Lo scaffale di Tellus
Marco Cipollini: L’arte dell’imitazione (V). “The garden seat” di Thomas Hardy e “Letting go” di Francis Harvey
Francis Harvey
Francis Harvey 
12 Aprile 2009
 

Mentre da noi nel secolo testé defunto la forma chiusa ben presto si allentò e si liquefece, in Paesi di più forte tenuta sociale e culturale essa permase senza un brivido. Aperta parentesi. Per comodità uso anch’io l’espressione “forma chiusa”, ma essa è inadeguata e snaturante, perché dà l’idea di una camicia di forza in cui è costretto il poeta in preda a un attacco d’ispirazione. Al contrario, le forme metriche e strofiche (auto)regolate non sono una prigione, bensì una scala, un “gradus ad Parnassum”, che permette di salire a un ordine superiore sia del linguaggio sia della realtà. Chiusa parentesi.

Un terzo del testo di The garden seat, di Thomas Hardy, è costituito da coppie di versi ripetuti; sembra un giochetto facile, e invece è un tour de force, di valenza ipnotica, come guardarsi la punta dei piedi sporgente sull’abisso. Traducendo, giova variare appena, ma variare, questa geminante fissità, percepibile in italiano come un poco meccanica.

Francis Harvey, da parte sua, costruisce un perfetto sonetto (inglese) calandone la forma – assai più libera che nel modello italiano – nella quotidianità di una storia che pare di estrazione televisiva, eppure che racchiude in nuce il senso oscuro e forte dell’amore, un mistero fatto “di carne e di ossa”. Ecco due esempi di come il bicchiere della forma possa contenere un mare emotivo, e questo anche nel cosiddetto mondo moderno.



THOMAS HARDY

(1840 – 1928)


The garden seat


Its former green is blue and thin,

And its once firm legs sink in and in;

Soon it will break down unaware,

Soon it will break down unaware.


At night when reddest flowers are black

Those who once sat thereon come back;

Quite a row of them sitting there,

Quite a row of them sitting there.


With them the seat does not break down,

Nor winter freeze them, nor floods drown,

For they are as light as upper air,

They are as light as upper air!



La panchina del parco


Fu verde un tempo, ora è livida e stenta…

Già salda, ogni zampa è sempre più lenta…

Presto, si accascerà senza saperlo.

Presto si accascerà, senza saperlo.


La brace dei fiori a notte si annera,

torna di chi vi sedette la schiera…

Uno, e dopo un altro, in fila, si siede…

Uno dopo l’altro, in fila, si siede.


Stanno sulla panchina, che non crolla,

né inverno li gela o pioggia li ammolla:

perché sono leggeri come l’aria,

leggeri sono loro come l’aria!



 

FRANCIS HARVEY

(1925)


Letting go


                           for Gerard Moriarty


He came today to take away her things

(I’m glad I wasn’t there to see them go):

blouses and dresses, lingerie and rings,

even that tattered doll minus its toe.


I know we have to let them live their lives.

Not even love can change a thing like that.

Live and let live it was and it survived

the dramas of her love life and her hats.


But something deeper warns us to let go,

one of those things we never put in words.

Out of the darkness sunlit flowers grow,

under the silken cloak scabbards and swords.


Lives are for living: she must live her own.

The mystery of love is flesh and bone.



Lasciali andare


                             per Gerard Moriarty


Oggi è venuto a prenderci, di lei, il resto

(meglio non li abbia visti già andare via):

vesti e camicette, anelli e biancheria,

e il pupazzo di pezza, mutilo e pesto.


Lo so, vanno incontro alla loro esistenza,

mutarla non può nemmeno il nostro amore.

Col ‘vivi e lascia vivere’ almeno assenza

ci fu di quei balordi drammi del cuore.


Ma un che di più profondo ci persuade,

un sentimento che non si sa a parole.

Spuntano dalla notte fiori nel sole,

da sotto un manto di seta invece spade.


Le vite van vissute: la sua lei possa.

Il mistero d’amore è di carne e di ossa.


 


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