Diario di bordo
Annagloria Del Piano. Il caso Travaglio. Fatti e verità
14 Maggio 2008
 

L'assurdità di tutta la bagarre intorno al “caso Travaglio” è che non si contestano tanto i fatti di cui il giornalista ha proposto venissero chiesti lumi a Schifani (le sue amicizie con personaggi, poi condannati per mafia) quanto negato il diritto di Travaglio (di un cronista) di portare a conoscenza del lettore/spettatore tali circostanze.

Oggi su Repubblica D'Avanzo risponde a Travaglio disquisendo su cosa sia la verità e chiedendosi/ci se i fatti indichino sempre una verità oppure no.

Direi che la certezza è un'altra: FATTO è ciò che è accaduto. La verità è quel che si dovrebbe appurare, in questo caso dalla seconda carica istituzionale dello Stato che è Schifani.

Tutto qui. Il resto è - come asseriva Michele Serra, ieri sempre su Repubblica - la scomposta reazione piuttosto paranoica della nostra classe politica.

Di chi fa sempre più fatica ad intendere che giornalismo e politica non devono seguire lo stesso binario e che l’uno non deve essere il portavoce acritico dell’altro.

Ciò di cui ha parlato Travaglio, peraltro velocemente come i tempi, l’argomento spinoso e la reazione del conduttore Fazio imponevano, è questione nota per essere già stata trattata, come più volte si è detto, nel 2002 da altri e nell’ultimo libro da Travaglio stesso e Gomez. La televisione ha un’altra eco, ed altre leggi a quanto pare…

Ma se si contesta ad un giornalista il diritto di far conoscere degli avvenimenti e di proporre delle riflessioni o (e non è questo il caso) di fare degli scoop, se il pericolo è che questi vadano a ledere la rispettabilità di una carica istituzionale, cosa resta del suo mestiere? Ovviamente da esercitare con dovizia, accurata ricerca e professionalità.

E perché il polverone mediatico è stato assolutamente inferiore, se non – ahimè – del tutto assente nei casi, questi sì, gravi in cui cariche istituzionali (non giornalisti) si sono avventurate in invocazioni di fucili, nostalgie fasciste o asserzioni sull’esistenza sempiterna della mafia? (Leggi: Bossi, Ciarrapico, Lunardi)? O di non molto eleganti considerazioni sul Presidente della Repubblica?

D’Avanzo teme che quel che chiama “metodo Travaglio” sia una pratica giornalistica che alimenta il risentimento e il qualunquismo, manipolando cinicamente il lettore/spettatore. Io penso che un giornalismo asservito al potere sia cosa dalla quale rifuggire. E che sempre di più dovrebbero essere i lettori/spettatori critici, desiderosi di approfondimento, ad avere conoscenza dei fatti per poi valutarli da sé. Ci sono lettori di questo tipo, che non sono semplici tifoserie dell’uno o dell’altro giornalista tout-court. Forse, se si ritiene siano pochi, bisognerebbe interrogarsi sulla scarsità di un giornalismo autorevole.

 

Annagloria Del Piano


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