalle vittime e persino da qualche autista civile che ha preso le distanze dai colleghi che lascerebbero a piedi immigrati “extracomunitari” presumendoli senza biglietto.

Se dopo un simile trattamento lo “straniero” desiderasse riposarsi su una panchina dei giardini, dovrebbe fare i conti con uno scomodissimo bracciolo fatto installare di recente dall'amministrazione comunale proprio per impedire a chiunque di stare comodo e magari sdraiarsi sulla panca a prendere il primo sole primaverile. Sarebbe antidecoroso, dicono. In alcuni giardini, frequentati dai fruitori della mensa per i poveri della San Vincenzo, le panchine sono state addirittura tolte, così non c'è più il “pericolo” che barboni e senza fissa dimora trovino accoglienza e conforto.

Se autobus e panchine diventano luoghi inospitali e vietati ai soggetti più deboli di una città, significa davvero che quella città ha perso la propria anima, tanto da dimenticare che il proprio santo patrono è un “vescovo moro”, proveniente dal nord Africa (Algeria o Marocco) nella seconda metà del IV secolo e venerato per millesettecento anni come “San Zen che ride” per il suo sorriso accogliente. Oggi sarebbe anche lui un “extracomunitario” insultato sull'autobus e cacciato dalle panchine.

Ma nella nostra città ci sono anche numerose associazioni che promuovono la cultura della pace e la difesa dei diritti umani, riunite in un cartello che vuole arginare e sconfiggere, soprattutto sul piano culturale, il nascente razzismo. Una recente iniziativa è stata quella di acquistare gli spazi pubblicitari sugli autobus e installarvi il logo della campagna “Nella mia città nessuno è straniero”. Per una volta la pubblicità non è fatta per vendere una merce, ma per regalare un'idea.

 

Mao Valpiana

(da Notizie minime della nonviolenza, 1° aprile 2009)


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