Prodotti e confezioni [08-20]
In libreria/ Paola Sarcià. Occhi di zagara
10 Febbraio 2009
 

Ho semplicemente “messo in ascolto” la mia anima, per coglierne le vibrazioni sollecitate da una consonanza con quella dell'autrice: lo “scotto” che si paga quando si congedano le proprie creature poetiche, regalandole al pubblico, è – ovviamente – che il lettore se ne appropria, le metabolizza a suo modo, un modo che non sempre l’autore avrebbe ipotizzato e nemmeno, magari, condivide…

Non mi va di indugiare sull’evidenza, sull’eloquenza, sull’apparente ineluttabilità del dolore palesato dai versi: vorrebbe dire dar quasi forza, una volta di più - una vittoria di troppo – a chi quel dolore ha causato, a chi ci vuol male. No, basta.

Io d’istinto sono andata a cercare altro, come faccio in questa stagione che annuncia l’inverno: tra le foglie che ancora non sono del tutto cadute, lungo il ramo bruno di alcune piante già si intravvedono le gemme di una primavera che verrà… la Natura, tanto più saggia di noi umani SA che verrà.

E così in queste poesie mi piace farmi stupire dalle gemme della rigenerazione, anche quando esse proteggevano ancora la loro tenerezza, fragilità, ma anche tenacia, dalle intemperie dell’esistenza…


Il Verbo: cerchio di fuoco

Da dove è partita l'autrice, forse senza sapere di partire? Dal Verbo (“in principio era il Verbo…”), nel senso di Logos, di parola che oggettiva sulla pagina un’urgenza e mette ordine, una buona volta! Ma anche dal verbo in senso tecnico: molte poesie sono incardinate su un verbo, che solitamente si staglia, solo, più o meno in mezzo al testo poetico [«attendo, si dilata, inghiotte» p. 16; «saper volare» p. 18; «affondo, cerco» p. 22; «danzo» p. 25; «condividi» p. 26; «tace» p. 28; «mi racconto, a ingannare» p. 30; «riflette» p. 32; «approdi» p. 36; «osservare, stordiscono, restituiscono» p. 40; «fissano» p. 49; «cerco, comprare» p. 51; «intingiamo» p. 57; «mi avvicino» p. 61; «si spandono» p. 81], a volte esattamente al centro [«si uniscono» p. 27; «restiamo» p. 35; «corteggia» p. 48; «fuggo» p. 63; «assisto» p. 80].

Il verbo è un elemento dinamico, denota l’azione: c’è una situazione che precede il verbo, una, cambiata, che lo segue… il passaggio magari è obbligato, tanto per non dimenticarsi che bisogna espiare sempre qualcosa - a quanto pare (non si sa bene cosa, ma comunque…) - ma poi si arriva da qualche altra parte, si apre un percorso nuovo, ci si evolve, magari ci si salva!

 

I quattro elementi

Ed è partita dalle origini, dal recupero di una sapienza antichissima: dai quattro elementi di Empedocle (siciliano pure lui: un caso?): Terra, Acqua, Fuoco, Aria si rincorrono tra le Zagare… La Terra spesso come tale [pp. 22, 36, 37, 84, 94], come sabbia [pp. 15,40, 42; «dune» p. 99], come deserto [p. 29] e roccia [p. 54], l’Acqua come mare [pp. 13, 15, 32, 36, 39, 48, 94, 100, 107], onda [pp. 41, 50, 54, 55, 99], pioggia [pp. 29, 38, 42], il Fuoco in sé [pp. 33, 39, 67], come incendio [p. 12, «incendiate» p. 37], fuoco d’artificio [p. 24], l’Aria come vento [pp. 12, 54, 59, 82, 94, 104], Volo [pp. 18, 27, 50], Cielo [pp. 23, 39, 42, 75, 84, 94] e ospiti suoi, stelle, luna, sole; per ritemprare le proprie risorse è indispensabile riconnettersi con l’essenziale, con i primordi, affondare i piedi nella sabbia, come una posidonia, tuffarsi nell’acqua che rigenera, risorgere dalle ceneri di una fiamma che sterilizza e purifica, salire e tornare a respirare aria cristallina! A volte non ci si accorge di quelle strategie che il nostro corpo, la nostra anima mettono in pratica per ricollegarci col mondo: più avanti, passato il guado del dolore, riaffiorano in noi giornate piene di sole, profumi, sensazioni, e allora si capisce che cosa, inconsciamente, si stava in quel tempo cercando… [«Ancora», p. 99; «A mani nude», p. 104]


Lo scoglio

Sì, è difficile. La tentazione di rimanere attaccati al proprio scoglio, di non mollare gli ormeggi, è forte… Magari è uno scoglio aspro, selvaggio, arido, ma è il “nostro” scoglio, conosciuto e amato nei momenti in cui ci rivela un’insospettata, sorprendente bellezza, tinteggiato dal tramonto, sbattuto dalla tempesta [«Sono rimasta», p. 14; «In fuga», p. 85; «Odo il canto», p. 92]. Come non richiamare alla memoria gli struggenti versi di Vittoria Colonna, prigioniera volontaria e privilegiata del castello aragonese in isola d’Ischia, di cui rammento un sonetto che a me piace particolarmente:


Quando il turbato mar s’alza, e circonda

con impeto e furor ben fermo scoglio;

se saldo il trova, il procelloso orgoglio

si frange, e cade in se medesma l’onda.


Tal io, s’incontra me vien la profonda

acqua mondana irata, come scoglio,

levo al ciel gli occhi, e tanto più la spoglio

del suo vigor, quanto più forte abbonda.


E se talor il vento del desio

ritenta nuova guerra, io corro al lido,

e d’un laccio d’amor con fede attorto


lego il mio legno a quella, in cui mi fido,

viva pietra Gesù; sì che quand’io

voglio, posso ad ognor ritrarmi in porto.


Ma dallo scoglio, per quanto percepito come rassicurante anche se infido ai naviganti e straziante e ostile a chi cerca di aggrapparvisi, bisogna pur rinunciare – novelli Robinson – per cercare nuovi approdi, altri lidi… [«Spirito gitano», p. 36; «Naufrago» p. 13]

E allora?


Navigli

E allora i navigli al largo, le rotte sconosciute! Ma intanto si va, intanto si tenta, qualcosa si scoprirà! Il monumento ai Grandi Navigatori portoghesi si staglia sul lungomare di Lisbona… Guardano tutti l’orizzonte, guardano avanti, ma non per sfida, ma non per arroganza, bensì, a mio avviso, con la fiducia e la responsabilità di concretizzare quella che è, piaccia o non piaccia, la missione dell’uomo: vivere, non vegetare! Ed ecco allora che si salpa, magari solo con la fantasia, il desiderio, magari con mappe ingannevoli – in fondo vogliamo proprio farci ingannare dalle sirene: «Luna d’Asia», p. 47, «Ho tracciato», p. 90, «Incontenibile», p. 106, «Alla ricerca», p. 110


Ecco da dove è partita! C’era tutta questa energia dentro di lei, a dispetto del dolore, dei traumi, delle umiliazioni e una volta finito l’inverno le gemme si sono inturgidite, le foglie hanno fatto capolino, le corolle si sono riaperte, o almeno così mi piace – ho bisogno – di pensare, ne ho bisogno, egoisticamente, per me stessa. Ho necessità di confidare nel fatto che anche se la vita a volte può essere grigia – anche se non ce ne accorgiamo, qualcosa comunque ferve e in disparte nel cuore lavora per qualche fiore tardivo, chissà…


Monica Quetore

 

 

 

 

Paola Sarcià

Occhi di zagara

Edizioni Il Foglio, 2008, pagg. 120, € 12,00


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