Diario di bordo
Valter Vecellio. Israele. Lettera aperta a Furio Colombo: è vero, i veri colpevoli siamo noi 
Una proposta politica concreta c’è: Israele nell’UE. Cominciamo a parlarne davvero?
11 Gennaio 2009
 

Caro Furio Colombo,

hai ragione. Su l’Unità scrivi che a essere sconvolto, preoccupato, inquieto per quello che sta accadendo in Medio Oriente, siamo proprio noi, chi a Israele è più vicino: perché vediamo «il giovane paese degli ebrei, unica democrazia nel Medio Oriente, nato per vivere e per salvare, entrare nel tunnel della guerra senza fine…».

È amara, ma lucida ed esatta, la “descrizione” della situazione: «C’è un corridoio vuoto nel mondo internazionale, quando Hamas dichiara, di sua iniziativa, la fine della tregua. Sarkozy, Presidente d’Europa, è uscito, Obama, Presidente eletto degli Stati Uniti non è ancora entrato. Israele ha un governo provvisorio in attesa di elezioni; e oscilla fra coloro che chiedono più pace per rompere l’infinito stato d’assedio che Israele subisce…». Vogliamo aggiungere l’infame affermazione di un cardinale che certo non a caso per parlare di Gaza usa la parola lager? Lo ha fatto, evidentemente, scegliendo bene, deliberatamente, la parola, per ferire e con la precisa intenzione di farlo… Che senso ha poi sdegnarsi per la scempiaggine di un sindacatino che invita a boicottare i negozi i cui proprietari siano di religione ebraica, se si tace di fronte ad affermazioni di questo tipo?

 

«Giudicate come volete», scrivi. «Ma i veri colpevoli siamo noi. Noi, Europa senza politica, noi Stati Uniti senza presidente, noi Nazioni Unite senza idee e senza parole e perfino le rare e vaghe preghiere delle chiese del mondo e il soprassalto di illustri intellettuali che si tanto in tanto si risvegliano per un brontolio di protesta…».

Sì, i veri colpevoli sono quelli che indichi; ma non tutti sono colpevoli. Consenti che noi radicali in questo e di questo non ci si senta colpevoli. Marco Pannella da anni indica una proposta politica, una possibile road map: Israele e la Turchia nell’Unione Europea, e poi man mano anche altri paesi dell’area arabo-mediterranea. Un’alternativa chiara e netta alla parola d’ordine che ancora viene agitata a sinistra: “due popoli, due Stati”, per superare i nazionalisti, che da sempre sono fonte di lutti, violenza, morte.

Scrivi che «qualunque senso si voglia dare alla parola civiltà, essa cessa di esistere se lasceremo intatte le condizioni del conflitto e ci metteremo davanti alla TV paghi dei nostri sentimenti di condanna alla guerra o di sostegno a Israele. O noi siamo la pace, per i due popoli, con un fiato, un coraggio, una visione, un intervento di cui noi sembriamo incapaci. O noi, noi stessi, ognuno di noi, siamo il terrorismo o la guerra. Resta poco tempo per decidere».

È così. Non c’è parola, affermazione che non possa, che non debba essere sottoscritta, condivisa. Ma proprio per questo: questa proposta radicale, che certo può e deve essere emendata e perfezionata alla luce delle nuove situazioni che si sono determinate, è l’unica proposta politica che sia alternativa di vita rispetto all’attuale realtà di morte e violenza. È una proposta che certo deve superare le diffidenze e le perplessità degli israeliani e dei palestinesi; ma non è motivo di conforto (e non deve, non può costituire materia di riflessione) che i sondaggi condotti in Israele certifichino come la maggioranza di quell’opinione pubblica sia favorevole a questa proposta? Che a Tel Aviv come a Gerusalemme, a Jaffa come nel Negev, gli israeliani si sentano Europa, che chiedano che l’Europa non volti ancora una volta le spalle, e resti indifferente?

 

Ma per non essere come chi lascia intatte le condizioni del conflitto e si mette davanti alla TV, pago «dei nostri sentimenti di condanna alla guerra o di sostegno a Israele», non credi che sia giusto, utile, urgente, opportuno discutere, ma davvero e seriamente se, come, quando dare corpo a questa proposta? Sono convinto che ci comprendi se chiediamo a te e a tutti: se non ora, quando? Se non così, come?

 

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 9 gennaio 2009)


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