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Lucio De Angelis. Masked – Legami di sangue
24 Novembre 2008
 

Purtroppo a repliche ultimate scrivo di Masked – Legami di sangue, rappresentato con successo di pubblico e di critica, prima a Tel Aviv dal Teatro Arabo-Ebraico di Jaffa, a New York ed, infine, al Teatro dell’Orologio di Roma fino a pochi giorni fa, magistralmente scritto da Ilan Hatsor ed impeccabilmente diretto da Maddalena Fallucchi, con Massimiliano Mecca, Fabio Pappacena e Michele Degirolamo.

In questo spettacolo dal sapore classico e dal valore universale - in cui si è osato parlare dell’Intifada, senza schierarsi da nessuna parte, se non da quella dell’essere umano -, l’autore Ilan Hatsor ha narrato con coraggio la storia di tre fratelli palestinesi travolti da scelte politicamente incompatibili tra loro.

Il testo israeliano, anche vincitore del primo premio all’Israel Fringer Theater Festival ad Acco, catapulta il pubblico nel dramma assoluto della guerra, sviluppato attraverso il dualismo tra eroe e traditore che tanti autori ha già ispirato.

 

Masked è la messa in scena dei legami del sangue, quelli familiari che non abbiamo scelto, e quelli che scegliamo a prescindere dalle nostre origini. La pièce non ha perso negli anni neanche un grammo del suo portato emotivo: antico e contemporaneo nello stesso tempo, potrebbe essere esportato a qualsiasi epoca storica e a qualsiasi area geografica, come l’ex Jugoslavia, l’Irlanda, o la Baghdad di oggi.

Nell’opera il più grande dei fratelli, che lavora a Tel Aviv come lavapiatti, viene accusato di essere una spia al servizio degli israeliani, così il secondo, rifugiatosi fra le montagne per aderire al gruppo terrorista delle “Tigri della Rivoluzione” decide di interrogarlo prima che vengano i compagni e chiede l’aiuto del più piccolo, coinvolto da entrambe le parti in un vero e proprio tiro alla fune emotivo.

L’azione si svolge interamente fra le quattro mura della macelleria in cui lavora il più giovane: l’unità di tempo e di luogo è letteralmente mozzafiato, mentre il linguaggio che viene usato è quello universale del sangue.

 

C’è infatti un sapore classico in questo spettacolo così drammaticamente moderno: è la struttura della tragedia greca che lo scrittore ha sapientemente utilizzato per raccontare «il conflitto tra fratelli, che è uno dei più antichi conflitti nella storia delle nazioni», come egli stesso ha dichiarato durante una delle lezioni che tiene regolarmente nell’Università di Tel Aviv. Pregevoli le interpretazioni di Massimiliano Mecca (Da’ud), Fabio Pappacena (Na’im), Michele Degirolamo (Halled) guidati dalla sapiente regia della Fallucchi.

 

Il ciclo di rappresentazioni all’ “Orologio” è stato aperto da una tavola rotonda sul tema “Rappresentazione delle identità e Medio Oriente”, che ha visto partecipare, oltre all’autore Ilan Hatsor e alla regista dello spettacolo, Maddalena Fallucchi, Khaled Fouad Allam, tra i più noti studiosi della delicata tematica dell'identità, docente di sociologia del mondo musulmano; Fiamma Nirenstein, giornalista di fama, inviata dal Medio Oriente per Il Giornale, oggi Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati; Roberto Piperno, poeta e scrittore impegnato nella conservazione delle pluri-identità religiose; Mario Moretti, autore teatrale e regista. Moderatore della tavola rotonda è stato l'Amb. Prof. Luigi Vittorio Ferraris, docente di relazioni internazionali, Presidente del Centro Italiano di Studi per la Conciliazione Internazionale.

Non ho potuto assistere al dibattito, ma immagino che si sia parlato anche di nonviolenza. In Cisgiordania c'è chi ci crede davvero fin dal lontano 26 agosto 2004 e ha investito nell'impresa speranze ed energie (con i soldi che sono arrivati anche dall'estero: Svizzera e Norvegia), preparando un appuntamento che ha voluto marcare il primo passo di una nuova rivolta nei Territori. A Ramallah circa ventimila persone (nei calcoli degli organizzatori) hanno ascoltato le parole di Arun Gandhi, settant'anni, nipote della “Grande Anima”.

A crederci non sono degli sprovveduti. «Sappiamo che è un processo lento» dicono, «che il cambiamento non avverrà nell'arco di una notte. Ma dobbiamo provarci, non ci sono alternative. Del resto, anche quando Gandhi ha cominciato la sua resistenza in India contro gli inglesi, la gente sosteneva che non avrebbe avuto successo».

Spina dorsale di questa campagna sono una donna e un uomo che di lotta e di politica hanno una lunga esperienza, sempre lontana dalle armi. Lei, Terry Boulata, direttrice di una scuola di Abu Dis, afferma: «La speranza che si possa provare la strada della non violenza viene da una considerazione: la grande maggioranza di palestinesi non è armata. I nostri contadini, gli abitanti dei villaggi e dei campi profughi, già ora praticano la resistenza passiva quando, con nient'altro che il proprio corpo, tentano di bloccare i tank o i bulldozer».

Mohammed Al Atar, compagno di Terry in questo progetto, leader dei Palestinesi per la Pace e la Democrazia, continua: «È innegabile che l'occupazione abbia creato una cultura della violenza» dice. «Difficile restare pacifici di fronte a ciò che accade nei Territori, alle umiliazioni continue che subiamo». Ma anche lui vede dei segnali incoraggianti per la sua iniziativa: la sentenza della Corte dell'Aja contro il muro che Israele sta costruendo al confine con la Cisgiordania, sostiene, «ci ha rafforzati, perché è stata la dimostrazione che si può ottenere qualcosa anche in modo diverso, con la forza della legge».

Arun Gandhi continua, così, ancora oggi ad appoggiare con i suoi interventi l’iniziativa e a Rondine, Cittadella della Pace (in provincia di Arezzo) il 2 ottobre, giornata mondiale della nonviolenza dichiarata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la ricorrenza della nascita del Mahatma avvenuta il 2 ottobre 1869, ha tenuto un incontro, in esclusiva nazionale, intitolato “Quello che ho imparato da mio nonno” (“Lessons I learned from my grandfather”), aperto a ragazzi e ragazze che provengono da varie parti del mondo interessate da guerre e conflitti, in particolare dal Caucaso (Georgia, Abkhasia, Ossezia, Inguscezia, Cecenia), Mosca, Balcani (Serbia, Bosnia, Macedoni), Sierra Leone e Medio Oriente (Israele, Palestina e Libano) studiano e convivono per testimoniare che la pace è possibile.

 

Teatro: Teatro dell’Orologio Sala Grande

Città: Roma

Titolo: Masked - Legami di sangue

Autore: Ilan Hatsor

Regia: Maddalena Fallucchi

Interpreti: Massimiliano Mecca (Da’ud), Fabio Pappacena (Na’im), Michele Degirolamo (Halled)

Scene e costumi: Maria Alessandra Giuri

Musiche: Marco Melia

Luci: Paolo Macioci

 

Lucio De Angelis

(da Notizie radicali, 24 novembre 2008)


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