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Eliana Cambieri. Libertà religiosa. A che punto siamo?
Pretesto
Pretesto 
13 Febbraio 2008
 

Riceviamo da una nostra socia questo scritto che ci connette nella prima parte ad una realtà di più ampio respiro conducendoci al di là dei confini nazionali e nella seconda parte ci consente di riflettere sulla sua esperienza di donna e madre, quando affermando di esistere, sottolinea le sue caratteristiche e scelte culturali e filosofiche. Come d'abitudine rilanciamo...

(Scuola e Diritti – scuoladiritti@libero.it)

 

 

L’incontro annuale delle istituzioni democratiche e dei diritti umani dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europee (OSCE), si è svolto a Varsavia nel settembre 2007, e si è aperto con alcuni interventi sulla tolleranza e la libertà religiosa. Molti partecipanti si sono espressi in difesa delle organizzazioni religiose, ma gli interessi dei non credenti sono stati rappresentati solo da due organizzazioni: la European Humanist Federation (EHF) e la British Humanist Association (BHA).

Diversi leaders religiosi, a livello internazionale, hanno attaccato il secolarismo e difeso le religioni da quella che è comunemente definita “diffamazione”. Non c’è stata, però, una chiara definizione di “diffamazione religiosa”. I secolaristi temono che questi interventi siano semplicemente un tentativo di limitare il diritto di critica alla religione e agli abusi condotti e giustificati in suo nome. Seguendo l’esempio dei leaders musulmani, che hanno coniato il termine islamofobia, la chiesa cattolica e altre chiese europee hanno a loro volta introdotto il termine cristianofobia e ne hanno approfittato per giocare il ruolo delle vittime.

Riportiamo, qui di seguito, alcune parole di Monsignor Anthony R. Frontiera, rappresentante del Vaticano all’OSCE.

«La demonizzazione della Cristianità, e la deliberata derisione dei principi fondamentali della fede cristiana, quale mezzo per promuovere i diritti di gruppi diversi, è un chiaro tentativo di distruggere il rispetto reciproco che ogni persona dovrebbe avere, e che è fondamento basilare per la costruzione di un comunità pacifica e giusta.

«Queste pratiche derisorie vanno giudicate per quello che realmente sono: un tentativo di smantellare il risultato ottenuto dalla religione cristiana per promuovere la tolleranza e l’uguaglianza».

Queste parole sono simili a quelle che si sono levate contro i fumetti pubblicati dalla stampa danese e svedese su Maometto. Certo, la libertà di parola è “sacra”, ma non deve spingersi così in là da offendere la sensibilità dei fedeli. Se si arriva a questo punto, l’ironia si trasforma in un attacco alla libertà religiosa! Il rispetto deve essere incondizionatamente portato ad ogni fede e a tutti i fedeli.

Purtroppo rimarchiamo che, al di fuori della rarefatta atmosfera delle conferenze internazionali, i leaders religiosi sono spesso totalmente irrispettosi delle religioni altrui. Troviamo un chiaro esempio di questa mancanza di rispetto in Arabia Saudita, dove nessuna religione può essere praticata al di fuori della religione islamica. E… ancora, la libertà di religione è inesistente nei paesi dove vigono ancora leggi che puniscono la blasfemia e persino l’apostasia.

Quanto succede ad agnostici, atei, umanisti non è, al contrario, soggetto ad alcun limite. Vera Pegna, rappresentante del EHF alla conferenza OSCE, dichiara che i crimini legati all’odio religioso sono sempre stati preceduti da un linguaggio violento, che a sua volta era preceduto da pregiudizi e stereotipi. L’impiego allargato di un linguaggio offensivo e di stereotipi contro il popolo ebraico hanno giustificato secoli di persecuzione e hanno reso possibile l’Olocausto. Una campagna simile di diffamazione contro gli agnostici e gli atei è iniziata venti secoli or sono e continua ancora oggi.

In una dichiarazione in difesa del BHA, Hanne Stinson affronta l’argomento riferendosi al Catechismo cattolico, alla retorica e alle minacce di morte emanate da alcuni gruppi islamici, in particolare contro gli apostati. La Stinson cita anche i numerosi e moderati leaders religiosi che regolarmente dichiarano che non può esistere moralità senza religione, e che collegano il secolarismo a personaggi come Stalin, Hitler e Pol Pot.

Ancora la Stinson evidenzia il fatto che durante la conferenza dell’OSCE l’attenzione si è concentrata unicamente su argomenti legati alla fede, alle comunità di fedeli, a leaders religiosi (che sono raramente rappresentativi delle persone che affermano di rappresentare), alla multireligiosità.

Sappiamo bene di vivere in una comunità e in una società pluralista; questa non include solo fedeli, ma anche un grande numero di non credenti. Se si vuole incrementare la coesione sociale, se si vogliono combattere l’odio religioso e i crimini commessi in nome della fede, è necessario coinvolgere l’intera comunità, inclusa quella dei non credenti.

 

A questo proposito ritengo importante sottolineare che essere agnostica non mi ha mai fatto sentire diversa o inadatta. Al contrario, il mio agnosticismo è sempre stato fonte di orgoglio, l’orgoglio di pensare con la mia testa, di non abbracciare una fede solo perché condivisa dalla maggior parte della popolazione o perché presunto patrimonio culturale della nostra civiltà. Certo, la mia posizione provoca continue discussioni con chi, incredulo, afferma: “Ma la tradizione cattolica… fa parte del nostro passato!” o... “I valori cristiani sono universali!”. Ma le discussioni fanno circolare i pensieri, anche quelli divergenti, e chissà… speriamo che il movimento provochi qualche scossone.

Ritengo che la morale cattolica, non sempre rispetti i miei diritti di donna: come potrei condividere i valori di una chiesa che al suo interno non riconosce la dignità del mio genere? Non ci sono papesse, solo papi. Una suora non può essere a capo di una parrocchia e difficilmente può ricoprire cariche di rilievo. Io ho bisogno, come individuo e come donna, di una infinita diversità, la monogamia mi atterrisce, la famiglia tradizionale mi sotterra, la vita nell’attesa di un improbabile aldilà mi incatena.

Anche come genitore ho dovuto affrontare, momenti difficili. I diritti costituzionali all’interno della scuola per l’infanzia e della scuola primaria non sono sempre rispettati. La religione sgattaiola via dalle ore che le sono destinate, si infiltra nelle altre materie. Ogni occasione è buona per parlare di Gesù, di Dio, di sacramenti: durante le ore di Italiano, di Scienze, di Storia.

I bambini, soprattutto se piccoli, non amano sentirsi diversi, non hanno ancora costruito un’identità fondata sulla differenza. Soffrono se non si sentono simili agli altri bambini.

L'insistenza nel voler proporre un pensiero unico, insistenza fatta spesso in buona fede, diventa però una violazione della libertà di pensiero del bambino, di tutti i bambini e delle loro diverse famiglie, violazione spesso esercitata soprattutto nei confronti di chi non abbraccia alcun credo religioso.

Ricordiamoci che una società pluralista si costruisce a partire dall’infanzia.

 

Eliana Cambieri

(da 'l Gazetin, febbraio 2008)


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