Obiettivo educazione
Paolo Brondi: L’epressività giovanile negata
15 Gennaio 2009
 

La spontaneità, la creatività, la gioia di vivere, che posto hanno oggi nella quotidianità e nelle speranze dei giovani?

Se ripercorriamo comportamenti ed esperienze ricorrenti nel nostro tempo non è raro imbatterci in numerosissimi esempi di giovani che, pur vivendo un reale che mette a disposizione un mondo senza frontiere e una straordinaria dilatazione di offerte e scelte, sembrano smarriti e incapaci di integrarsi con adeguata coerenza ed efficacia . Si deduce da condotte raramente espressive d’apertura, d’entusiasmo, d’originalità, ma più spesso, pregne d’impulsi regressivi, di chiusura, d’abbandono e conformismo infantile.

Significativo il risultato su un campione (200 soggetti, di ambo i sessi) di liceali, diciottenni, cui somministrato il test di pensiero creativo (E. P. Torrance, “Torrnances Tests of Creative Thinking”, O.S. Firenze ): stridente il divario fra chi vive una espressività libera, centrifuga, e chi è stretto entro orizzonti chiusi, centripeti, ovvero egocentrici : 60% espressività centripeta; 10% espressività centrifuga; 30% espressività eterogenea.

 

Quali le ragioni di una espressività, o creatività, ripiegata e inutilizzata…?

 

I sistemi sociali complessi, molto mutevoli e intensi per un massiccio flusso di stimoli e di segnali, mentre propongono, soprattutto per via mediatica, facili esempi del trionfo della espressività, nei modi dell’amore, dell’amicizia, della presenza, in realtà educano un preoccupante, dilagante immaginario intessuto di forme irrealizzate, con conseguente spogliazione del gusto e del piacere della ricerca, della esplorazione della realtà concreta, e con inevitabili frustrazioni e ripiegamenti dell’individuo al suo interno. Analogamente, la strumentalità della tecnicizzazione generale, nonché l’apparente facile disponibilità di nuove risorse, finisce per sterilizzare o paralizzare gli slanci, i sogni giovanili, con improbabile recupero di contenuti profondi (autonomia, sicurezza, senso) o l’individuazione di precisi e praticabili percorsi per la soddisfazione dei bisogni via via emergenti.

Nel regno della fragilità relazionale e del pensiero debole, nel reale vuoto di prospettive offerte dal più ampio sistema di rapporti sociali, si hanno effetti reattivi d’attaccamento familistico, bisogno insoddisfatto di sicurezza e d’autoaffermazione che prefigurano le condizioni di un’instabilità della dimensione espressiva.

Inoltre molti degli atteggiamenti e dei comportamenti giovanili appaiono d’adattamento o di risposta reattiva alle esigenze poste dalla differenziazione sociale e culturale

Gli obiettivi di gran portata(pace… giustizia... solidarietà) appaiono mete che astraggono dai concreti riferimenti relazionali sia si tratti di rapporti elementari, sia che si tratti di rapporti secondari di gruppo relativamente organizzati. In tal modo una gran quantità d’energia è impiegata per dar luogo a rappresentazioni sociali destinate all’“inutilità pratica”

Di fronte allo smarrimento di situazioni di reciprocità crescono manifestazioni di espressività reattiva; di fronte alla incapacità di rinvenire e custodire un senso per ciò che è “trascorso”, la riflessività diviene reattiva e senza prospettiva.

Il risultato è uno schiacciamento, un ripiegamento del soggetto su se stesso, incapace di giocare l’espressività nella relazione e la riflessività nella storia. E si ha quella regressione infantile che si declina nella predominanza dell’attività fisica; nella fissazione ai genitori ; in manifestazioni di fabulazione, di soggettivismo, di carenza di senso critico; di moti di ostinazione e suggestionabilità e, talvolta, orientati a distruggere, a negare la vita perfino ai propri simili.

 

Porre soccorso al naufragio dell’espressività giovanile e avviare il superamento di questa generazione di giovani vittime dei segni più negativi della complessità e della globalizzazione, è compito, non più differibile, di una società che senta forte il dovere di una ricostruzione simbolica sana, cadenzata sulla naturalità dei tempi apprenditivi e formativi, mediante un processo educativo in grado di orientare l’agire del soggetto oltre i limiti bio-psichici e gli automatismi attualmente indotti dalla forza dei tempi mediatici e cronachistici. All’educazione chiamata a sostanziare tale processo spetta la missione di promuovere persone, elevate a vivere e ad impegnarsi come persone, ponendoli a confronto con la scoperta, l’acquisizione e l’esercizio dei valori: i valori della conoscenza intellettuale, dell’etica, della politica, della socialità, e, soprattutto, dei valori estetici. Valori, questi ultimi, che non rispecchiando la realtà di fatto, ma ponendola in discussione, fanno emergere significati pluriprospettici, utili a porgere ai giovani un aiuto, a far luce sulle loro aspirazioni, a dar voce alle loro tensioni ideali e quindi a far sì che chiariscano le loro prospettive esistenziali.

 

Paolo Brondi


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