Diario di bordo
Maria G. Di Rienzo. Ihr Gluecklichen Augen
Illustrazione di Cristiana Cerretti per Silvia Roncaglia,
Illustrazione di Cristiana Cerretti per Silvia Roncaglia, 'Parole di latte' (Lapis, Milano 2001) 
31 Gennaio 2008
 

Da dove cominciare, mia Italia delusa, svillaneggiata, opulenta e crudele, falsamente indifferente, falsamente sensibile? La crisi governativa, la crisi della politica in sé, la società in crisi, le “emergenze” razzismo, bullismo, rifiuti, violenza di genere?

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Io parto da me, come le mie buone maestre mi hanno insegnato. E guardo. Ho una famiglia mia da ventinove anni, piccola e coesa, amorevole. Di “inconsueto” ha il non essere unita da un matrimonio qualsiasi, ma è una famiglia che paga le bollette e le tasse, fa la raccolta differenziata dei rifiuti, cerca di non inquinare né terra né cuori, si sostiene nelle difficoltà e i suoi membri sono impegnati a vario titolo in movimenti, gruppi, associazioni di volontariato, eccetera. Non occorre che il mio sguardo ruoti molto distante da casa: solo nella mia scala condominiale di famiglie simili ce ne sono altre tre. E già mi sento un po' meno “inconsueta”. Le altre famiglie, le “tradizionali”, non mostrano il minimo disagio per la vicinanza. A volte, scambiando quattro chiacchiere, i loro membri parlano di figli e nipoti conviventi, senza nessuno scandalo.

Non è da ieri che la chiesa cattolica non approva unioni come la mia e quelle dei miei vicini, ma la cosa non mi ha mai disturbata più di tanto: può sconsigliare questo tipo di famiglia umana ai suoi fedeli, ne ha il diritto, e la cosa non mi riguarda. E soprattutto non riguarda le leggi della Repubblica. Da un paio d'anni, però, sono venuta a sapere che vivendo semplicemente la mia esistenza, e chiedendo per essa allo stato, non alla chiesa, un minimo di riconoscimento, io «mino alla base la stabilità della nostra società». Questa non è un'opinione rispettabile di cui io posso discutere: è miope odio, e lo respingo come tale. Se chi reiteratamente fa questa affermazione ha le prove (o seri dubbi) che la sottoscritta stia compiendo atti eversivi tramite una semplice, personale e non sindacabile scelta di vita, è pregato di denunciarli alle autorità competenti; ma se, come sono orgogliosa e certa di poter affermare, non ne ha alcuna, non posso che attenderne le scuse: pubbliche come sono pubbliche le dichiarazioni al proposito.

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Parto da me, ma non è il ballo del mattone, tutte le inchieste demografiche hanno fotografato negli ultimi anni questa realtà, che le famiglie italiane non “tradizionali”, oltre ad essere socialmente accettate, sono la maggioranza: convivenze, unioni che si ricostruiscono dopo separazioni o divorzi, genitori single, e via dicendo. Non mi interessa che l'attuale gerarchia ecclesiastica ne prenda atto, ma mi scandalizza al sommo grado che per acquiescenza ad essa rifiuti di prenderne atto la classe politica italiana. Come può tale classe politica pretendere non dico di dare inizio a riforme, ma solamente di governare l'esistente? Per governare l'esistente bisogna almeno non rifiutarsi di vederlo. Lo spettacolo umiliante fornito in questi giorni dal Senato, fra sputi mortadelle aggressioni e insulti, fotografa infine ciò che l'Italia si sta avviando ad essere, mortificata da anni di menzogne e di “grandi fratelli”.

Mi sorprende che qualcuno ancora ululi se al compagno di classe intelligente e onesto gli altri ragazzini ficcano la testa nel water: cosa abbiamo insegnato a bambini e giovani in tutti questi anni? Cosa gli abbiamo mostrato in tv, cosa gli abbiamo suggerito sui giornali, al cinema, per strada e in casa? Che essere violenti, prepotenti, arroganti, è “fico”. Che fregare il prossimo è il massimo a cui puoi aspirare.

La mia generazione ha avuto due ambigue ma benedette fortune: la prima, nella nostra infanzia, era il comandamento n. 11 per le marachelle: “almeno non farti beccare”, perché sapevi senz'ombra di dubbio che certe azioni erano sbagliate, mentre adesso non solo non lo sono, ma vanno anche spettacolarizzate con foto dei cellulari e filmati su You Tube. Perché infine cosa succede ai “grandi” quando li condannano per truffe e malversazioni varie? Li invitano ai talk show o li candidano al Parlamento. Non mi direte che si tratta di riprovazione sociale. Nell'adolescenza della mia generazione vi fu questa seconda fortuna: una grande stagione di lotta politica e sociale, in cui per quanto utopici e sconsiderati e velleitari potessero essere alcuni dei nostri sogni, noi abbiamo almeno sognato, e sognato di nostro. Forse, per cominciare a riparare i danni nel nostro paese, dovremmo fare lo sforzo di restituire questo, ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze: la possibilità di sognare, e di lavorare, per qualcosa che non sia il posto da “velina” o la macchina che fa i 300 all'ora.

 

Maria G. Di Rienzo

(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 31 gennaio 2008)


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