Diario di bordo
Valter Vecellio. Il delicato e complesso risiko dietro la vicenda georgiana
05 Settembre 2008
 

Come nella favola del re che si pavoneggiava d’un vestito che non c’era, fino a quando un ragazzino non grida quello che tutti pensano ma non osano dire, e che cioè il re è nudo, Berlusconi si racconta la favola bella di un “amico di tutti” che persuade, smussa,convince, ieri Bush, oggi Putin, domani chissà. A forza di dirlo e di dirselo, magari si convincerà pure che la favola bella è realtà. Come nella vecchia canzonetta, Berlusconi come Pippo “non lo sa, che quando passa ride tutta la città”. Era penoso ascoltarlo in conferenza stampa, l’altro giorno con il sottofondo costante e premuroso di un Franco Frattini preoccupato di confermare ogni cinque secondi: “È proprio così”, “Sicuro!”, “Certamente…”.

Gli Stati Uniti, ha detto Vladimir Putin alla CNN soffiano sul fuoco georgiano perché in questo modo la Casa Bianca intende favorire uno dei candidati alle presidenziali americane. Putin non ha fatto nomi, ma è evidente che pensa a McCain. La Casa Bianca respinge al mittente le accuse, e attraverso la portavoce Dana Perino le giudica “irrazionali”. Per il Dipartimento di Stato americano si tratta di affermazioni “ridicole”, la Russia “è responsabile della crisi e il mondo sta rispondendo a quello che ha fatto”.

Sul New York Times di qualche giorno fa l’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov, ha pubblicato un editoriale nel quale sostiene che la Russia “non voleva questa crisi”, che la leadership russa è internamente in una posizione abbastanza forte, “non ha bisogno di una piccola guerra vittoriosa”. In sostanza il padre della perestrojka sostiene che la Russia è stata trascinata nello scontro dall’avventatezza del presidente georgiano Mikhail Saakashvili, e che quest’ultimo “non avrebbe mai osato lanciare l’attacco senza appoggio esterno”. Per Gorbaciov, “la Russia non poteva permettersi di agire. La decisione del presidente Medvedev di fermare le ostilità è stata la mossa giusta di un leader responsabile”. Come si vede, perfetta aderenza con la “tesi” Putin.

Ben altra l’analisi di un politologo internazionale “realista” fino al cinismo come Edward Luttwak, senior fellow del Center for Strategic and International Studies: “La Russia sta costruendo una scena di tensione internazionale per nascondere e giustificare l’inasprimento del regime”. E aggiunge: “A me sembra che i russi abbiano già raggiunto l’obiettivo di creare un clima psicologico di assedio nel Paese, entro il quale ora saranno liberi di negare altre libertà fondamentali ai loro cittadini”.

Al di là del reciproco scambio di accuse, quella che si sta giocando è una partita senza esclusione di colpi, la cui posta è diversa e molto più importante di quella ufficialmente viene dichiarata.

Putin, che in quanto a spregiudicatezza non deve apprendere nulla da nessuno e che certamente sa mettere a buon frutto quanto appreso negli anni in cui era agente-dirigente del KGB, da sempre coltiva e insegue un sogno: quello di fare della Russia l’erede dell’URSS. Per questo alimenta, giorno dopo giorno, la vocazione imperiale che è nello spirito russo dai tempi di Caterina e Pietro il grande. Per questo non è disposto a concessioni alle 14 repubbliche ex sovietiche che – ad eccezione delle tre baltiche – sono tutte, chi più chi meno, delle satrapie governate da ex funzionari del PCUS che hanno rivoltato la casacca e nascosti i simboli della falce e del martello si sono scoperti una vena “nazionalista”. Mosca, insomma, mira esplicitamente – e non da ora – a ristabilire quelle “sfere di influenza” che erano uno dei suoi capisaldi negli anni Cinquanta e Sessanta. Per Putin la “provocazione” georgiana è un “pretesto”; per questo stiamo assistendo a una delicata partita di scacchi: se da Washington si muovono i “pedoni” della Polonia (i missili USA), ecco che Mosca risponde con le nuove installazioni in Bielorussia. Se la Casa Bianca sostiene l’avventuroso Saakashvili, ecco che Putin e Medvedev vellicano Chavez in Venezuela e lusingano la Siria. Con la rivista Kommersant il presidente siriano Bashir el Assad è stato esplicito: “Possiamo essere in Medio Oriente ciò che sono Polonia e repubblica Ceca per Washington”; il tutto accompagnato da una esplicita richiesta di forniture militari. In un futuro non troppo lontano missili russi potrebbero essere dislocati in Siria, e questo comporterebbe un ulteriore arroccamento d’Israele e degli Stati Uniti. Come si vede, un risiko complesso e delicato.

Del resto, Gorbaciov nel suo editoriale dice quello che Putin affida ai “fatti” compiuti: “Oggi negli Stati Uniti si parla molto di riconsiderare le relazioni con la Russia. Posso suggerire un’abitudine senz’altro da riconsiderare: parlare alla Russia con condiscendenza. I nostri due paesi possono dar vita a una seria agenda di cooperazione reale”.

Crudo come forse solo Henry Kissinger sapeva essere, Luttwak parla di “ennesimo fallimento della amministrazione Bush”, e avverte che il margine di manovra è molto limitato: “La questione non è più soltanto la difendibilità della Georgia, ma piuttosto quella dell’Ucraina e della provincia della Crimea che potrebbe essere il prossimo terreno di espansione per la strategia russa. Siamo pronti ad assorbire l’Ucraina nella NATO? Io penso di no”.

Putin nell’intervista alla CNN assicura che la Russia non bloccherà mai le forniture di idrocarburi come risposta alle pressioni europee per il conflitto in Georgia: “Noi non politicizziamo mai i rapporti economici. È vero che gli europei dipendono dalle nostre forniture, ma anche noi dipendiamo dagli acquirenti”. E si tratta di un messaggio trasparente, che sarà certamente recepito da chi doveva intenderlo. Altro che “Caro amico Vladimir” e “Caro amico George”...

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 4 settembre 2008)


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