Erminia Passannanti: Il Divo non riprende Andreotti ma l’Orco…
11 Giugno 2008
 

Della scrittrice e studiosa che i lettori-navigatori di Tellusfolio stanno premiando con molte visite per il saggio sulle dinamiche del Web “Blogging, Dissidence e Comunità on-line”, ri-lanciamo, dal suo Blog (di poesia, riflessione, dissidenza) Erodiade un articolo sul film di Paolo Sorrentino dedicato ad Andreotti che diventa sia un esercizio stilistico d’interpretazione sopra una vita politica, sia una riflessione, breve, sulla finzione che sospinge il personaggio politico al ruolo romanzesco e dunque alla trama. Anche assurdamente confezionata se quanto è sfaccettato nel reale, in un film diventa scontato. Calco svilito di luoghi comuni.

Mi viene in mente Sciascia e i suoi tentativi di affidare alla narrativa il ruolo di svelamento di tanti misteri italiani; c’è ancora qualcuno che legge Todo modo in questa Italia dove la letteratura o è consolatoria o è trucida?

Non credo.

I suggerimenti della Passannanti che cita il diabolico proto-surrealista per parlare dello statista democristiano sono quantomai calzanti; ma i registi che pensano di imitare la stagione del cinema impegnato dei Rosi, non hanno conoscenze in materia. E il risultato è quello che è.

Tornando all'autrice, registriamo questa collaborazione con Tellusfolio con viva simpatia, e anticipiamo che sul nuovo Tellus 29, “Febbre d’amore”, la poetessa si soffermerà sopra un celebre sonetto di Shakespeare… in materia di battiti cardiaci.

 

Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it

 

 

Il Divo non riprende Andreotti ma l’Orco…

rispetta il nemico come te stesso

 

Recensione di Erminia Passannanti


Se è pur vero che all'artista è dato di affabulare e, che, anzi, dalla sua capacità affabulatoria derivino fama e riscontro economico, è altrettanto vero che esistono realtà e personaggi in carne ed ossa su cui queste affabulazioni  costruiscono i loro castelli, individui spesso già oltremodo vessati all’interno dell’immaginario popolare, e dalla ‘mala scrittura’ di giornalisti di quart’ordine. Questo è il caso di Andreotti, tradotto in una grottesca maschera da Sorrentino, prima che diventi egli stessa maschera mortuaria, ovvero ridotto per buona parte del film all’Orco della mostruosa fiaba italiana della mafia, del terrorismo, e delle logge massoniche. Peccato che Servillo si sia prestato a dare il volto a questo Padre Ubù, che però di Jarry non ha l’originalità.

Non solo, se pur fosse vera la storia di Andreotti, così come è stata narrata, vere le sue responsabilità, veri I fatti venuti alla luce, Sorrentino avrebbe dovuto dare una rappresentazione più sottile, flessibile del carismatico statista, e non ridicolizzante quale questa che è venuta fuori, rappresentazione che si salva unicamente in ragione delle virate stilistiche di certe inquadrature e soluzioni spettacolari già presenti in altri suoi film.

Mi sarei aspettata una raffigurazione di Andreotti come di un Machiavelli della recente storia della repubblica Italiana, e non quella puerile se non addirittura a tratti patetica, data da Sorrentino, di un Andreotti Orco delle fiabe che spaventano i bambini, con riduzioni altrettanto ridicolizzanti di personaggi collaterali ed eventi della vita personale di ciascun nome coinvolto,  attuate rilevandone da Quentin Tarantino le peculiarità di stile.

A meno che non ci si metta d’accordo sulla definizione di genere, e si convenga col dire che Il Divo è un film comico e che Sorrentino avrebbe potuto perfino impiegare Beppe Grillo come attore principale per il ruolo di Andreotti senza bisogno di ricorrere alla pseudo-ricostruzione del volto di questi tramite estenuanti ore di trucco (mal riuscito), dichiarando l’arbitrarietà della sostituzione di persona con l’esporre la faccia di Grillo tale e quale.

Sono semplificazioni, queste, naturali a Tarantino, che attinge dalla cultura popolare semplicistica e grossolana che l’ha nutrito, la quale certo non è paragonabile alla nostra, a meno che non si voglia scadere nella citazione a tutti i costi a cui spesso nel film Il Divo Sorrentino ricorre, e nell’imitazione.

Sorrentino sostiene di ammirare l’enigmaticità di Andreotti, e da quanto gli ho sentito affermare, avrei immaginato -  prima di vedere il film - che ne avesse appreso il segreto. Perché il carisma è qualità intraducibile e solo il grottesco della maschera Andreotti-Servillo può restituirlo. Poi mi chiedo, angosciata: Possibile che l’Italia creativa si sia ridotta ad avere potere solo nella satira? Possibile che l'arte - e Sorrentino è artista di prima classe - debba  subordinarsi alla politica che mette a tacere i film che hanno il sapore di vere inchieste e accetta solo quelli che hanno l'aspetto di birichinate?

Se anche si desidera rappresentare un personaggio nel suo ‘male’, che a questo personaggio, soprattutto se si tratta di uno statista sfaccettato e carismatico quale Andreotti, si dia lo spessore ed il rispetto di cui è all’altezza, senza ridurlo ad un fantoccio all’interno di una storia riassunta a intermittenze incomunicative, e che non riesce a parlare nemmeno a quei pochi volenterosi che la riescono a seguire e ricordare: questo Andreotti-Mangiafuoco, versione Sorrentino, non è il ‘Divo’ che Andreotti è, bensì un personaggio tristemente statico, in una storia ricostruita con una logica fiacca che induce o noia o sonno.

Nulla a che ridire, dunque, sul piano stilistico: ma quella faccia che vedo non è la faccia di Andreotti, quelle frasi pur sue non provengono dal un credibile alter-ego, e nemmeno da un attore, ma dallo stomaco di un ventriloquo, che aziona un pupazzo seduto sulle sue ginocchia. Di Andreotti, ripeto, non sento l’aura, ma non sento nemmeno quella di Sorrentino, ahimé. E mi dispiace se questa mia critica dispiacerà a Sorrentino, che stimo, ma la sua è dispiaciuta ad Andreotti. E questo è quanto.

  

                                       Erminia Passannanti





Salerno, 11 giugno 2008
per scambi di idee. erminia.passannanti@talk21.com

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