Diario di bordo
“Assemblea dei Mille”. La relazione di apertura di Mauro Del Bue
Mauro Del Bue
Mauro Del Bue 
04 Maggio 2008
 

Chianciano Terme, 3 maggio 2008 – Quando Marco Pannella mi propose di promuovere insieme a lui questo garibaldino incontro dei Mille il diluvio del 13-14 aprile ancora non s’era manifestato. La spedizione immaginata era dunque un’esigenza a priori, alla stregua delle idee di Kant. Un’istintiva previsione di quel che sarebbe potuto avvenire. D’altronde, come diceva un vecchia pubblicità: “Chianciano fegato sano” e il fegato oggi in tanti devono averlo in subbuglio. Marco Pannella mi fa oggi l’onore d’essere generale come lui in questo scoglio di Quarto da cui vorremmo partire insieme non già per conquistare terre lontane, ma per ragionare e riflettere. E se possibile per iniziare a rilanciare un progetto, facendo, in primis, del pensiero il nostro unico timoniere. Perché Pannella e io qui insieme come promotori dell’incontro dei mille? Perché la mia storia, quella forse meno conosciuta dai più, Pannella non ha certo bisogno di presentazioni, è strettamente legata alla sua. Sono un socialista e un radicale da quando avevo i calzoni corti. Al Psi mi sono iscritto perché Loris Fortuna faceva della battaglia sui diritti e le libertà individuali la sua bandiera e per me questa era la ragione della diversità, allora così labile, eravamo negli anni settanta, tra socialisti e comunisti. E da allora sono stato dentro le grandi battaglie di libertà, di umanità, di vita, dei radicali, dei laici, dei liberali e dei socialisti. Quattro aggettivi che per me hanno ancora un senso anche se per molti sono solo richiami d’un passato che il diluvio ha sommerso definitivamente e che non ritornerà.

Non abbiamo tuttavia immaginato questo appuntamento come un incontro ideologico e di parte. Come una nuova costituente, come l’avvio di un processo che deve necessariamente portare ad un nuovo partito. È evidente che Marco ed io siamo uomini di parte. Ma credo sarebbe stato sbagliato, dopo l’aprile, evitare di partire a maggio da una riflessione a tutto campo. Anzi diciamo subito che il nostro intento è stato quello di promuovere un incontro a più largo raggio possibile. Perché il pensiero oggi non può e non deve avere confini convenzionali. Quel che è accaduto e sta accadendo porta ad allargare e non a restringere il campo di riflessione e di azione. Per questo tra gli invitati compaiono personalità di diverso orientamento le cui disponibilità sono tutte ugualmente apprezzate, e la prima esigenza da cui abbiamo deciso di partire è proprio quella di capire utilizzando tutte le intelligenze disponibili. Capire perché si è scatenato il diluvio, se si possono rianimare forze politiche con i tradizionali punti di riferimento ideali, se tali riferimenti bisogna ritenerli definitivamente superati, se il bipartitismo con apparentamenti e sparentamenti è un sistema stabile a cui bisogna definitivamente adeguarsi, proponendo anche grandi temi, che qui verranno dibattuti, quali quello della politica oggi senza effettiva democrazia, dell’ambientalismo senza i suoi referenti politici tradizionali, l’ambientalismo del dopo Napoli e del dopo rivolte anti-Tav, clamorosamente affogate anche queste dal diluvio dell’aprile, la crisi del pianeta che non si arresta e si unisce oggi alla sua crisi alimentare (Emma ha proposto il tema della mancanza di grano e la necessità di ripensare agli Ogm), i temi della giustizia ingiusta e dell’economia con le sue esigenze di maggiore liberalizzazione, ma anche di maggiore protezione (come non prendere atto del dramma dei 1.200 morti all’anno sul lavoro, una strage che giustamente è stata posta al centro della festa del primo maggio e anche delle diverse impostazioni sul tema della globalizzazione, tra protezionisti e liberisti, ad esempio tra Tremonti, col suo contributo di idee nuove, e Martino, che s’è recentemente augurato in un articolo sul Corriere che lo stesso Tremonti non fosse il nuovo ministro dell’Economia, augurio che non credo proprio verrà ascoltato. Quante certezze che apparivano tali vengono oggi messe clamorosamente in discussione, quante alternative appaiono a volte puramente formali (non ho mai partecipato al tentativo di sciogliere l’angoscioso nodo su chi sia più di sinistra, ma vedo che questo dilemma continua ad appassionare molti, ad esempio a Roma tra Rutelli e Alemanno ed è davvero tutto dire). Di questo e di altro noi qui discuteremo. E per quanto mi riguarda vorrei incominciare aprendo il sipario con qualche breve annotazione sull’esito del voto d’aprile. Non intendo dilungarmi sulle questioni che hanno determinato quel malessere italiano che da anni porta l’opposizione a vincere le elezioni. Mino Fuccillo ha parlato di un Paese arrabbiato e impaurito. Certo potremmo capovolgere il vecchio detto di Andreotti “Il potere logora chi non ce l’ha”. No, dal 1994 in Italia il potere logora chi ce l’ha. Non è stato così ovunque, anche se la difficoltà del governare è presente ovunque. In Spagna ad esempio Zapatero ha trionfato dopo avere governato e dopo avere assunto posizioni avanzate e coraggiose in politica estera, in politica economica e, come si sa, soprattutto sul tema della laicità. Veltroni, pare gliel’abbia rimproverato D’Alema, è passato da una interpretazione del voto, come conseguenza del cattivo governo precedente, all’idea d’un Paese che va a inesorabilmente a destra. Certo sui temi della sicurezza e del fisco ci sono nel centro destra forze più credibili o almeno che sono state ritenute tali. E per ciò che riguarda il basso sviluppo e i bassi salari e pensioni è inevitabile che la insoddisfazione si sposti sul governo in carica. Mi ha tuttavia impressionato che il Partito democratico non abbia mai parlato del governo del quale pure era tanta parte, durante la campagna elettorale. Io non sono mai stato un sostenitore di quel governo, anche se ho personalmente sempre apprezzato Romano Prodi, tuttavia in nessuna democrazia politica si può vincere le elezioni se non si parla di quel che il governo del quale si è stati parte ha fatto. In campagna elettorale questo era divenuto un governo senza padri. E questo è stato senza dubbio un elemento di debolezza. Poi ci sono certo tutti gli elementi di contraddizione, di litigiosità e di inazione di una maggioranza composita e spesso conflittuale. Al Partito democratico non ha poi certo giovato la sua teoria dell’autosufficienza, che gli ha permesso di prelevare molto sangue agli ex alleati, ma di non prelevare un solo voto agli avversari. Tanto che oggi in quel partito pare si sia affacciata una nuova contrapposizione tra gli autosufficienti e coloro che invece vogliono riprendere la politica delle alleanze. C’è ancora spazio per le identità politiche nel sistema italiano, fondato su un bipolarismo che da maxi è diventato mini con esame di ammissione per l’aspirante all’apparentamento? Lo dico certo alla luce della scomparsa di quattro identità storiche italiane dal Parlamento che pure sono presenti nel resto d’Europa. Parlo di quella socialista, che più d’ogni altra mi sta a cuore, parlo di quella comunista, di quella ambientalista, di quella democratico-cristiana. Sì, anche quest’ultima almeno nelle forme di rappresentazione di massa e di funzione politica originale, giacché Casini ha ottenuto poco più del 5%, ed è oggi senza funzione che non sia quella di un’opposizione più moderata di quelle del Pd, vedremo fino a quando. Si dice: queste tradizioni ormai possono vivere solo in contenitori più ampi. Ma allora cosa sono questi contenitori ampi dove devono convivere più identità? Sono davvero la soluzione del male italiano? E poi, come una corrente identitaria oggi può vivere la vita all’interno di un partito più o meno contenitore multi-identitario? Pannella sta tentando di farlo, proponendo un patto federativo col gruppo parlamentare del Pd. Vedremo se riuscirà a convincere Veltroni dopo che già Di Pietro dopo aver solennemente sancito il suo organico ingresso nel gruppo del Pd e l’inizio di un percorso, questo è stato detto in Tv da Veltroni e da D’Alema, che lo avrebbe dovuto portare all’interno del partito, ha invece, con uno sberleffo da commedia napoletana, formato i suoi gruppi sia alla Camera sia al Senato consolidando l’esistenza del suo partito. Esiste dunque, in questa fase, anche un problema di rapporto tra quel che si dice e quel che si fa che diventa sempre più evidente. Una volta si diceva “coerenza”, era virtù molto richiesta, oggi purtroppo in disuso.

Le domande che mi sono rivolto e che vi ho rivolto credo meritino adeguato approfondimento. A proposito del rapporto tra identità e partiti parto da un interrogativo questo sì retorico. Vi è mai capitato oggi di parlare di un partito che fonda la sua ragione su un pensiero? Quando oggi si può parlare di quel che un tempo si definiva teoria politica? E nei testi di storia ai quali mi è capitato di imbattermi spesso, alla facoltà di Storia delle dottrine politiche della mia Università, che cosa mai si dirà domani dei partiti politici di oggi, dei loro referenti culturali, appunto delle loro teorie politiche? Si dirà che il passato è stato definitivamente spazzato via, che i vecchi punti di riferimento sono stati azzerati. D’accordo, ma sostituendoli con chi e con che cosa. La mia risposta è: solo con l’interesse elettorale che ha fatto nascere contenitori senza identità. Si dirà che anche il partito radicale lo è stato, anzi se c’è un partito che ha fatto della politica della cose, attraverso singole battaglie, la sua identità, questo è proprio il Partito radicale. Ma ci si dimentica che questo partito ha avuto ed ha ancora punti di riferimento culturali e teorie della politica assolutamente chiari. Da Ernesto Rossi, a Pannunzio a Pannella si sa che cosa è la cultura della laicità e della libertà per i radicali e più in generale per i liberalsocialisti, da cui sono discese mille battaglie la più recente, quella sulla moratoria della pena di morte, vinta, e dovremmo dire grazie, innanzitutto proprio a Sergio D’Elia. O quella del drammatico caso Welby, contro la soppressione della volontà e contro la libertà dell’uomo a scegliere di non essere umiliato da una morte atroce. E perché quella decisione della Chiesa di non procedere ad un funerale religioso che mi ha ricordato una della prime canzoni di Fabrizio De Andrè: “La ballata del Michè”, quando egli cantava quel verso: «Domani alle tre nella terra bagnata sarà senza il prete e la messa perchè d’un suicida non hanno pietà».

Si potrà aggiungere che sono gli italiani oggi a scegliere non più in base a queste idee di fondo, agli orizzonti culturali, alle teorie della politica, ma solo in base ad interessi specifici. Ma la politica forse in Italia è entrata in crisi già prima di questa fase iniziata dopo il 1994, perché le identità politiche non corrispondevano più agli interessi specifici degli italiani. Erano scollate dalla realtà, si autoriproducevano spesso per eredità familiare, a volte per interesse, stancamente e senza nerbo, soprattutto dopo il 1989, quando la Lega cominciò a divenire un’alternativa ad un sistema politico ancora bloccato. Il rifiuto di quella politica ha portato a questa politica. Non mi piace la denominazione di prima e seconda repubblica. Ma oggi bisogna capire che il rifiuto anche di questa politica è diventato assai forte. Allora si contestavano i partiti identitari, oggi si contestano i partiti senz’anima e la politica senza democrazia. Certo la crisi del sistema di oggi può anche essere mascherata da un’ampia partecipazione al voto anche se minore rispetto alle penultime elezioni. Tuttavia è evidente che occorra promuovere una profonda riforma della politica che la rilanci, la elevi facendola uscire dal fango in cui è impantanata. Le identità vanno rinnovate a mio parere, ma una politica senza identità, caso solo italiano nell’Europa di oggi, è cieca, pericolosa, perfino dannosa. I contenitori multi-identitari vincono le elezioni, ma difficilmente, per la loro eterogeneità, riescono a costruire un futuro per il Paese. Un po’ quel che avveniva per le coalizioni, riuscivano a vincere, poi non governavano. Poi, il contenitore che perde, e questo è il caso del Partito democratico oggi, rischia di dividersi. Se ciò che unisce è più un’esigenza elettorale che non una comune visione del mondo, è facile che ciò avvenga. Per capire bene il flusso del voto in una moderna democrazia bisogna capire il meccanismo elettorale. E qui entriamo nel merito di un argomento che vorrei sinteticamente affrontare. Il meccanismo elettorale nelle moderne democrazie non si limita a registrare le tendenze del voto, ma le produce a sua volta.

L’anomalia del sistema politico italiano è in massima parte il risultato di meccanismi elettorali unici al mondo. In nessun paese infatti si abbina uno sbarramento elettorale ad un premio di maggioranza. Entrambi sono funzionali allo stesso obiettivo: togliere ai piccoli per dare ai grandi. E per di più il premio di maggioranza produce un orientamento di stampo americano teso alla riduzione a due dei contendenti. Tutto il resto risulta inutile e fuorviante. E per i piccoli partiti alla certezza del “voto inutile” ai fini del governo del Paese si aggiunge quello dell’alta probabilità del “voto perso” ai fini della rappresentanza parlamentare. Le forze non apparentate devono infatti superare uno sbarramento doppio rispetto a quello delle forze apparentate. Non è un caso che in occasione delle penultime elezioni si siano presentate due coalizioni di partiti che ambivano al premio di maggioranza, senza terzi incomodi. In esse i partiti minori non incarnavano nessuno dei due rischi prima richiamati. Stavolta la riforma de facto Berlusconi-Veltroni (quella di diritto non è riuscita per la crisi di Mastella e la fine anticipata della legislatura) ha stravolto lo spirito della legge. Ha surrettiziamente introdotto per la prima volta l’istituto del rifiuto dell’apparentamento (istituto mai sperimentato in passato) così da concepire un’autorità col compito di porre sugli altari o nella cenere le altre forze politiche. Quelle che hanno ottenuto il cartellino verde hanno così evitato il duplice rischio (pericolo del voto inutile e pericolo del voto perso) e sono risultate le vere trionfatrici della battaglia elettorale (Lega e Di Pietro). Probabilmente la Lega non avrebbe corso ugualmente il pericolo del voto perso, ma certamente sarebbe stata portatrice di voto inutile, mentre Di Pietro sarebbe stato con ogni probabilità oggetto di entrambe le prerogative. Oggi ha 40 parlamentari, senza apparentamento non ne avrebbe ottenuto alcuno. Così, a fronte dell’abuso dell’istituzione del candidato premier, che non esiste né sotto la forma dell’elezione diretta, né sotto quella della semplice indicazione, nella Costituzione italiana (tanto che tutte le liste sono costrette a scrivere il nome del leader nel simbolo elettorale) si è aggiunta questa assurda e discriminatoria questione dell’esame d’ammissione all’apparentamento da parte del partito più forte, stravolgendo lo spirito della legge elettorale che invece era proiettata a incoraggiare gli apparentamenti, tanto da agevolarli con i diversi e più vantaggiosi sbarramenti elettorali per i partiti coalizzati. Sia le vittime sia i carnefici, sia i salvatori sia i miracolati devono oggi trovare il modo, in questo Parlamento, di superare questo assurdo e incongruente sistema politico elettorale e di disegnare un nuovo modello di democrazia politica. Il sistema elettorale è peraltro frutto di un nuovo modello di partito politico, e ad esso inevitabilmente intrecciato, fondato sulla cooptazione dei gruppi dirigenti e dunque dei parlamentari, sulla eliminazione delle sedi di confronto e di dissenso: fine delle sezioni, degli apparati, forse, tra un po’, anche degli iscritti, forme plebiscitarie per la scelta del capo, rifiuto delle primarie per la selezione dei gruppi dirigenti e dei candidati. Il partito del Principe. È in questa situazione che ha buon gioco la cosiddetta anti-politica. Mai nella storia democratica d’Italia s’è avvertita così poca incidenza del cittadino nelle scelte delle persone da eleggere nelle istituzioni (pensiamo anche agli assessori scelti personalmente dai sindaci, e dai presidenti di provincia e di regioni, alle nomine negli enti di secondo grado sottratte ai Consigli). La democrazia non è in crisi, per molti versi non c’è. E nostro obiettivo primario è promuovere una nuova sensibilità all’argomento e la nascita di un grande progetto di riforma democratica della politica che metta insieme: la riforma della Costituzione, una nuova legge elettorale, nuove forme di democrazia politica nei partiti. Con coerenza, non in modo subdolo, dopo un’ampia consultazione dei cittadini, non in modo oligarchico da parte delle vecchie e nuove nomenclature politiche. Si scelga un modello e i modelli oggi di fronte a noi si possono sostanzialmente ridurre a due: quello presidenziale, con variabile americana e francese, o quello parlamentare, compresa la forma del cancellierato tedesco. Col primo sistema si vota il governo e dunque è giusto il voto con sistema maggioritario e uninominale a un turno come in America o a due turni come in Francia. Con l’altro si vota il Parlamento e allora bisogna pensare a un modello proporzionale di tipo tedesco o spagnolo, magari con sbarramento, ma senza premio di maggioranza, perché le maggioranze si formano appunto dopo il voto nelle sedi competenti. In Italia abbiano una legge proporzionale, sia con sbarramento che con premio di maggioranza, ma con liste bloccate e formate dai capi partito, una subdola indicazione anticostituzionale del premier, una forma di apparentamento che la legge agevola e che i due grandi partiti, fondati non sulla democrazia politica, ma sulla logica plebiscitaria (che si tratti di predellini e o di gazebo poco importa) invece negano o concedono a piacimento e dopo esame di ammissione. Il massimo delle contraddizioni nel più assurdo e antidemocratico dei modelli.

Penso che sul rapporto tra identità e partiti oggi in Italia e sui temi della riforma della politica sulla quale mi sono intrattenuto, così come sugli altri che saranno oggetto di dibattito e che Marco poi introdurrà, discuteremo in un’utile tre giorni, la prima che si svolge dopo l’esito delle elezioni, originalità che riteniamo ci debba essere riconosciuta. Nel largo spettro di questa discussione c’è anche un più piccolo spettro che riguarda più da vicino alcuni come me e come altri che da Chianciano si aspettano anche qualche parola di fiducia per il progetto al quale sono rimasti fedeli una vita, dopo il diluvio che li ha sommersi. C’era una volta la Rosa nel pugno, oggi le rose sono tutte appassite. Non basta annaffiarle, ognuno nel proprio orticello e forse non basta neppure annaffiarle insieme, ma da qui da Chianciano può iniziare un percorso di utile discussione per delineare un futuro per tutti coloro che ancora credono in quei quattro aggettivi oggi in disuso, ma anche senza parenti prossimi e senza eredi attendibili. Socialista, radicale, laico e liberale, parole, solo parole se non corroborate da lotte comuni, da obiettivi comuni, da quel rapporto stabile tra valori e azioni, tra progetti e programmi, tra pronunciamenti e comportamenti. Riscoprendo il vecchio valore della coerenza, che è oggi uno scoraggiante difetto

Non il caso di percorrere il passato, gli anni settanta, la laicità, e raccordarlo al presente, alla decisione del ministro Turco, apprezzabile, circa la possibilità della analisi pre-impianto dell’embrione, né è il caso di affermare che nelle cose ci siamo stati: dalla battaglia legislativa per la separazione delle carriere dei magistrati al referendum sulla fecondazione assistita. Ci siamo ancora qui e forse anche per merito di quanti hanno deciso di restare apparentemente nascosti e di non sguainare la scimitarra per una battaglia elettorale impossibile. La presenza dei radicali in Parlamento e la voglia di battersi assieme a tutti coloro che intendono contribuire a tante battaglie giuste è un aggancio che nel diluvio appare alla stregua di una piccola imbarcazione alla quale aggrapparsi. Quella parte del convegno che è sensibile a questo argomento lo sa e per questo è qui, dai giovani socialisti ai dirigenti e militanti che altro non hanno se non la voglia di voler lottare ancora. Diamogli una speranza anche col contributo e l’attenzione di tanti ospiti, alcuni interessati al progetto, altri interessati a discutere con noi. Dal diluvio ci si può salvare. Se i mille hanno fatto l’Italia possono anche fare qualcosa di ben più modesto: capire l’Italia e rilanciare un progetto politico che parli al presente e al futuro.

 

Mauro Del Bue

 

Fonte: Radicali.it

 

ALTRI DOCUMENTI dell'Assemblea di Chianciano

disponibili on line:

Relazione della Prima commissione "AMBIENTE-DEMOGRAFIA"

a cura di Antonella Spolaor Dentamaro

Relazione della Terza commissione "FORMA PARTITO-MODELLI ISTITUZIONALI"

a cura di Alessandro Massari

Relazione della Quarta commissione "LIBERTÀ ECONOMICHE - LIBERTÀ DIGITALI"

a cura di Michele De Lucia


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