Oblň cubano
Yoani Sánchez. Non vittima, ma responsabile
27 Gennaio 2009
 

Dal blog Generación Y

26 gennaio 2009

 

 

Víctima no, responsable

Podría pasarme el día asustada, escondiéndome de esos hombres apostados allá abajo. Llenaría cuartillas con los costos personales que me ha traído este blog y con los testimonios de quienes han sido “advertidos” de que soy una persona peligrosa. Bastaría con que lo decidiera y cada uno de mis textos sería una larga queja o el dedo acusador de quien busca la culpa siempre afuera. Pero sucede que no me siento víctima, sino responsable.

Estoy consciente de que he callado, que he permitido a unos pocos gobernar mi isla como si de una hacienda se tratara. Simulé y acepté que otros tomarán las decisiones que nos tocaban a todos, mientras me escudaba en el hecho de ser demasiado joven, demasiado frágil. Soy responsable de haberme colgado la máscara, de haber usado a mi hijo y a mi familia como argumento para no atreverme. Aplaudí -como casi todos- y me fui de mi país cuando estuve harta, diciéndome que era más fácil olvidar que intentar cambiar algo. También cargo con la deuda de haberme dejado llevar -algunas veces- por el rencor o por la sospecha, que hicieron mella en mi vida. Toleré que me inocularan la paranoia y en mi adolescencia, una balsa en medio del mar, fue un deseo frecuentemente acariciado.

Sin embargo, como no me siento víctima, me subo un tanto la saya y le enseño mis piernas a los dos hombres que me siguen a todas partes. No hay nada más paralizante que una pantorrilla de mujer cuando le da el sol en medio de la calle. Como tampoco tengo madera de mártir, intento que no me falte la sonrisa, porque las carcajadas son piedras duras para los dientes de los autoritarios. Así que continúo mi vida, sin dejar que me conviertan en puro gemido, en sólo un lamento. A fin de cuentas, todo esto que hoy vivo ha sido producto también de mi silencio, fruto directo de mi anterior pasividad.

 

Yoani Sánchez

 

 

Non vittima, ma responsabile

Potrei passare la giornata spaventata, a nascondermi certi uomini appostati là sotto. Riempirei pagine e pagine con i costi personali che ho sofferto a causa di questo blog e con le testimonianze di chi è stato “avvisato” che sono una persona pericolosa.

Basterebbe che lo decidessi e uno dei miei testi si trasformerebbe in lamento interminabile oppure nel dito accusatore di chi cerca la colpa sempre fuori. Ma io non mi sento vittima, bensì responsabile.

Sono cosciente di aver taciuto e di aver permesso a pochi uomini di governare la mia isola come se si trattasse di un’azienda. Ho simulato e accettato che altri prendessero decisioni che riguardavano tutti, mentre mi facevo scudo con il fatto di essere troppo giovane, troppo fragile. Sono responsabile di aver indossato la maschera, di aver utilizzato mio figlio e la mia famiglia come argomento per non osare. Ho applaudito - come quasi tutti - e ho abbandonato il mio paese quando mi sono stufata della situazione, dicendomi che era più facile dimenticare piuttosto che tentare di cambiare qualcosa. Resto pure con il dubbio di essermi lasciata trascinare - alcune volte - dal rancore e dal sospetto, che si sono fatti largo nella mia vita. Ho tollerato che mi inculcassero la paranoia e nella mia adolescenza ho accarezzato con frequenza il desiderio di una zattera in mezzo al mare.

Malgrado ciò, siccome non mi sento vittima, alzo un poco la gonna e mostro le gambe ai due uomini che mi seguono ovunque. Quando il sole picchia forte in mezzo alla strada non c’è niente di più paralizzante che un polpaccio di donna. Siccome non possiedo neanche la stoffa del martire, faccio in modo che non mi manchi il sorriso, perché le risate sono come pietre dure nei denti degli autoritari. La mia vita va avanti così, senza permettere che mi trasformino soltanto in un puro gemito e in un lamento. In fin dei conti, le cose che oggi vivo sono state prodotte anche dal mio silenzio, frutto diretto della mia precedente inattività.

 

Traduzione di Gordiano Lupi


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