Il blog di Alejandro
A. Torreguitart. Fidel spenge ottantadue candeline
14 Agosto 2008
 

Mattina d’agosto con il sole che picchia sui tetti, caldo che si strugge e io non mi muovo dal letto, tanto c’ho un cazzo da fare, come sempre. Turisti da portare in giro non ce ne sono, voglia di scrivere meno che mai e sono qui che aspetto i soldi dell’ultimo libro, mica sono famoso come Yoani, mica sono stato sul Times, mica sono un personaggio influente. Alejandro Torreguitart Ruiz, questo sono, ecco quello che sono, e tanto basta, direbbe Popeye. E allora me ne sto stravaccato sul letto, dalla cucina gracchia la tivù sovietica che ancora funziona, ché Raúl ci farà pure comprare gli elettrodomestici nuovi, ma soldi non ce ne sono e in casa mia le cose si fanno durare.

Mamma, parlano del vecchio? grido.

Zitto Alejandro, per l’amor di Dio. Ti sei mangiato quel che resta della capoccia? Vuoi finire ai lavori rieducativi per un paio d’anni? Anche le mura hanno orecchi e le spie sono dietro l’angolo…

Mica ho detto niente di male. Volevo notizie sulla salute del vecchio. Sono due anni che è convalescente. Lo dico per lui, magari se tira il calzino è meglio. Passa giornate intere alla televisione, scrive sul Granma, legge libri, insomma, non ce la fa più a fare niente, poveretto. Uno come lui abituato a controllare tutto. T’immagini che rabbia? Starsene lì fermo a vedere Speedy che corre di qua e di là…

E chi sarebbe Speedy? domanda mia madre con gli occhi stralunati.

Ti si deve sempre spiegare tutto, mamma. Aggiornati!

Questi vecchi non hanno spirito d’osservazione. Bisogna essere espliciti, non usare l’ironia, misurare i termini. Ecchecazzo! Se dico Meo Porcello chi sarà mai, c’è bisogno di spiegare? Se dico Speedy Gonzales chi potrebbe essere? Inutile, mancano di fantasia questi vecchi, mancano d’inventiva…

Non ti capisco, figliolo. Non ti capisco proprio.

Meglio così, mamma. Se uno di questi giorni mi fanno un processo di rettificazione, sostieni che ero pazzo anche prima, per questo scrivevo cazzate…

Insomma, basta! Fammi ascoltare che parlano del compleanno…

Ah, il compleanno della Patria!

No, il compleanno di Fidel.

Non è la stessa cosa?

In un certo senso…

Ottantadue anni finiti mica sono pochi e poi a lui non piacciono le celebrazioni, tutt’al più gli piace parlare e infatti l’ultima volta hanno festeggiato il compleanno chiacchierando, ché le chiacchiere costano poco…

Questo è il primo compleanno da ex presidente aggiunge mia madre.

Ma è sempre segretario del partito e giornalista in capo del Granma, raccoglie notizie, dati, analizza i problemi internazionali, insomma dice la sua su tutto, persino sui carri armati russi a giro per il mondo, che da tanto tempo non si vedevano, sentivo nostalgia.

Mia madre storce la bocca e si tappa il naso a mo’ di molletta. Ricorda d’un tratto i russi della sua giovinezza, rammenta quanto puzzavano, poveri birilloni, vestiti di tutto punto al sole dei tropici, sembravano orsi bianchi in viaggio premio e non capivano i nostri modi di fare. Noi così caldi, allegri, gioviali. Loro così tristi, musoni, sempre incazzati col mondo. Prendevano tutto sul serio, poveri birilloni. Adesso pare che torniamo amici dei russi, che Dio ce la mandi buona.

Lascia stare i russi dice.

Io li lascio stare, ma Raúl ci va d’accordo. E Fidel che dice dei russi?

Arriva mio padre con in mano una copia spiegazzata del Granma. Entra in casa dalla porta principale che si apre sui porticati cadenti di Luyanó.

Fidel dice che hanno fatto bene a mandare i carri armati, che è una missione di pace, per riportare le cose al loro posto risponde.

Ecco, adesso che lo so applico lo stesso metodo quando non ho soldi per pagare la birra al Rapidito della calzada. Vado in missione di pace e spacco tutto…

Alejandro, non hai niente di meglio da fare che dire cazzate? Lavorare un po’ cosa ne diresti? fa il vecchio.

Tra un po’ cominciano le Olimpiadi. Dobbiamo sostenere i nostri atleti e fischiare i traditori che hanno abbandonato la nostra maglia…

Falla corta, Alejandro. Non hai voglia di fare un cazzo. Al solito…

Papà, ma pure il vecchio guarda le Olimpiadi.

Lui se l’è guadagnate. Sono cinquant’anni che lavora per noi.

Per me poteva smettere prima dico.

Mia madre non segue la discussione, presta attenzione alla televisione e quando sente qualcosa di interessante si ferma ad ascoltare.

Non dobbiamo mai permettere che i traditori visitino il paese per esibire i lussi ottenuti con l’infamia dice il giornalista baffone che pare uscito da un film western prodotto negli anni Settanta.

Sono parole di Fidel dice la mamma.

Davvero? Pensavo fossero di Nelson Mandela rispondo.

C’è pieno di gente che visita il nostro paese ed esibisce i lussi ottenuti con l’infamia, che se m’insegnano come fanno li esibirei pure io, anche se pensandoci bene un po’ d’infamia travestita da libri pubblicati all’estero contribuisce a farci mangiare.

Senti, senti… fa la mamma.

Quando mia madre si mette in ascolto con tutta questa attenzione, Pecos Bill, il giornalista più veloce della pampa, di solito la spara grossa, più grossa del solito, almeno.

Domani regalano il riso senza libreta, mamma? domando.

Non dire cazzate fa mio padre.

Mia madre non risponde ma alza il volume del televisore.

In occasione del compleanno, domani sarà dichiarato monumento nazionale Biran, piccolo centro nei pressi di Holguin, città natale di Fidel. All’Avana, invece, si terrà una cerimonia di santeria e un gruppo di babalaos pregheranno per la salute di Fidel, sotto una ceiba che ha la stessa età dell’ex presidente dice il baffone in giacca blu dal televisore.

E poi sono io che dico cazzate… mormoro.

Bene. Fidel santifica il posto dov’è nato, una sorta di Betlemme per comunisti, manca giusto la mangiatoia, pure se al museo della rivoluzione mi pare d’aver visto il fazzoletto con cui s’è soffiato il naso, le scarpe che s’è allacciato prima della battaglia e pure il preservativo che ha usato per scopare sulla Sierra Maestra. Santifichiamo tutto e rivalutiamo pure i babalaos, che prima non potevano fiatare e adesso piantano ceibas di quattro metri, fanno rituali, sacrifici, canti e percussioni di tamburi, ma soprattutto pregano per la salute di Fidel.

E che Babalú-Ayé lo protegga, allora.

Ma a noi chi ci protegge?

 

Alejandro Torreguitart Ruiz

L’Avana, 12 agosto 2008

Traduzione di Gordiano Lupi


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