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Anna Lanzetta: qualcosa che so sulla maturità, qualcosa che ricordo del mio esame.
02 Luglio 2008
 

Il professor Di Scalzo, su queste pagine on line, punta l’indice su una situazione che ormai si presenta impunemente ogni anno a detrimento degli insegnanti e degli studenti che la subiscono. Eppure c’è molta tristezza in queste sue parole che puntano il dito contro una maturità che invece di operare per far emergere capacità, metodi e saperi diventa paradossalmente uno strumento per demolire l’attività di quanti la subiscono: studenti e insegnanti.

Ma chi sono gli insegnanti che per un mese vestono l’abito di Commissari e Presidenti? A volte viene da pensare che sono figure incomplete nel proprio ruolo, personaggi che dai propri studenti non hanno consenso, che scambiano l’aula per un tribunale, privo di umanità e capace di elargire soltanto sentenze; che squallido sarebbe se così fosse eppure troppo spesso lo è; gli basta demolire per sentirsi qualcuno, senza considerarne il danno. Ricordo a distanza di anni quel Presidente che chiuso in un’aula dell’istituto, riempì un registro di note e annotazioni su noi insegnanti e studenti; ricordo il pianto della collega che in quel pomeriggio con 40 gradi, non era riuscita a salvare la ragazza verso la quale la scuola si era tanto prodigata perché già minata nel fisico; ricordo quella calcolatrice che definiva con numeri il lavoro incessante di anni di lavoro comune, che riduceva a numeri i ragazzi, che annullava gli sforzi degli insegnanti per equilibrare situazioni; ricordo il sudore che mi inondava e che mi coprì tutta quando mi fu chiesto di rivederne soltanto tre; la mia disperazione era palese di fronte a persone che ora mi apparivano grottescamente diverse; l’attesa di quanti avevano riposto in me fiducia si vanificava; l’ansia di come e cosa avrei loro spiegato; di sera ricordo gli sguardi di tutti i miei studenti: erano venuti a casa per festeggiare, ma cosa, se non il fallimento di una scuola di cui mi sentivo vittima indifesa, e all’improvviso la ricerca di lui che non era venuto: il voto non era stato quello da lui atteso e io mi sentivo artefice del suo risentimento; ridevamo, fingevamo e come sempre furono loro a trarmi dalle pene, avevano capito forse prima di me, la pochezza della Commissione, il dileggio del Presidente che tale non poteva essere considerato e questo mi fece ancora più male. L’ho cercato e a distanza di anni lo cerco ancora; ho saputo che gli si erano diradati i capelli, non so se per quel voto ma tante volte mi sono sentita causa.

Ecco perché queste cose devono essere raccontate, per non aggiungere male al male; dietro ogni maturità ci sono ragazzi alla prima vera prova di vita, ci sono famiglie con i loro progetti, ci sono voti che determinano una scelta, ci sono insegnanti uguali a chi per un mese riceve un’investitura; una ruota che gira e nessuno vorrebbe mai trovarsi in tale situazione. I sessanta (di allora) e i giudizi di merito equilibrati inorgogliscono tutti ma ciò che ho raccontato lascia nel tempo un’impronta indelebile di violenza, di offesa e di negatività di quei principi inviolabili della pedagogia: il rispetto della reciprocità.

Ringrazio il professore Claudio Di Scalzo, che attento ai problemi della scuola nel proprio ruolo di insegnante, utilizza in qualità di direttore, queste pagine per richiamare l’attenzione di tutte le componenti della scuola a una profonda riflessione sul senso più intrinseco della maturità e sulla necessità di recuperarne il valore prospettico.

 

Anna Lanzetta


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