Diario di bordo
Valter Vecellio. Una buona notizia dall’Irak. Che essendo buona, non è una notizia
15 Febbraio 2008
 

Ci sono notizie che contraddicono le nostre opinioni, e dunque cessano di essere tali. L’Irak, per esempio: sembra interessare sempre meno. Come mai? Ne siamo assuefatti, ci si è rassegnati che quello sventurato paese, oppresso prima da uno dei peggiori e sanguinari dittatori del Novecento, sia ora preda di una ferocissima offensiva dei terroristi, e destinato a restare senza pace, democrazia e libertà? Chissà.

 

Accade che in alcuni covi di al Qaeda è stata rinvenuta una corrispondenza di e tra terroristi, dove si confessa lo stato di crisi in cui versa l’organizzazione: «Americani e apostati hanno lanciato la loro campagna e noi ci siamo ritrovati circondati, incapaci di muoverci e di organizzarci», confessa frustrato il comandante di al Qaeda della regione di Anbar, una zona che fino all’altro giorno veniva considerata il cuore pulsante dell’organizzazione terroristica. E in un altro messaggio: «Ci siamo trovati in uno stato di debolezza e di sconfitta psicologica, e questo ha diffuso panico, paura e scarsa voglia di combattere. Il morale è inesistente e la struttura dell’organizzazione al collasso».

Un lettore smaliziato potrebbe obiettare: e se questi messaggi se li fossero scritti prima, e trovati poi, gli stessi americani, per creare un clima favorevole, dopo gli innumerevoli rovesci patiti e subiti? Può essere; non si può escludere che, come in passato, si giochi anche una carta psicologica e si faccia ricorso a questi “trucchi”. Però se è così, siamo pronti a scommettere che la cosa verrà presto svelata. Negli Stati Uniti c’è sempre una gola profonda che rivela come stanno realmente le cose, e c’è sempre un giornale che pubblica la notizia scomoda. Addirittura accade che piani “riservati” e segreti siano divulgati ancora prima che siano realizzati.

Per ora atteniamoci ai fatti; e i fatti dicono che al Qaeda è in grave difficoltà. Non solo perché lo confessa nella “corrispondenza” tra i vari capi delle unità terroristiche. Facciamo un passo indietro, alle orribili stragi nei due mercati di Baghdad del 1° febbraio scorso: quelle dove sono state utilizzate due povere donne down, imbottite di tritolo e fatte esplodere a distanza. Il fatto che si sia fatto ricorso a due donne malate di mente non è solo orribile (e ancor più disgustoso che praticamente nessuno dei pur tanti sempre pronti a protestare e manifestare, questa volta abbia fiatato), è anche indicativo di una debolezza dei terroristi. Significa che si comincia a far fatica a trovare kamikaze volontari; significa che il network terroristico non ha più, se mai l’ha avuta, credibilità tra la popolazione irachena; e lo stesso fatto che sempre più gli attentati si compiano in mercati, scuole, luoghi pubblici, è indicativo: da tempo, infatti, i terroristi uccidono più iracheni che militari americani o alleati. Perché? Come mai i terroristi non si preoccupano più di conquistare il consenso di quelle popolazioni in nome e per conto delle quali dicono di combattere? Certo, si può obiettare che è più facile sistemare un ordigno in un mercato che vicino a una base militare. Ma anche questa incapacità di colpire obiettivi americani è di un qualche significato.

Ad ogni modo se si sente l’esigenza di colpire e terrorizzare la popolazione irachena, significa evidentemente che si ha la netta percezione che in questa popolazione c’è una crisi di rigetto. E questo autorizza a un moderato ottimismo.  

 

«Siamo stati ingannati e traditi da quelli che consideravamo fratelli; ma quelli erano soltanto ipocriti, bugiardi e traditori, pronti al momento giusto a unirsi a chi paga di più», annota uno dei terroristi. Ci si perdonerà se leggendo di queste lettere siamo presi da un sentimento di buon umore; ci auguriamo che questo sentimento sia condiviso da molti, con buona pace di quanti ritengono che queste “buone” notizie non siano una notizia.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 14 febbraio 2008)


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