Oblò cubano
Gianfranco Spadaccia. Cuba, processo a mezzo secolo di regime
10 Gennaio 2008
 

Dopo cinquant’anni di dittatura di Fidel Castro, è tempo ormai di bilanci e di scenari. Sono queste, per così dire, le due urgenze naturali dettate dal momento: soppesare quel che di buono e di cattivo (o perfino di criminale) il regime ha prodotto in quasi mezzo secolo, e immaginare il futuro possibile che si aprirà dopo la morte eternamente annunciata del Líder maximo, da tempo gravemente malato. Cuba. Totalitarismo tropicale (Ipermedium libri, 136 pagine, 12,50 euro) di Jacobo Machover, intellettuale cubano esule da quarant’anni a Parigi, ha il merito di apportare lumi su entrambe le questioni. Pubblicato in Francia nel 2004, ampliato e aggiornato per l’edizione italiana, l’agile volumetto di Machover riesce in poco più di cento pagine a toccare tutti i temi centrali del passato e del futuro di Cuba.

 

Non c’è nulla che l’esposizione a un tempo accurata e colloquiale di Machover lasci al margine: gli anni precedenti la Rivoluzione – quando Cuba, secondo la propaganda castrista, era il “bordello degli Stati Uniti” – i primi assalti falliti dei guerriglieri, la destituzione del dittatore Fulgencio Batista, l’era feroce delle fucilazioni di massa degli oppositori capitanate da Ernesto “Che” Guevara, la resa dei conti con i compagni d’arme refrattari al nuovo corso social-comunista, l’insediarsi del potere assoluto dei fratelli Castro, Fidel e Raúl. Le sbandieratissime ma assai dubbie “conquiste” (logros) del castrismo, sanità e istruzione, fiori all’occhiello della propaganda internazionale del regime; la cancellazione sistematica di tutte le libertà civili e sindacali, la repressione degli intellettuali e degli artisti, il caso del poeta Heberto Padilla e quello del romanziere Reinaldo Arenas, i campi di concentramento per gli omosessuali e per gli altri marginali; l’esodo irrefrenabile verso la Florida, la cinica partita diplomatica giocata sulla pelle del piccolo Elián González, conteso tra il regime e l’esilio di Miami. E ancora, la mancata perestrojka alla fine degli anni Ottanta e il processo staliniano contro i generali protagonisti delle campagne internazionaliste in Africa, il “periodo speciale” seguito al crollo del comunismo e alla fine dei generosissimi sussidi sovietici. Trovano spazio nel libro di Machover anche gli usi politici dell’arte e della musica, la strategia propagandistica del regime volta a presentare l’immagine di un’isola dove pur nella miseria si canta e si balla, come suggerito dal fortunato documentario di Wim Wenders Buenavista social club.

 

E poi, il futuro: gli scenari aperti dall’alleanza strategica ed economica con il Venezuela del nuovo caudillo Hugo Chávez, che sostiene l’agonizzante regime dell’Avana fornendo petrolio a prezzi stracciati; il passaggio di consegne nelle mani dell’erede designato – il fratello Raúl, capo delle forze armate privo di carisma e poco amato dai cubani; le lotte di palazzo (e i pellegrinaggi interessati al capezzale del Comandante) in vista della successione al potere. Di tutto questo Machover riesce a rendere conto in modo semplice e puntuale nel suo Cuba, totalitarismo tropicale, un punto di partenza essenziale per chi voglia conoscere, sul regime di Fidel Castro, qualcosa di più delle favole della propaganda, così diffuse nel nostro paese.

Alla vulgata filocastrista in voga nella cultura europea (in particolare italiana e francese) è dedicata l’ottima, polemica e documentata prefazione che Guido Vitello ha scritto per il libro di Machover.

 

Gianfranco Spadaccia

(da Notizie radicali, 10 gennaio 2008)


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