Diario di bordo
Valter Vecellio. Tibet, Satyagraha. L’importante articolo di Enzo Bianchi
20 Marzo 2008
 

Le agenzie di stampa hanno diffuso ieri un sintetico commento di Marco Pannella, raccolto mentre a campo de’ Fiori a Roma era in corso la manifestazione promossa da Radio Radicale e da Il Riformista in solidarietà con la lotta dei monaci tibetani. «Tibet libero in Cina libera in un’Italia che torno a essere più libera», ha detto Pannella. Ed è perfetta sintesi dell’iniziativa che vede impegnati in queste ore Pannella e i radicali, il Satyagraha mondiale per la pace, la libertà e la democrazia; e comincia a essere anche più chiaro come questa lotta, questo impegno, queste iniziative “leghino” il “fare” in Italia con il “fare” altrove e fuori dai confini nazionali. In perfetta continuità e identità con quel che prefiguravano e disegnavano Ernesto Rossi e Altiero Spinelli confinati a Ventotene: quel loro essere “visionari” era la cosa più concreta che poteva allora essere concepita; così come oggi la cosa più concreta è appunto costituita dal Satyagraha.

Una conferma – una delle tante – la si ricava dalla lettura del lungo e bell’articolo del priore della comunità di Boso Enzo Bianchi (foto), pubblicato su La Stampa. Articolo che va accostato a un intervento, pubblicato il 17 marzo scorso sempre su La Stampa, di Guido Ceronetti (“Israele e Palestina, la bugia dei due Stati”).

Enzo Bianchi è una delle voci più autorevoli e più interessanti di quell’“oceano” di credenti che sono silenziati e privi di visibilità. Quel “mondo” capace di parlare e di ascoltare, e che nei fatti, oggettivamente, si contrappone alla chiesa ufficiale incarnata dalle gerarchie vaticane e che quotidianamente viene sponsorizzata dai grandi mezzi di comunicazione. Così accade che da una parte vi sia il silenzio e la reticenza vaticanesca (seguita da imbarazzatissime e patetiche spiegazioni) sulle vicende tibetane – del resto, si tratta di “silenzi” e mancate condanne in perfetta coerenza con altri che pure ce ne sono stati –; dall’altra abbiamo accorate e partecipate prese di posizione da parte appunto di quel mondo di credenti “sommersi” che non sono solamente “salvati”, ma salvano.

 

L’articolo di Enzo Bianchi è importante, anche perché segnala e sottopone alla nostra attenzione un rischio di deriva che merita attenzione e riflessione da parte di tutti noi, che non da ora “siamo tutti tibetani”. Scrive Bianchi:

«…È in questa prospettiva che mi paiono drammaticamente preoccupanti le notizie sulle violenze compiute non tanto dai monaci - infatti, nonostante la meticolosa cernita delle immagini compiuta dalla televisione di Stato cinese per imputare esclusivamente ai tibetani le violenze, l'unico gesto violento di cui è co-protagonista un monaco è l'abbattimento di una porta a calci - quanto da giovani tibetani nei giorni scorsi. Temo sia una crepa pericolosa nella cultura tibetana della nonviolenza, un sintomo di una certa presa che la violenza quotidianamente istillata in maniera più o meno esplicita comincia ad avere anche in un popolo a essa fondamentalmente alieno. Non ci è lecito giudicare dall'alto del nostro distacco fisico, emotivo e personale il comportamento di alcuni, relativamente pochissimi, manifestanti, ma dobbiamo temere il possibile degenerare della “forza” della nonviolenza in azioni violente: sarebbe davvero un tragico salto di qualità del “genocidio culturale” denunciato dal Dalai Lama.

Estremamente significativo in questo senso l'atteggiamento che sta tenendo il Dalai Lama in questi giorni: reiterata domanda di dialogo, riaffermazione della volontà di autonomia e non di indipendenza, nessun boicottaggio delle Olimpiadi e perfino disponibilità a dimettersi se la situazione dovesse finire fuori controllo: la verità della pace non può accettare di farsi servire dalla violenza. Sì, l'uccisione della diversità ostinata di una cultura di pace è quanto anche i tibetani temono ancor più della morte fisica».

 

Bianchi oggi, come Ceronetti ieri, coglie perfettamente, nell’essenza, i termini delle questioni: quelle questioni che, ostentatamente e clamorosamente, sono nei fatti – e nei silenzi – ignorati e dunque combattuti, da tanti: in nome di interessi forse non completamente (oggi) percepibili, ma che certamente “pesano”, e che non mancheranno fin dalle prossime ore, di farsi valere.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 20 marzo 2008)


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