Lo scaffale di Tellus
Silvio Aman, Nel cuore del drago
06 Gennaio 2006
 

Nuova raccolta del poeta milanese con una nota di Guido Oldani

interlinea edizioni, Novara 2005, pp. 143, € 12,00

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Basta una rapida scorsa ai titoli delle poesie del libro per rendersi conto di quanto siano frequenti i riferimenti a luoghi e ai loro nomi: Pranzo a Pusiano, Sant'Ambrogio alla Pusterla, Crocicchio, Nelle vie, Corso, Luogo, La bottega dell'antiquario, Verso St. Moritz, Borromee, ecc. Ma la quête di Silvio Aman segue l'andamento indeterministico, perplesso, elusivo dei non so, non sai, non sa, non saprei, forse, quasi, che costituiscono i filtri diffusori di un effetto flou che scarta, alterna innumeri scenari, sfuoca i primi piani, lima i contorni, annerisce i fondali, dissolvendo le tracce mnestiche, attenua gli spigoli taglienti, dolorosi, l'ansia delle sparizioni, l'angoscia della fine: «e non vorresti più:/ solo abbracciare un albero,/ solo non sai che cosa…/ Mettere in vaso forse e in bei riflessi/ i tuoi pensieri ai fiori». (pag. 28), «O sono forse loro, quelli che su una sabbia nera vanno/ senza lasciare tracce?» (pag. 41), «scendere forse per le sigarette/ e non tornare più,/ finire in un fruscio di grandi piante». (pag. 46). Un dolore pronunciato sottovoce, flautato, quanto più attenuato, tanto più effuso, quanto più rimosso, tanto più ineludibile, attaccato alla coda delle cose, implacato. È questo il drago nel cui cuore si stanzia il colloquio fantasmatico di Aman? Inquietudine della memoria, che fa tesoro del passato, il proprio personale vissuto di incontri, colloqui, oggetti e il passato della tradizione letteraria da Cavalcanti a Montale, Rilke, Walser, Giampiero Neri e li sposa sull'altare di un'angoscia affilata, capillare, levigata da una nostalgia, talvolta congelata come in una maiolica, più spesso con le vibrazioni, le tinte, i toni, di un crepuscolarismo delle origini: Il Poema Paradisiaco di D'Annunzio, le Fêtes galantes di Verlaine, i contrasti cromatici (rosa, viola, oro su fondali neri) e la pennellata vorticosa, decostruttiva di un Boldini.

Una scrittura non neo ma iper-crepuscolare, una sorta di crepuscolarismo straniato, scavato dentro, che al crepuscolarismo attinge i timbri intermedi tra una nota e l'altra ma capovolge la direzione linguistica e semantica, un secolo dopo, da una poesia che abbassandosi va in prosa a una prosa che innalzandosi (ed era già la direzione montaliana) s'incunea mimeticamente nelle misure della versificazione. Dunque settenari, novenari, endecasillabi. L'endecasillabo, dal ritmo spesso dattilico e a-maiore, assume una strana salienza nei testi, risalto da cui emana la risonanza fondamentale, su cui convergono le linee di forza visive e semantiche della testualità, assumendo valenza pressoché epigrammatica: «strano far da cornice al flusso» (pag. 40), «o passa il dolce fiume della notte» e «quelli che su una sabbia nera vanno» (pag. 41), «finire in un fruscio di grandi piante» (pag. 46), «e amico è solo il pianto asciutto e lieve» (pag. 54), «il senso di una vita che si è chiusa» (pag. 60), «soffrire dolcemente il suo dolore». (pag. 82), «cigni eclissati lungo un fiume nero» (pag. 95), «Angoscia, e nell'angoscia lo splendore» (pag. 100), «l'oscura incitazione della brezza» (pag. 119). Dissolvenze, asparizioni, più che dissolvimenti o dissoluzioni. Poesia d'altrove, umbratile, autunnale, di fantasmi, di controfigure, di barlumi, riverberi, fondali di luce ottenebrata, echi in cui oggetti, nomi, immagini, brani di dialoghi, intridono nel vuoto ierofanie del dolore, bagliori del buio, arabeschi, trine versicolori della vanitas vanitatum.


Rinaldo Caddeo



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