Cosa bolle in culdera
La “Valli del Bitto” a un 'quadrobbio'...
Alfredo Mazzoni, Giuseppe Ruffoni e Giuseppe Giovannoni, casari del Bitto...
Alfredo Mazzoni, Giuseppe Ruffoni e Giuseppe Giovannoni, casari del Bitto... 
23 Dicembre 2005
 

«Che l’associazione decida una volta per tutte: con e dentro il CTCB o fuori!»

Così avevo in mente di scrivere, l’altro ieri, sulla Bittonovela. La recente decisione dei produttori originari (perché storici? forse che i pastori ed i casari degli altri alpeggi valtellinesi e valchiavennaschi sono meno …antichi?) di essere sostenuti da Slowfood nel marchiare le forme che produrranno l’estate prossima, ha confermato una delle tesi che intendevo sostenere. E non penso proprio che il formaggio prodotto lassù, sugli alpeggi “ribelli” – perché di questo si tratta agli occhi del consumatore – possa essere chiamato «Bitto delle Valli del Bitto»: cari amici dello Slowfood e caro Paolo, questa è pura demagogia; se il ministero non ve lo lascia più chiamare «Valli del Bitto», come potete chiamarlo con quell’altro nome e sperare che il ministero vi dia il nulla osta? L’associazione (i 12 produttori rimasti fedeli a Ciapparelli, che sono poi per la maggior parte della Valgerola, se ho ben capito) era di fronte a un “quadrobbio” (a mio parere, naturalmente); doveva cioè scegliere quale strada imboccare trovandosi di fronte a quattro scelte cui consigliavo loro. Sciogliersi. Formare un altro Consorzio. Uscire dal CTCB. Un tacito accordo/scambio… (!!!) per portare la 100ª Fiera del Bitto a Gerola.

Per mettere fine a tutta ‘sta confusione che danneggia “l’immagine della filiera Bitto”, la soluzione migliore era che l’associazione si sciogliesse e, come dire, rientrasse nei ranghi. Forse il nocciolo della questione è capire cosa ha in mente Ciapparelli:

Paolo, che obiettivo hai?

Le tesi da lui sostenute che solo nelle valli del Bitto si produca il “vero Bitto”, lascia perplessi, perché (per intenderci e non farla …cattiva) se un casaro o ‘n cargadur hanno dei problemi col formaggio, non vanno certo a dire al presidente della loro associazione, come fanno a risolverli… Imporre una tecnologia “ideologica” appunto (per quale motivo poi?) anche dal punto di vista professionale è un “proibizionismo” che porterà al non rispetto del disciplinare sottoscritto dai produttori e detto fuori dai denti (la purezza, la verginità non è più un virtù…) peccati ne sono già stati compiuti. Ai “caricatori” i conti economici devono tornare, il resto sono chiacchiere da bar, legittime per carità, ma, una volta usciti dal locale, ognuno torna al suo calècc...

Un po’ improbabile formare un altro Consorzio, anche solo per i costi per métel ‘n pè, e mandàl avanti. Sostenevo all’inizio che quel formaggio non si sarebbe potuto, dal punto di vista giuridico, certo chiamare ancora Bitto; tuttalpiù consiglierei di chiamarlo Bitu. Facendo contenti i “celti” di quelle terre alte; e chissà se, in questo, il ministero non dia via libera. L’uscita dal CTCB da parte dei produttori gerolesi, comunque, comporta che il controllo sul prodotto finale spetti sempre al CTCB (confido in una conferma del direttore Pozzi); cioè il disciplinare va comunque rispettato: peso, misure, origine, scalzo, occhiatura, stagionatura, ecc. La marchiatura spetterebbe sempre e comunque al Consorzio, insomma.

E infine l’ultima possibilità. Che avvenga, un’intesa, un compromesso, un accordo, uno scambio, un ...ricatto (!)… chiamatela come volete. Quel che occorre è chiudere ‘sta vicenda che sta stufando. La cosa deve avvenire tra gli attori della Bittonovela, il più presto possibile. Io la butto lì: a voi decidere. Tra un paio d’anni la Fiera del Bitto compie 100 anni: cioè, e non so se vi rendete conto, sarebbero cento anni che la si tiene. Visto lo spazio, il risalto, la gestione… per farla breve, il declino di cui gode ultimamente all’interno della “Mostra dei prodotti della montagna lombarda” che si tiene al Polofieristico di Morbegno, in ottobre, proporrei che dalla Centesima Fiera del Bitto in poi, la stessa venga trasferita, magari e speriamo per altre cento edizioni, a Gerola. “In cambio”, Ciapparelli scioglie l’associazione e gli imprenditori agricoli della Valgerola, rientrano nel Consorzio. Starà poi al Comune di Gerola o a chi per esso, organizzare, gestire e portare avanti l’ambaradan.

Il tutto vi sembra improponibile?


Alfredo Mazzoni


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