Lo scaffale di Tellus
Elisa Davoglio, un testo. Nota di Giulio Marzaioli. Vie d’uscita 17
Frammento dal quaderno di appunti di Galois
Frammento dal quaderno di appunti di Galois 
25 Ottobre 2008
 

L’orlo di Galois

 

Il testo qui presentato è tratto da “L’orlo di Galois”, opera in versi inedita di Elisa Davoglio. Per meglio comprendere sia il testo sia il nesso con il titolo scelto per questi incontri su Tellusfolio (“vie d’uscita”), risulta inevitabile una premessa storica. Évariste Galois, matematico francese, morì nel 1832, all’età di vent'anni. Ideò un metodo per scoprire se una equazione sia o meno risolvibile con operazioni quali somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione, elevazione di potenza ed estrazione di radice. A partire dal suo lavoro è stata espressa una delle teorie fondamentali dell'algebra astratta chiamata, appunto, “Teoria di Galois”. La scomparsa di Galois è dovuta ad un duello che Évariste, pur essendo sicuro di andare incontro alla morte, accettò di affrontare per salvare l'onore della donna amata. La notte precedente il duello, Galois tentò di ordinare gli appunti riguardanti la sua ricerca, annotando spesso, a giustificazione di un'omessa spiegazione, la frase «Je n’ai pas le temps». Di qui l’intuizione dell’autrice di ripercorrere le immagini (ipotetiche) che attraversarono confusamente la notte di Évariste, tutte implose in questa frase: “non ho tempo”. Dunque una notte senza “vie d’uscita” o, meglio, con una sola via d’uscita: tramandare ai posteri gli esiti della propria ricerca. Tanto sappiamo dalle cronache e dalle pagine di appunti manoscritti del giovane Évariste. Ciò che non sappiamo, a mai sapremo, è la miriade di spettri (spectrum, mezzo per vedere) che abitarono la mente di Galois nella notte precedente al duello.

Scrivere l’intraducibile, è questa la sfida che Elisa Davoglio lancia nei suoi testi. Vedere attraverso altri le proprie visioni, e mostrandole al lettore invitare a fare altrettanto. Si tratta di immagini risolutive: non possono, cioè, costituire “epifania” dal momento che niente verrà oltre il mattino seguente. Siamo, insomma, in una prospettiva allegorica piuttosto che onirica, susseguendosi nella sensibilità ricostruttiva della scrittura i passaggi salienti della propria (di Galois? Dell’autrice?) esistenza. L’inclinazione catalogativa si configura, in questo caso, come necessità, imperativo dettato dall’ansia di non lasciare niente in balia del buio del giorno dopo. Così si uniscono e si mescolano ricordi e furori immaginifici dettati dall’esigenza di superare la parola stessa, per arrivare all’appuntamento cruciale avendo ormai detto tutto (tutto l’essenziale, “Je n’ai pas le temps”). In questa dimensione magmatica si compie la metamorfosi, il carnefice diventa vittima e affiora dal recesso più interno (dalle frattaglie, nel liquido inghiottito) ammutolito, privato della stessa facoltà di parola. Nello spazio metrico di sette versi tutto torna, laddove la forza delle immagini è posta sotto il controllo di una logica creativa (l’immagine successiva prende forma da quella precedente) controllatissima: un equilibrio che il verso in più (- pagare senza più resti -), epigrammatico nella sua brevità, sottolinea ulteriormente, introducendo il silenzio che segue uno stato di delirio. È a questo punto che l’autrice prende le distanze e rimane con lo sguardo rivolto al destino di Évariste, non già per compassione, quanto per una sorta di “comprensione attiva”, quasi a voler far sentire la propria presenza vicina alla prematura scomparsa del giovane matematico (d’altronde le sue ultime parole, dette al fratello Alfred, furono: «Non piangere! Ho bisogno di tutto il mio coraggio per morire a vent'anni»).

 

Giulio Marzaioli

 

 

 

non ho tempo”

 

 

tagliare la testa alle anguille

misurare la torsione del corpo

dopo lo strappo essere masticato

nelle frattaglie di lei umida

illanguidire sotto il morso

rigurgitare il liquido inghiottito

riemergere senza più bocca


- pagare senza più resti -


giocare ai dadi e numeri

probabilmente da solo

dentro la serratura

 

 

 

 

Elisa Davoglio (Livorno, 1976) vive a Roma. Collabora con l’Associazione culturale Allegorein, in veste di ricercatrice e traduttrice e successivamente come curatrice del “Festival intercontinentale di poesia e delle arti Mediterranea”. Nel 2006 entra a far parte del comitato del “Romapoesia Festival”. Suoi testi, in traduzione, sono stati pubblicati sulle riviste americane Gradiva e Chelsea. In poesia ha pubblicato Olio burning (2006, Giulio Perrone Editore) e la plaquette Consequientiarius (2007) che inaugura la collana da lei diretta “Donne in poesia”, promossa in co-edizione dalle case editrici Libraria Padovana Editrice e Chelsea Editions di New York. È del 2008 il romanzo Onore ai diffidati, collana Strade blu, Mondadori. Fa parte del comitato di redazione delle riviste Nuovi Argomenti e Accattone.


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