Diario di bordo
«Israele nell'UE». Autocensura presidenziale postuma, oppure un’allucinazione? 
Ovvero: come l’evocare anche indirettamente un progetto radicale produca... silenzio
24 Gennaio 2009
 

Silvio Berlusconi schierato con altri illustri protagonisti della politica internazionale (dall'ospite Mubarak, a Sarkozy, Merkel...a Brown) a Sharm el Sheikh in un summit occidental- mediterraneo su Gaza.

Il nostro che dichiara, fra l'altro, con forzata nonchalance, di aver proposto da tempo l'ingresso di Israele nella UE. E lo sguardo fra l'imbarazzato ed il divertito, oltre che il sinceramente perplesso, dei premier di Germania e Francia che, da accostati spalla a spalla, si voltano vicendevolmente l'uno verso l'altra per sincerarsi di stare assistendo a qualcosa di reale o di essere preda di una allucinazione viene puntualmente registrato da una ripresa televisiva che viene mandata in onda verso il tardo pomeriggio, credo su RAI 1 o 3.

Ma il giorno successivo, oggi 19 gennaio, non c'è traccia di questa specifica “uscita” di Berlusconi, a quanto mi risulti, da nessuna parte. Il Corriere della Sera e la Repubblica che pubblicano ampi resoconti dei retroscena con il bla-bla che tanto attira gli organi d'informazione di regime non registrano per nulla, nemmeno come gaffe, l'affermazione.

Può darsi che in qualche sito minore sia invece stata riproposta la registrazione, piuttosto che più che qualcuno, oltre me, l'abbia notata assieme alla sua sparizione. Quello che è certo è che è stata fatta rapidamente e drasticamente pulizia negli spazi pubblici e privati di comunicazione politica in prime time di un accenno pur nemmeno vagamente impegnativo e “strategico” quanto a possibili effetti sugli equilibri geopolitici che caratterizzano le relazioni internazionali in un settore così delicato.

 

Qualcuno ha una spiegazione per questo che non sia puramente e sbrigativamente giustificatoria del fatto come “casuale”? Diversa da quella che considero l'unica plausibile in termini razionali: che della possibilità di una proposta ufficiale di un Paese membro autorevole (addirittura cofondatore) all'adesione come membro a tutto titolo di Israele nella Unione Europea non debba essere fatta menzione “neppure per sbaglio”. E non a causa, principalmente almeno, di chissà quale complotto internazionale che vincola ad uno status quo che ha da essere immodificabile la situazione dei rapporti in Medio Oriente e fra esso e l'Europa, ma perché anche solo l'accenno ad una ipotesi come quella che parrebbe “dal sen fuggita” di un disinvolto comprimario non può che costringere la storia a non rinnegare il proprio ruolo di colei che deve esprime il tentativo di ricostruzione per i posteri del massimo di verità compatibile con gli “arcana imperii”. Non si deve citare un'ipotetica Israele europea perché c'è la necessità di evitare la rottura del tabù del silenzio sul ruolo e sulla stessa opportunità di esistenza dei Radicali, unici (con il Dalai Lama e Mandela/De Clerk) ad esprimere soluzioni di problemi internazionali compatibili con i principi nonviolenti.

Citare “Israele in Europa, il popolo israeliano lo vuole” con riferimento al risultato più volte ricordato di sondaggi che confermerebbero in modo schiacciante l'esistenza di uno iato intollerabile fra espressione popolare (favorevole) e posizioni dell'establishment israeliano (contrario) ipotizzerebbe in modo innegabile che un modo nonviolento anche in campo internazionale è ormai patrimonio culturale dell'umanità, sopravvissuto a Gandhi ed a M.L. King (ed “agibile”, come nel caso di “Irak libero!”). Denunzierebbe, inoltre, in modo difficilmente contestabile l'esistenza di forme di regime che contraddicono a quelle ufficiali, anche in Paesi di consolidata democrazia liberale.

E restituirebbe alla luce della ribalta dello scacchiere mondiale un play-maker tanto apparentemente marginale quanto potente “in nome della verità”: qualche anno fa, avevo proposto che Marco Pannella fosse dal Partito candidato ufficialmente alla carica di Segretario Generale dell'ONU (al tempo di di B.B. Ghali). Era un tentativo forse troppo generoso ed anticipativo di cogliere non tanto come ineluttabilità l'incontro di tempi personali di vita ed opportunità storiche, ma la necessità di indurre (all'ONU o oltre l'ONU) opzioni e principi trasnazionali per una diversa integrazione a livello mondiale che escludesse il più possibile di violenza e promozionasse come conquista per tutti (come “diritto umano storicamente acquisito”) la Democrazia.

 

Per scongiurare tutto questo, così, neppure il “radicale” Berlusconi ha parlato!

 

Guido Biancardi

(da Notizie radicali, 23 gennaio 2009)

 

 

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