Oblň cubano
Yoani Sánchez. Lady, I love you
16 Gennaio 2009
 

Dal blog Generación Y

15 gennaio 2009

 

 

Lady, I love you

Espero en un banco del Parque Central a unas amigas, que ya llevan media hora de retraso. Ha sido un día duro y tengo pocas ganas de conversar con alguien. Un muchacho -que no rebasa los veinte- se me sienta al lado. Habla pésimamente el inglés, pero lo usa para preguntarme de dónde vengo y si comprendo el español. En un primer impulso tengo ganas de decirle que se largue, que no estoy para jineteros a la caza de turistas, pero lo dejo avanzar en su fallida estrategia de seducción.

No sabe que mi pálido pellejo lo he heredado de dos abuelos españoles, pero mi pasaporte es tan azul y nacional como el que tiene él. Si no fuera por su falsa apreciación de que soy extranjera, nunca se me acercaría. No soy un buen partido –eso se ve a la legua– pero él calcula que aunque parezca una forastera pobre, al menos puedo generarle una visa para emigrar. Llega a decirme, estimulado por mi mutismo: “Lady, I love you” y después de semejante declaración de amor, no puedo seguir conteniendo la risa. Le apunto en mi peor slang centrohabanero “No gastes balas conmigo, que soy cubiche”. Se levanta como si lo hubiera picado una bibijagua y se va insultándome. Lo escucho cuando exclama en voz alta “esa flaca parece yuma, pero es de aquí y vale menos que la moneda nacional”. Mi día ha cambiado repentinamente y empiezo a reírme sola en aquel banco, a pocos metros del Martí de mármol que adorna el parque.

La revancha le llega rápido al frustrado Casanova. Una nórdica en bermudas pasa por su lado y él le repite el mismo estribillo que me soltó a mí. Ella sonríe y parece deslumbrada ante su juventud y sus trencitas que terminan en cuentas de colores. Los veo irse juntos, mientras el ágil mancebo le declara su amor, en una lengua de la que apenas conoce una docena de palabras.

 

Yoani Sánchez

 

 

Lady, I love you

Seduta su una panchina di Parque Central aspetto alcune amiche già in ritardo di mezz’ora. È stata una giornata dura e ho poca voglia di conversare con qualcuno. Un ragazzo che non ha ancora vent’anni si siede accanto a me. Parla un inglese scadente, ma lo utilizza per domandarmi da dove vengo e se comprendo lo spagnolo. In un primo momento mi viene voglia di mandarlo via e di dirgli che non sono una preda per jineteros a caccia di turiste, ma alla fine lo lascio continuare nella sua frustrata strategia di seduzione.

Non sa che il colore pallido della pelle l’ho ereditato dai miei nonni spagnoli, anche se il mio passaporto è azzurro e nazionale come il suo. Se non fosse stato perché mi credeva straniera, non mi avrebbe mai avvicinato. Non sono un buon partito questo si vede lontano un miglio ma lui calcola che anche se sembro una forestiera povera, posso fargli guadagnare almeno un visto per emigrare. Arriva a dirmi, stimolato dal mio mutismo: “Lady, I love you” e dopo aver udito una simile dichiarazione d’amore, non posso trattenere oltre la mia ilarità. Ribatto nel mio peggior slang da abitante di Centro Avana: “Non sprecare frottole con me, che sono cubana”. Si alza come se lo avesse punto una formica rossa e si allontana insultandomi. Lo sento quando esclama a voce alta: “questa ragazza magra sembra straniera, ma è di qui e vale meno della moneta nazionale”. All’improvviso il mio giorno è cambiato e comincio a ridere da sola su quella panchina, a pochi metri dal Martí di marmo che adorna il parco.

La rivincita arriva rapida per il frustrato Casanova. Una nordica in bermuda gli passa accanto e lui ripete il medesimo ritornello che ha cantato a me. Lei sorride e sembra abbagliata di fronte alla sua gioventù e le sue treccine che terminano con palline colorate. Li vedo andarsene insieme, mentre l’agile giovanotto le dichiara il suo amore, in una lingua della quale conosce appena una dozzina di parole.

 

Traduzione di Gordiano Lupi

 

 

Nota del traduttore: Non traduco il termine jineteros, che sarebbe riduttivo rendere con l’italiano gigolò. Per una definizione completa del fenomeno jineterismo a Cuba rimando alla lettura di Mi Cuba (Mediane, 2009) e Almeno il pane Fidel (Stampa Alternativa, 2007).


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