Telluserra
Altre poesie di Carlos Carralero. 2 – Metamorfosis; El circo
04 Agosto 2008
 

Metamorfosis

 

Desde el ostracismo

observo las ruinas de estos campos,

el humus sitiado, la semilla desterrada,

la casa de muñecas perdiendo su color,

las raídas paredes,

las cornisas parapetadas

detrás del smog.

Ya no pasan los reyes magos,

ni las cigüeñas,

la laguna hospeda extrañas aves,

ellas se divierten a cambio del grano que dejan

a los de casa, a los que no pueden bañarse,

ni cazar insectos.

Las gaviotas defienden su derecho al vuelo

y regresan en busca de sus nidos;

los sinsontes están aprendiendo a cantar sin miedo,

las aves migratorias han aprendido el peligro

de volar allende el mar.

No quieren dejar a polluelos indefensos.

Hace tiempo gorriones y colibríes

rompieron la jaula y enseñan

como estirar las alas

para buscar el sustento sin rendirle tributo

a la carroña.

 

 

Metamorfosi

 

Dall’ostracismo

osservo le rovine di questi campi,

l’humus circondato, la semenza esiliata,

le case delle bambole che perdono il loro colore,

le logore pareti,

le cornici riparate

dietro lo smog.

Non passano più i Re Magi

né le cicogne,

la laguna ospita strani uccelli

che si divertono in cambio del grano che lasciano

a quelli di casa, a quelli che non possono bagnarsi

né cacciare insetti.

I gabbiani difendono il loro diritto al volo

e ritornano in cerca dei loro nidi;

i canarini stanno imparando a cantare senza paura,

gli uccelli migratori hanno compreso il pericolo

di volare di là del mare.

Non vogliono lasciare i pulcini indifesi.

Da tempo passeri e colibrì

ruppero la gabbia e insegnano

come stendere le ali

per trovare il sostegno senza render tributo

alla carogna.

 

(Traduzione dell’autore, rivista e corretta da Gordiano Lupi)

 

 

Commento critico

di Patrizia Garofalo

 

Metamorfosi nel senso più complesso di cambiamento, per difendersi senza cambiare forma, quindi né Ovidio, né tanto meno la mancanza di identità di Kafka. Tutto, persone e natura partecipano a un riadattamento nel persistere della morsa del freddo che si genera nelle ossa e si insinua come reumatismo persistente all’attesa. È necessario, è doveroso per se stessi provvedere a resistere al tempo che logora e alle «rovine dei campi», alla «semenza esiliata».

Giocattoli, casa, seme, nido costituiscono le parole chiave, quasi sussurrate, smarrite all’occhio ma non al cuore, simboli di infertilità, di messi non nate, di nascite dimenticate insieme all’anima o “rimandate” a tempo da destinarsi.

Assistiamo a un riadattamento che non annulla la speranza ma la attende mentre gli uccelli, stranieri al mare si bagnano nella laguna, nelle acque senza increspature, senza moto ma giocano lo stesso, i gabbiani volano ma non verso il cielo, si fanno gruppo, tornano al nido e gli uccelli migratori non “vogliono lasciare i piccoli indifesi” i passeri e i colibrì “hanno rotto le gabbie” stendono le ali, cercano appoggio.

Paesaggio immobile e piano, volo senza ali, uno “zoo di vetro” dove si attende qualche crepatura sui muri per trovare «il varco che (ci) salvi» come nella notissima lirica di Montale.

Una sola parola “forte” di origine greca e pratica vile di molti: ostracismo. Consiste nello scrivere di notte o quando non si è visti, su un pezzo di coccio (ostrakon) con una pietra acuminata (ostaka) il nome di qualcuno che non collabora con il regime del momento in modo che quella persona venga cacciata, o torturata o uccisa o esiliata senza sapere mai chi è stato il delatore.

Oltre questa acuminata parola, il verso si muove in un lento, andante girotondo di sospirata e necessaria fratellanza, unica a consolare la risposta della storia quando e se dovesse giungere.

 

 

El circo

 

Sin enanos, ni bestias, ni quebrantos

de payasos.

Quiero el pan bienhechor, el agradecido para mi mesa.

Sinsonte o ruiseñor!

Canta en dimisorias la historia remota

del cautiverio

canta al vuelo sin geografía

y al regreso al nido.

Juguemos al buey-botella, al yugo palo

no a la nefasta paranoia.

 

Carlos Carralero, Cuba 1989

 

 

Il circo

 

Senza nani, ne bestie, né pene

di pagliacci.

Voglio il pane benefattore, la gratitudine per la mia tavola.

Canarino o usignolo!

Canta lasciando andare la storia remota

della gabbia

canta al volo senza geografia

e il ritorno al nido.

Giochiamo al bue-bottiglia e al giogo-bastone,

non alla nefasta paranoia.

 

(Traduzione dell’autore, rivista e corretta da Gordiano Lupi)

 

 

Interpretazione autentica dell’autore:

Il circo è un ricordo d’infanzia; un canto alla purezza, all’innocenza dei bambini, alla onestà degli adulti, alla fratellanza e non alla delazione e alla persecuzione che creano paranoia. Il bue-bottiglia è un’invocazione alla tenerezza del bambino di campagna che gioca fingendo che le bottiglie siano buoi e un pezzo di palo il giogo.

La Cuba castrista è stata un grande circo: lui ha detto pane, però con libertà, ma non ha concesso né l’una né l’altra cosa. È stata una cosa terribile, enormemente crudele. A mio parere Fidel ci ha odiato, ci odia perché si sente poco cubano. I suoi grandi complessi – lo dice Huber Matos – lo hanno portato a vendicarsi del suo popolo e a far pagare a tutti le piccole umiliazioni, che per un megalomane come lui sono state enormi, subite nella sua infanzia. (Carlos Carralero)

 

 

Commento critico

di Patrizia Garofalo

 

Il circo piace ai bambini molto piccoli, prima che della vita abbiano colto il grottesco e il dolore. Il poeta toglierebbe il sorriso amaro che provocano i nani, gli animali sacrificati allo stupore, la lacrima del pagliaccio che dietro la maschera cela il pianto che dovrà trattenere fino allo strucco di un volto sempre meno autentico. La storia deve uscire dalla gabbia, dalle sbarre, dal cerchio colorato del divertimento imbonitore, dalla recita che vede le “maschere nude” grondare sangue e tanto ci avvicina alla musica esasperata della sfilata finale del film di Fellini Otto e mezzo. Ma anche in questa lirica il poeta tende a dilatare l’attesa con il pane da spartire, con gli uccelli che volano fuori da una geografia che disperda una storia di disastri, tesa invece a scrivere una mappa dell’anima e ritorno al NIDO.

Torna nella lirica del poeta la parola che tanto spazio occupa nel suo campo semantico (casa, protezione, affetto, ritorno, focolare, intimità, amori, compiante morti e memoria perenne).

Un mondo da offrire ai bambini, semi non abbandonati da far crescere insieme agli usignoli liberi dalla “Gabbia”.


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276