Oblò cubano
Cuba libre era solo un cocktail
02 Aprile 2008
 

Lucio Lami

CUBA LIBRE ERA SOLO UN COCKTAIL

Viaggi nella crisi del castrismo

Spirali, pagg. 250, € 15,49

 

Non è un libro nuovo, visto che risale al 1995, ma è ancora attuale e andrebbe letto con attenzione per conoscere molti lati oscuri del castrismo. Lucio Lami si sforza di dimostrare (e secondo me ci riesce) che il puerto escondido del socialismo realizzato non si dissolve oggi: non è mai esistito. Analizza gli orrori hitleriani che il regime perpetra nelle carceri e dei quali - non si sa perché - nessuno parla, forse per il solito ragionamento secondo il quale i dittatori di sinistra sono più buoni di quelli di destra. In realtà le carceri di Fidel sono famose per gli interrogatori ai prigionieri debilitati con torture psichiche, mesi di oscurità assoluta, cambiamenti di cella, freddo e calore alternato, percosse, suoni ad alta frequenza, privazione di acqua e rumori che non fanno dormire. Le pene più dure colpiscono coloro che, dopo essere stati fedeli collaboratori di Castro, si permettono di muovergli delle obiezioni. Huber Matos ne sa qualcosa, dopo vent’anni di galera è riuscito a espatriare. Al generale Ochoa, invece, è andata peggio ed è finito sotto il fuoco di un plotone di esecuzione. Lucio Lami sostiene che il popolo cubano vota, non è vero che non esprime la sua opinione, perché le fughe di massa altro non sono che segnali di dissenso, voti espressi con le gambe, da Camarioa (1965) a Mariel (1980), passando per fughe estemporanee a bordo di gommoni dove si rischia la vita per la libertà.

Lucio Lami intervista Huber Matos, storico collaboratore di Fidel, uno dei primi ad aver visto giusto e a capire che il Comandante faceva il doppio gioco: di giorno prometteva la democrazia e di notte faceva accordi con Mosca. Matos sottolinea che la rivoluzione non nacque - come dice la leggenda - dalla rivolta dei poveri, ma dall’esasperazione di una borghesia benestante, alla quale Castro apparteneva, che disprezzava la dittatura di Batista e voleva il ritorno della democrazia. Il problema è che oggi i cubani sono molto più poveri rispetto a prima della rivoluzione, Cuba è regredita ai tempi della colonia, fossilizzandosi sulla monocultura della canna da zucchero. Il regime ha vissuto per anni coltivando i soliti miti: sanità e scuola, propagandati come successi senza precedenti nell’America Latina e come novità per Cuba, cosa non vera perché anche ai tempi di Batista la sanità funzionava e la scuola era garantita a tutti i cittadini meritevoli. Virgilio Piñera ne sa qualcosa. Lami sottolinea come la rivoluzione cubana si sia trasformata in un capitalismo per pochi: funzionari di Stato, elementi dei servizi segreti, membri del partito comunista e quadri militari. Fidel Castro è socio miliardario di una serie di società situate ovunque, dal Messico al Venezuela. La rivoluzione cubana vive enormi contraddizioni: da una parte ci sono i fedeli al regime, dall’altra c’è il popolo che pratica l’opcion zero (accettazione della miseria nera). Lami affronta anche il problema dei diritti umani e sbugiarda le menzogne di regime propagandate da giornalisti complici sparsi per tutto il mondo. A tutti è noto che Castro ha sempre affermato: “I diritti umani non si applicano ai nemici della rivoluzione”. E si è comportato di conseguenza, con buona pace della stampa prezzolata e connivente con una dittatura stalinista. Armando Valladares è stato ricoperto di menzogne, riportate ancora oggi da libracci ignobili editi anche sul territorio italiano che non cito per evitare di pubblicizzare. La poetessa Maria Elena Cruz Varela è stata insultata più volte dal Granma, quindi la polizia l’ha malmenata, obbligata a inghiottire le sue poesie e incarcerata. Lami spiega approfonditamente la politica di avvicinamento di Castro alla Chiesa Cattolica come modo per ottenere un’alleanza strategica, ma soprattutto racconta i legami tra Cuba e il narcotraffico. I milioni che il regime ha incassato con la droga sono serviti per finanziare guerre e rivoluzioni nel continente latinoamericano. Il generale Ochoa era al corrente di tutto, ha partecipato al narcoterrorismo, ma a un certo punto è diventato un uomo scomodo, troppo potente, oltre tutto vicino alle posizioni di Gorbaciov. Un processo stalinista lo ha tolto di mezzo definitivamente, dopo la classica confessione che non manca mai in un regime dittatoriale. Infine il giornalista affronta il problema del blocco USA e dei suoi effetti negativi sull’economia per dire che è soltanto una causa secondaria dello sfascio di Cuba. I prodotti nordamericani sono sempre arrivati sull’isola, passando da Nicaragua e Panama, grazie ad agenzie cubane che lavorano a pieno ritmo. Basta andare sull’isola per verificare che la Coca Cola (per dire un prodotto USA molto noto) si trova ovunque, anche se per i cubani è merce proibita visto che costa un dollaro a lattina. Il tracollo economico cubano è stato causato dalla sospensione degli aiuti sovietici e da un’economia fallimentare che il Comandante ha guidato con assurdi piani quinquennali e sperperando denaro per guerre e guerriglie in ogni parte del mondo.

Il libro si avvale anche della lucida postfazione di Carlos Alberto Montaner, scrittore e giornalista cubano esule dal 1961, autore di Vigilia della fine, saggio sulla crisi del castrismo che la stampa italiana ha ignorato. Montaner punta il dito sugli intellettuali che ancora difendono il regime cubano, gente come Günther Grass, Eduardo Galeano, Mario Benedetti, Gabriel Garcia Márquez, Frei Betto, Osvaldo Soriano e Gianni Minà (lo chiama showman, a dire il vero, ché intellettuale pare eccessivo). Si chiede come facciano a giustificare tutta la rivoluzione, non certo gli ospedali e le scuole, prodotti del sistema utili, che non hanno bisogno di difensori, ma anche le carceri, le fucilazioni, gli arrembaggi ai boat people, la censura del pensiero, la persecuzione dei dissidenti e il demenziale clima poliziesco, fatto di delazioni, sospetti e torture, instaurato nel paese. Montaner afferma che Cuba non è una piccola isola dei Caraibi alla mercé dell’aggressione degli Stati Uniti, ha una superficie pari a quella dell’Austria e della Svizzera messe insieme e non dovrebbe soffrire la fame perché l’80 per cento del suolo è straordinariamente fertile e la popolazione non raggiunge gli undici milioni di abitanti. Non ha senso continuare a spalleggiare una dittatura costruita sul modello sovietico che dispone di un esercito potente (il nono al mondo!) e una polizia segreta che conta ben 75.000 uomini. A Cuba sarebbe stato possibile ottenere successi invidiabili in tutti i campi, senza alcuna necessità di ricorrere a un regime di terrore e senza bisogno di cimentarsi in un’assurda battaglia contro gli Stati Uniti e il resto delle democrazie latinoamericane. Montaner conclude che Cuba negli anni Cinquanta era una nazione in pieno sviluppo economico, insieme a Uruguay, Cile, Argentina e Venezuela, dotata di una forte classe imprenditoriale e disgraziatamente sottomessa a un’esecrabile dittatura militare. Negli anni Cinquanta Cuba accoglieva immigrati in cerca di lavoro, oggi vede partire centinaia di migliaia di cubani disperati che fuggono da fame, miseria e persecuzione. Non sembra che le cose siano migliorate…

Leggere questo libro fa bene alla mente, aiuta a ragionare e a superare molti luoghi comuni.

 

Gordiano Lupi


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