Rimeditazioni
Identità originarie, retaggi e modernità, libertà della e nella Chiesa
16 Marzo 2006
 
«...c’è chi lavora deliberatamente a gettare benzina sul fuoco di una guerra di religione, e un minimo di esperienza storica dovrebbe averci insegnato che le guerre di religione sono le più rovinose e le più terribili»
 
 
Si ha un bel discettare sulla libertà di parola e di espressione – una grande conquista, intendiamoci – ma nessuno mi toglie dalla testa che le famigerate vignette antimaomettane apparse su un giornale danese, è bene ricordarlo di estrema destra, siano il frutto di una tanto determinata quanto irresponsabile provocazione. Se si vuole difendere, com’è giusto, la libertà di stampa, così come tutte le altre libertà, bisogna non metterla a repentaglio. In questo caso il rischio era evidente, così evidente da non poter non esser voluto. In realtà c’è chi lavora deliberatamente a gettare benzina sul fuoco di una guerra di religione, e un minimo di esperienza storica dovrebbe averci insegnato che le guerre di religione sono le più rovinose e le più terribili. La Valtellina del Sacro Macello (orribile espressione sfuggita, qualche secolo dopo, al pur prudente Cesare Cantù) ne sa qualcosa. Teniamo conto anche del fatto che la fantasia religiosa è la più abile nell’inventarsi nemici.
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Certi difensori della nuova legge sulla difesa con l’uso delle armi della propria persona o della propria roba, hanno un bel profondersi nel dire che non c’è niente di cambiato rispetto alla legislazione precedente. Tanto sarebbe valso, allora, non promulgarla. A parte gli effetti psicologici, una cosa è sicura: chi ci guadagna è la produzione e il mercato delle armi. Di qui al varo di milizie private, sostitutive di quelle pubbliche, con tutte le conseguenze immaginabili in un paese così poco unitario come l’Italia, il passo è breve. Perché poi i promotori di questa legge, acerrimi paladini della propria identità originaria, ci vogliano far diventare tanto somiglianti agli americani, rimane un mistero, oltre che una delle molte contraddizioni della nostra vita politica.
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Si è parlato e si parla molto di radici, a proposito delle nostre radici cristiane, e va bene, ma bisognerebbe piuttosto parlare del retaggio che ci portiamo dietro o dentro o addosso, ed eventualmente del rapporto tra questo e la modernità o altri eventuali retaggi. Uno di questi è quello che ci proviene dal mondo greco. La sua arte, la sua poesia, la sua filosofia. Senza, per esempio, dimenticare che all’origine dello strumentario filosofico dominante per secoli nelle scuole ecclesiastiche, fu proprio la riscoperta, avvenuta tramite gli arabi, del pensiero greco, Aristotele in testa. A proposito, questo è un debito che abbiamo, uno fra gli altri, con l’Islam. È anche per questo che un’eventuale guerra fra le culture, e le connesse civiltà, finirebbe, più o meno presto, col diventare una guerra intestina. Forse converrebbe parlare, più che di radici, di sorgenti, che scorrono all’aperto e vanno incontro al variare dei terreni e delle stagioni, modellandosi su di esse e contribuendo a modellarle. Non per niente ai movimenti che hanno portato al Concilio, o che al Concilio fanno riferimento, è stato dato il nome di resourcement, riattingimento alle sorgenti.
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Alla mia età e nelle mie condizioni vivo molto appartato dalla vita pubblica, pur tuttavia non perdendola di vista e ritenendomene parte integrante, per esempio anche nella redazione di queste “Rimeditazioni”. Tanto più emozionante è stata per me la partecipazione come concelebrante, nella chiesa del Sacro Cuore, alla messa di addio, la cosiddetta despedida per l’amica Roberta Bombardieri (amica lei e tutta la sua famiglia), che torna alla sua missione in Perù dopo un soggiorno in patria. Un soggiorno anch’esso molto operoso, com’è nel suo stile. La presenza di una massa di giovani che gremiva la chiesa, mi ha fatto molto riflettere. Siamo purtroppo prigionieri di clichés sommariamente negativi sul mondo giovanile. Ogni smentita a questi luoghi comuni è benvenuta. Per Roberta valgano le parole di Gesù: «Ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me».
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C’è la libertas ecclesiae, ed è all’insegna di questa che vanno giudicati e compresi molti dei suoi pronunciamenti, ma c’è anche una libertà all’interno della stessa Chiesa. Perfino un inatteso Pio XII aveva, in un dei suoi ultimi discorsi, parlato di un diritto all’espressione di una opinione pubblica all’interno del mondo cristiano. L’abbiamo dimenticato? È in nome di questo diritto che mi permetto di esprimere un giudizio negativo, che so però condiviso da molti altri, su quella specie di beatificazione seduta stante di don Andrea Santoro, pronunciata dal più eminente dei prelati italiani, il presidente (in scadenza) della Conferenza episcopale cardinal Ruini. Credo che il primo a non gradirla sarebbe lo stesso don Santoro, impegnato com’era nel dialogo col mondo islamico. Penso che l’obiettivo primario da porsi,e a cui subordinare ogni altro, in una contingenza storica come quella in cui stiamo vivendo, sia quello di non gettare benzina sul fuoco della guerra di religione che, mi ripeto, è la più rovinosa delle guerre. La beatificazione, più che meritata, può attendere. Dov’è andata a finire la storica, ma anche spesso mal compresa prudenza ecclesiastica? È singolare che a rimpiangerla debbano essere uomini con un vissuto ecclesiale alle spalle come il mio.
 
Camillo de Piaz
(Da Tirano & dintorni, marzo 2006)
 

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