Lo scaffale di Tellus
Lorenzo Montano: Viaggio attraverso la gioventù. Postfazione di Flavio Ermini. Moretti & Vitali editori
Moretti & Vitali Editori, Euro 16,00
Moretti & Vitali Editori, Euro 16,00 
22 Aprile 2008
 

Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano viene edito per la prima volta da Mondadori (1923). Successivamente l’opera sarà pubblicata da Rizzoli nella collezione B.U.R. (1959), con un saggio di Aldo Camerino (1901-66). Tale saggio viene riproposto in questa terza edizione, che si presenta arricchita da una biografia e una bibliografia aggiornate, a cura di Claudio Gallo, oltre che da una riflessione interpretativa di Flavio Ermini. L’edizione è resa possibile grazie al sostegno della Biblioteca Civica di Verona.

Viaggio attraverso la gioventù. Il protagonista di questo romanzo descrive l’adolescenza come un «breve tumulto d’ombre cose passioni, incoerenti», fatte di «notti laboriose, alcune pazze, l’uno e l’altro compagno, qualche viso e corpo di donna, qualche paese scorso di sghembo, e quell’attesa, quell’impazienza incessanti…».

La gioventù. Sarà lo stesso eroe montaniano a sancire l’impossibilità di coglierla: «Esita a lasciarci, s’indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».

La gioventù. Circa la sua inafferrabilità si fa testimone questo romanzo del primo Novecento, dove l’elemento narrativo continuamente s’infrange, proprio come accade, negli stessi anni, all’unità dell’Io.

Viaggio attraverso la gioventù è ascrivibile a quel genere letterario, comunemente conosciuto come Bildungsroman, che ha le sue radici nel Wilhelm Meister di Goethe (1796). Tale genere, dopo aver ospitato una piccola moltitudine di giovani che con foga dolorosa incarna la smania di desiderare, conoscerà i suoi ultimi capolavori – che ne decreteranno in pari tempo il culmine e il tramonto – con gli inizi del secolo scorso.

E così come il Törless di Musil (1906), Malte Laurids Brigge di Rilke (1910), Karl Rossmann di Kafka (1915), Stephen Dedalus di Joyce (1916), l’innominato protagonista di questo romanzo affronta l’itinerario della crescita come si azzarda una sortita da uno stato d’assedio per affrontare l’ignoto. La separatezza rispetto all’età adulta diventa la compagna del viaggio, in un ostinato spingersi oltre il limite, verso il precipizio delle illusioni, tipico dell’adolescenza. Pazienza se dopo rimarranno soltanto ceneri.

 

 

Flavio Ermini: Postfazione  a “Viaggio attraverso la gioventù”

 

 

 

Quando nelle fiabe la gente si ridesta da un sonno profondo e incantato, si trova in questa situazione: si domanda se tutto ciò che ha veduto nei sogni frammentati non sia alla fin fine reale, mentre il nuovo mondo, così limpido all’apparenza, non sia che un’illusione.

Quando mi inoltrai sul cammino, dopo il compimento della gioventù, avevo precisamente questo senso di dislocazione. 

     

                                          Kita Morio

 

 

 

 

 

La gioventù

Viaggio attraverso la gioventù (1923) di Lorenzo Montano è un’opera ascrivibile al genere letterario comunemente conosciuto come “romanzo di formazione”, che ha le sue radici nel Wilhelm Meister di Goethe (1796). Tale genere, attorno al quale nell’Ottocento si raccoglie una piccola moltitudine di giovani che incarna con foga dolorosa la smania di desiderare, conoscerà i suoi ultimi capolavori – che ne decreteranno in pari tempo il culmine e il tramonto – con gli inizi del secolo scorso.

Così come nei Turbamenti del giovane Törless di Musil (1906), nei Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke (1910), in America di Kafka (1915), in Dedalus di Joyce (1916), il protagonista di questo romanzo affronta l’itinerario della crescita come si azzarda una sortita da uno stato d’assedio – la realtà – per affrontare l’ignoto.

In queste opere – anticipate da Gioventù di Conrad (1898) e da Tonio Kröger di Thomas Mann (1903) – la saggezza degli adulti non è più un contrappunto costante alle avventure dall’eroe. Da qui in poi, come indica Franco Moretti nei suoi saggi dedicati al romanzo di formazione, pare che gli adulti non abbiano più nulla da insegnare: «La gioventù comincia a disprezzare la maturità e ad autodefinirsi in opposizione a essa».

La separatezza rispetto all’età adulta diventa la vera compagna di viaggio di questi eroi.

 

Due soglie

Il protagonista di Viaggio attraverso la gioventù si sporge sull’adolescenza e ne varca con consapevolezza la soglia.

Esaltazione, calore, felicità si fanno avanti con decisione su quel punto d’incontro. Non a caso l’eroe montaniano può annotare: «È bene sia registrato nero sul bianco che la felicità esiste, e che io in questo momento la provo».

I primi passi sull’itinerario della gioventù sono compiuti senza calcolo; non indicano una padronanza. L’eroe stesso è consapevole che il superamento del limite avviene in un «breve tumulto d’ombre cose passioni, incoerenti», fatte di «notti laboriose, alcune pazze, l’uno e l’altro compagno, qualche viso e corpo di donna, qualche paese scorso di sghembo, e quell’attesa, quell’impazienza incessanti …».

Commenta Aldo Camerino nella presentazione: «Il romanzo montaniano è il ritratto di un vivere straordinariamente distratto e pieno di voglie, desideri».

A differenza di quanto accadeva nel Bildungsroman dell’Ottocento, questo vivere gravita sempre più lontano dall’età adulta: nell’indeterminabile sta il suo seme primario; nella molteplicità delle esperienze, il suo tempo.

Quello stare sul limite ultimo della gioventù, quel non varcare del tutto la soglia del suo orlo estremo, ovvero il non entrare con decisione nell’età adulta – come accadrà all’eroe montaniano, che dopo anni confesserà all’amico come «le memorie di quel tempo» continuino a provocargli «dentro un gran tumulto, con disturbo non piccolo della mente» – sancirà il fallimento, l’impossibilità della “formazione”.

Nel movimento verso il mondo sta la forza del vero e proprio Bildungsroman e nell’intrattenersi sulle proprietà del limite ultimo della gioventù – come avviene nel Viaggio montaniano – sta la festa della sua ultima forma. Proprio per questo trattenersi nella più inquieta e inappagabile stagione della vita, su quel confine che tiene insieme i poli di una tensione irriducibile, di una contraddizione inconciliabile, l’adolescenza si costituisce nel Novecento come un’obiezione contro la vita adulta.

 

Il grande smarrimento

Musil e Kafka, Rilke e Montano ereditano la convenzione ottocentesca del Bildungsroman ma vi apportano significativi cambiamenti.

L’inoltramento nella gioventù non ha più a poppa i venti della crescita.

Nell’adolescenza ora prevale il vortice, un movimento che evoca le pale di una sonda e insieme il taglio acutissimo di una crepa, oltre la quale è in vista uno spazio indecifrabile. Scrive l’eroe montaniano : «Tutt’a un tratto conobbi che la mia giovinezza era finita … Rimasi attonito allora, ricordo, di trovarmi privato così di colpo di tutta un’età della vita … Mi fermai in una piazza, non sapendo che fare di me … M’era rimasto soltanto un grande smarrimento …»

Che l’adolescenza stia diventando sempre più narcisistica e regressiva ce lo dirà in modo più radicale nel 1923 (lo stesso anno del Viaggio montaniano) un altro “tardo” romanzo di formazione: Il diavolo in corpo di Radiguet.

Il mondo degli adulti – possessore, così come ora appare, di mezze verità –non si configura più quale dimora ospitale.

Sulla soglia dell’età adulta, lì dove le cose fluttuano e si mescolano, l’eroe montaniano oppone forti indugi. E si trattiene tra le sicure parentesi di quella parte della vita – la giovinezza – che con più facilità penetra nell’essere e tende a dilagarvi.

In questo romanzo ci troviamo di fronte a due precipizi che delimitano l’inizio e la fine dell’adolescenza. I due quaderni li rappresentano. Così come il corollario formato da “Introduzione” e “Aggiunta” ha il compito di farci gettare almeno uno sguardo in quella discesa nel Maelstrom che è l’età adulta…

Da quel gorgo, in una delle sue ultime poesie Montano scriverà: «Adesso invece assidera il mio tocco / la vita, sotto alla mia mano il fiore / di gioventù impietrisce, e si trasmuta / il più dolce dei seni in duro sasso» (1956).

Davanti a quel gorgo, nella penultima pagina di Dedalus, Stephen insorgerà con una dichiarazione di guerra quasi programmatica contro l’età adulta: « … cercherò di esprimermi attraverso qualche maniera di vivere o di fare dell’arte il più liberamente e integralmente possibile, difendendomi con le sole armi cui consento a me stesso di ricorrere: il silenzio, l’esilio, l’astuzia … Benvenuta, oh vita».

 

 

Il giardino di Eros

L’eroe montaniano, come scrive Aldo Camerino nell’introduzione, «è pronto a stendere il suo diario con penna attenta. Nulla gli sfugge di quanto gli succede, di quello che vuole gli accada». È il portavoce di tutte le sensazioni. Malgrado la sua libertà immaginativa, possiede l’umiltà del cronista. Con le sue frasi incide lo slancio e la continuità di ogni emozione, di ogni sentimento.

Due figure di donna, Biancanera e Delfina, accompagnano l’eroe nel suo viaggio. La loro presenza consente di leggere l’opera anche come un vero e proprio romanzo d’amore.

I loro movimenti rivelano un’agitazione di fondo e una “turbolenza” che portano lontano dalla rassicurante linearità di un cammino: un’atmosfera di sospensione li avvolge.

Chi si muove nel giardino di Eros è sempre in bilico tra l’indigenza della mancanza e la ricchezza dell’acquisizione. Risorsa e penuria accompagnano costantemente ogni suo gesto.

Questo dipende ovviamente dallo stato d’insicurezza in cui si colloca ogni passione amorosa. Ma Montano ne fa un riflesso dell’adolescenza, dove urge a ogni passo il richiamo alla brevità del tempo di cui possiamo disporre.

La gioventù. Circa la sua inafferrabilità si fa testimone questo romanzo, dove l’elemento narrativo continuamente s’infrange, proprio come accade, negli stessi anni in cui viene scritto, all’unità dell’Io.

   

 

La frantumazione dell’io

Franco Moretti è esplicito quando afferma che la “formazione” è destinata a fare i conti, all’inizio del Novecento, con la disgregazione dell’individuo come soggetto e con una nuova, incandescente realtà: l’inconscio.

Questa chiamata verso l’Io frantumato – e di conseguenza verso l’introspezione e l’autoanalisi – è imperiosa anche per il Bildungsroman. E risulta così evidente nel Viaggio attraverso la gioventù che induce ad accostare questa opera a un altro grande romanzo del 1923: Coscienza di Zeno di Italo Svevo.

Non a caso Camerino nella sua introduzione annota: «Il buon europeo Montano … è qui presente con tutti i ritrovati del romanzo moderno».

Ne abbiamo dimostrazione soprattutto nel primo quaderno, per la forma frammentaria che lo caratterizza, tra schegge di personaggi, atomi di scene, briciole di realtà. “Frammenti” che svolgono il ruolo di propaggini di un continuo soliloquio interiore e di un vibrante processo d’interrogazione.

Sarà proprio l’avventurarsi del protagonista in oscure profondità interiori che renderà evidente, anche se inavvertitamente e certo senza intenzionalità, la definitiva lacerazione tra l’Io e il Mondo. Cosa che porterà Montano alla decisiva scelta di non dare all’eroe un nome e nemmeno «figura». A tale proposito nelle ultime righe del romanzo leggeremo: «Questo personaggio ha tralasciato nel suo scritto qualunque indicazione che giovi a dare un’idea del come egli apparisse agli altri …».

Privo di nome e di «figura», l’eroe montaniano – in quel suo ostinato spingersi verso il precipizio delle illusioni, tipico della moderna adolescenza – tenderà a configurarsi come una sorta di anima collettiva.

E non importa se da un certo punto in poi non ci sarà più ritorno. «È questo il punto da raggiungere» asserisce Kafka.

Pazienza se dopo rimarranno soltanto ceneri.

 

 

Imparare a vedere

Come per il Malte di Rilke anche per l’eroe montaniano è necessario «imparare a vedere».

«Imparare a vedere.» Vi è un modo di configurare il reale che non si appaga dell’intuizione, ma preferisce porla tra l’emozione e la riflessione. La sintesi che ne scaturisce è carica di una sua specifica mobilità

Viaggio attraverso la gioventù è il romanzo di un essayist. E lo si avverte per come ogni sensazione viene con minuziosità indagata e faticosamente sottratta alle poco decifrabili, ma autorevoli zone interiori.

L’adolescente, forte della sua opposizione a tutto ciò che gli impedisce il libero movimento, è un esploratore di spazi intatti. Qui un’intricata rete di sentieri porta verso una nuova matrice dell’essere umano, totalmente svincolata dalla “crescita”.

Non dimentichiamolo: siamo nel tardo romanzo di formazione: la gioventù è più vulnerabile e più riluttante a diventare adulta, anche se nel suo orizzonte è più facile rinvenire le tracce della disillusione e della sofferenza che quelle inizialmente annunciate della soddisfazione e della gioia.

La gioventù. Per descriverla, Montano conquista diversi punti di osservazione. Oltre che al protagonista “da giovane”, lascia la parola all’editore, all’amico Antonio, allo stesso eroe già “adulto”, il quale pur consapevole che la «giovinezza era finita» non si nasconde che le sue «ferite» sono «malissimo chiuse» tanto da temere che la sua vita possa essere «destinata a rimaner difettiva …».

Consentire al nostro sguardo di accedere attraverso più prospettive a questi paesaggi dell’anima e di prendere con essi confidenza è uno dei grandi risultati di questo romanzo.

 

 

La casa della gioventù

La gioventù. Sarà lo stesso eroe montaniano a sancire l’impossibilità di coglierla: «Esita a lasciarci, s’indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».

Le diverse età dell’uomo sono custodite da case che si costruiscono da sole, una accanto all’altra. L’ultima, quella della maturità, è sempre la più imponente, mentre le altre vanno stemperandosi col tempo nell’immaterialità dei pensieri. Ma non tutte. La casa della giovinezza rimane inalterabile, tanto che la corda dei giorni si sfibra continuamente alle sue fondamenta senza mai spezzarsi.

Questa è la casa in cui si torna per essere se stessi. Dove ogni colore è comparabile a un colore dell’aquilone.

Le pagine del Viaggio montaniano descrivono questo scendere a capofitto in una parte intatta del mondo. Il protagonista che le ha scritte le ha inviate all’amico Antonio «perché tutto questo rimuginìo arrischierebbe magari di diventar malsano … Vedremo se gioverà».

In realtà, tutto ciò che si era pietrificato ritrova voce. Il grido dal quale ogni felicità è caduta incontra il grido di felicità.

 

 

Come sottrarsi all’esilio dell’età adulta?

Nell’adolescenza, ci dice Montano, l’uomo si fa ponte per questo rischioso passaggio. Ponte sospeso sull’abisso, ponte di cui non si intravede che a tratti e avvolta in una fitta nebbia l’altra sponda; dove l’urlo è uguale al silenzio e non coincide più con la voce dell’anima.

Per questo è giusto aprire alla nostra immaginazione la terra che abbiamo abbandonato. Quella del tempo in cui la vita, pur nella disillusione, metteva sensazioni per conoscere e fantasie per coprire ogni cosa di una polvere d’oro.

Scrive Jünger: «La libertà non abita nel vuoto, essa dimora piuttosto nel disordine e nell’indifferenziato, in quei territori che sono, sì, organizzabili, ma che non appartengono all’organizzazione. Vogliamo chiamarli “la terra selvaggia” [die Wildniss]; la terra selvaggia è lo spazio dal quale l’uomo può sperare non solo di condurre la lotta, ma anche di vincere. Non è più naturalmente una terra selvaggia di tipo romantico. È il terreno primordiale della sua esistenza …».

Sottrarsi all’esilio dell’età adulta significa accostarsi a quel varco dal quale possiamo rivivere, in tutta la sua naturalezza, la nostra prima esperienza: l’ascolto della voce dell’anima, così come echeggiava nella Wildniss.

Nella gioventù sta l’inizio dei passi che dobbiamo compiere per interrogare l’essere e la lingua muta delle cose che ci circondano. Un movimento che è propriamente il gesto del venire per la seconda volta alla vita. Un gesto che ogni volta mette a soqquadro il mondo.

Dopo aver letto Viaggio attraverso la gioventù, sappiamo che proprio per questo motivo va custodita la memoria delle terre dalle quali si parte: siano esse caratterizzate dalla “formazione” o dall’“obiezione”; siano esse un fenomeno della realtà o dell’illusione...

 

 

                                                                                 Flavio Ermini

  

 

 

Lorenzo Montano, Viaggio attraverso la gioventù. Collana “Narrazioni della conoscenza” diretta da Flavio Ermini, presso Moretti & Vitali Editori.

 

 

Lorenzo Montano, pseudonimo di Danilo Lebrecht, poeta, narratore e critico (Verona, 1893 – Glion-sur-Montreux, 1958). È tra i fondatori della Ronda (dove tiene una rubrica di aforismi, moralità, osservazioni critiche intitolata “Il perdigiorno”). Collabora dal 1929 con la casa editrice Mondadori come consulente editoriale, lavoro che conserverà anche in Inghilterra, dove, in seguito alle persecuzioni razziali, è costretto nel 1938 a emigrare. Qui diventa redattore del periodico Il Mese, di cui curerà, dopo la liberazione, l’edizione italiana fino al 1947.

L’opera poetica di Montano è compresa nei due volumi Discordanze (Firenze, 1915) e Per piffero (La Spezia, 1917).

All’esperienza rondista è strettamente legato il libro migliore di Montano, Viaggio attraverso la gioventù (Milano, 1923), romanzo che fa parte di quella manciata di capolavori che decreta all’inizio del ’900 il culmine e nello stesso tempo il tramonto del Bildungsroman.

Alla Ronda è legato il volume Il perdigiorno (Bologna,1928) che raccoglie le pagine pubblicate sulla rivista nell’omonima rubrica. In Carte nel vento (Firenze, 1956) Montano riunirà quasi tutta la sua opera, che anche nelle pagine più recenti – si vedano ancora i volumi A passo d’uomo, Padova, 1957 (Premio Bagutta 1958) e Pagine inedite, Verona, 1960 – conferma il suo modulo di preziosa e distaccata eleganza.

Notevoli sono le sue traduzioni di Mallarmé, Voltaire, T. Mann, Huxley, Kafka, Eliot, Hughes, Goethe.

Si sono occupati criticamente del suo lavoro: Montale, Camerino, Zanzotto, Bacchelli, Vittorini, Prezzolini, Savinio, Ungaretti.

Nel 1979 la rivista letteraria Anterem istituisce a suo nome un Premio letterario di rilevanza europea e, sempre a suo nome, promuove nel 1991 in collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona un Centro di documentazione sulla poesia.


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276