Oblò cubano
Marcello Bussi. Franqui: La storia è una puttana
Carlos Franqui e Carlos Carralero
Carlos Franqui e Carlos Carralero 
07 Luglio 2008
 

«Se penso al disastro che ho contribuito a creare con la Rivoluzione non dormo la notte. Non me lo perdonerò mai», si lascia andare Carlos Franqui, commosso e arrabbiato con se stesso. E per un attimo tutti al tavolo tacciono, schiacciati dal peso di questa rivelazione. Poi Carlos Wotzkow, l’ecologista dissidente, deraglia la conversazione nel modo giusto e ben presto le voci tornano ad accavallarsi una sull’altra, come in ogni incontro fra cubani che si rispetti. Franqui, 86 anni, è stato al fianco di Fidel Castro sulla Sierra Maestra, ma è stato anche il primo a lasciarlo quando ha capito che la Rivoluzione stava prendendo una brutta piega. Lo ascoltano Alina Fernandez, la figlia di Fidel, che a un certo punto della sua vita ha preferito la libertà e ora vive a Miami, la scrittrice Zoé Valdés, che abita a Parigi, Carlos Carralero, autore del libro Saturno e il gioco dei Tempi, che risiede a Milano, ma pensa che a Napoli, forse, si troverebbe meglio e il già citato Wotzkow, che sta a Berna ed è sorprendentemente entusiasta delle svizzere tedesche. Sono tutti ospiti del “Festival della Modernità”, organizzato dalla casa editrice Spirali, che si è tenuto dal 3 al 6 luglio a Senago, a due passi da Milano, nella splendida cornice di Villa San Carlo Borromeo. Tutti cubani che hanno dovuto lasciare la loro isola per poter esprimere liberamente le proprie opinioni.

Franqui ricorda Camillo Cienfuegos, che sulla Sierra Maestra «era l’unico a non avere paura», popolarissimo e morto in circostanze misteriose. Di certo tutti gli astri che avrebbero potuto oscurare la stella di Fidel hanno fatto una brutta fine. La storia di Che Guevara la conoscono tutti: il Lider Maximo lo ha lasciato andare allo sbaraglio in Bolivia a tentare una rivoluzione impossibile. Meno nota agli italiani è la vicenda del generale Ochoa, rievocata da Franqui: eroe delle guerre africane (tra la fine degli anni 70 e buona parte degli 80 i cubani combatterono in molti paesi del Continente Nero, in particolare in Angola e in Etiopia, ovviamente dalla parte dell’impero sovietico), Ochoa osò parlare direttamente in russo a Mikhail Gorbaciov, sotto gli occhi di Fidel. La cosa insospettì il Comandante, che temeva di trovarsi in casa un sostenitore della Perestrojka, da lui vista come la peste. E così poco tempo dopo fu imbastito un processo farsa in cui Ochoa venne giudicato colpevole di narcotraffico e condannato alla fucilazione, eseguita con estrema rapidità. D’altronde Fidel, come dice Franqui, «non è mai stato comunista, è sempre stato solo fidelista» e quindi aveva capito benissimo che il tentativo di riformare il comunismo avrebbe portato al crollo di un regime a cui tiene molto, il suo.

Quando si parla del passato tutti ascoltano Franqui in religioso silenzio, ma non appena si passa a esaminare la situazione presente e le prospettive future le voci riprendono a sovrapporsi. Wotzkow non si fida della maggior parte dei dissidenti che non stanno chiusi in carcere, Alina Fernandez è disgustata dai governi occidentali che fanno a gara per fare affari con il regime e se la prende anche con George W. Bush «che si atteggia a duro» ma poi il suo embargo è una barzelletta perché ne sono esentati i prodotti agricoli (il paradosso è che i cubani vengono sfamati dagli imperialisti yanqui), Carralero ricorda che quando era a Cuba incitava invano i giovani a manifestare, ma Zoé Valdés pensa che potrebbero scendere in piazza i neri, discriminatissimi nella progressista Cuba (i vari Minà e Diliberto non se ne sono mai accorti) e perciò spera nella vittoria di Obama, che catalizzerebbe speranze ed energie. «Il regime finirà fra poco, quando moriranno gli uomini che hanno fatto la Rivoluzione. Non passerà molto tempo, hanno tutti ottant’anni o poco meno», dice Franqui, convinto che allora una parte del Partito Comunista e i dissidenti si alleeranno per cambiare le cose e intraprendere il cammino verso la libertà.

Nel frattempo un solo nome mette d’accordo tutti: Yoani Sánchez, la blogger del sito GeneracionY alla quale il regime ha negato il permesso di andare a Madrid per ritirare il premio “Ortega Y Gasset” e che Time ha incluso nella lista delle 100 persone più influenti del mondo. Wotzkow la considera «inattaccabile» e si rammarica di non averla incontrata quando anche lei era in Svizzera (ci è rimasta due anni, poi ha preferito tornare a Cuba). Zoé Valdés sottolinea che anche il marito di Yoani, il giornalista Reinaldo Escobar «sta facendo un grande lavoro» e infine arriva la benedizione di Franqui: «Lei ha talento», dice.

Quando ci congediamo, è un’emozione stringergli la mano a Franqui. Farfuglio frasi di ammirazione, parlo di intervista con la storia, al che Franqui scrolla le spalle, sorride e ci saluta così: «La storia è una puttana».

 

Marcello Bussi

marcibussi@gmail.com


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