Diario di bordo
Maria G. Di Rienzo. Dell'inferno
21 Gennaio 2009
 

Ogni tanto cerco di immaginarmi l'inferno. Com'è ovvio, dapprima di esso mi saltano in mente le raffigurazioni classiche: oceani di fiamme, tizi zannuti con corna ed ali da pipistrello, urla e tormenti. Se però sostituisco zanne ali e corna con elmetti e fucili potrei essere ovunque sulla superficie del pianeta, e non sottoterra, ad esempio potrei essere in Iraq, o in Afghanistan, o in Palestina.

Ma la questione è: perché perdo tempo ad immaginare gli inferi? Semplice, perché come donna è là che devo finire, ed io sono una tipa curiosa. Ci devo finire “a meno che”, certo. A meno che non faccia esattamente ciò che benintenzionati patriarchi e le loro corifee mi suggeriscono in ogni angolo del mondo. Questa gente vuole avere cura di ogni donna, e proteggere ogni donna da se stessa e dalle innominabili cose che ella potrebbe fare se non avesse guida e tutela (sono innominabili ma io ve le nomino, tanto al giudizio non sfuggirò, sono cose tipo pensare, o sognare, o decidere).

In questi giorni, in Arabia Saudita, infuria sui media il dibattito riguardante le spose bambine. I gruppi di attivisti per i diritti umani del paese hanno sollevato la questione, ma il bubbone è esploso grazie alla determinazione di una madre di Oneiza, che ha chiesto il divorzio perché suo marito ha dato in moglie la loro bimba di otto anni ad un uomo di cinquanta, e vuole che la figlia le venga restituita. Il tribunale ha trattato il caso in modo davvero perfetto: non può concedere il divorzio alla donna, e non può far nulla per la bambina proprio perché è una minore. Quando quest'ultima raggiungerà la pubertà potrà protestare legalmente lei stessa, dice la sentenza.

E non dobbiamo far torto alle bambine, ha aggiunto a commento il gran mufti del paese, Abdul-Aziz Al Sheikh (lo riporta il quotidiano Al-Hayat del 14 gennaio 2009): il matrimonio serve a proteggerle da relazioni illecite, e se vengono allevate bene a dieci anni possono svolgere tutti i doveri di una moglie. Suppongo che uno stupratore pedofilo faccia scandalo anche in Arabia Saudita, ma com'è che diventa onorevole e protettore delle bambine se gli diamo il titolo di “marito”?

Be', certo, io sono occidentale e perciò colpevole a priori, non dovrei permettermi di ficcare il mio lungo naso in questioni che non mi riguardano, a tutto detrimento di venerabili tradizioni eccetera. Ma, chi lo direbbe mai, ci sono persino uomini sauditi che la pensano come me. Ad esempio Hani Harsani, il medico che ha impedito il matrimonio di una creatura di cinque anni nello scorso dicembre, rifiutandosi di prescriverle le analisi del sangue (che sono obbligatorie per poter contrarre matrimonio nel paese).

«Come medico non posso impedire legalmente il matrimonio, ma posso almeno contribuire a ritardarlo. Spero in una legge che fissi l'età minima per sposarsi. Quando ho chiesto ai genitori perché volevano dare in moglie una figlia così piccola mi hanno risposto che doveva sposare un cugino per preservare i diritti proprietari della famiglia» (dal quotidiano Al-Watan, 30 dicembre 2008).

Prego? Il matrimonio quindi non serviva a proteggere la cinquenne da relazioni illecite (a quest'età, deve trattarsi di turpi relazioni con l'orsacchiotto o la bambola)? Gira e rigira, se magari la piccola avesse il diritto di ereditare alla pari di un discendente di sesso maschile, la si potrebbe tenere a casa. Se pensassimo a lei come ad una persona completa, degna di amore e di rispetto, titolare di tutti i diritti umani di qualsiasi altro essere umano, non avremmo bisogno o motivo di darla via come un sacco di patate al mercato, che ne dite? Ma se la “femmina”, per usare i termini del gran mufti che probabilmente non riesce a dire “donna” senza che la lingua gli bruci, è mancante di qualcosa, costola di qualcos'altro, non una persona vera, allora dobbiamo... proteggerla.

E sì, sono incorreggibile, diavoli e fiamme mi aspettano ruggendo. Se solo potessi convincervi, signori, a smettere di “proteggere” le signore andrei ad affrontarli cantando.

 

Maria G. Di Rienzo

(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 21 gennaio 2009)


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